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Dante parla dei “lai”, un genere medievale
letterario poetico che esprimono dolore e
sofferenza. “lai” significa sia “lamento” sia questo
genere letterario.
Riferimento alla regina di Assiria Semiramide,
donna che ebbe moltissimi amanti. Lei rese lecito
tutto ciò che amava.
Cita anche Cleopatra, ma mischia i personaggi
storici con uno letterario, cioè Didone (da Virgilio).
Introduce anche Elena ed Achille, altri personaggi
letterali.
Altro personaggio letterale è Tristano e poi Paride, indica dunque anche uomini non
solo donne. La storia si mescola con l’invenzione, il poeta Virgilio riconosce personaggi
nati dopo di lui poiché nel limbo Virgilio può vedere il futuro.
Dante sente pietà e condivide il loro dolore data la
loro natura letteraria
Dante si concentra su due anime che volano
insieme (metafora volo degli uccelli), l’essere
trascinate delle anime diviene qui leggerezza.
Virgilio dice di pregare loro di parlargli in nome
dell’amore (non lussuria) che li ha uniti.
Dante li chiama e li prega di parlare.
Dante è emotivamente coinvolto, le colombe
rappresentavano la lussuria per i medievali.
Francesca parla a Dante definendolo una creatura gentile, viene introdotto un
elemento di bene in un regno dove regna il male. Presente il colore rosso della
passione ed il sangue (il marito di Francesca uccide gli amanti).
Francesca si definisce un male perverso.
La bufera si calma per permettere alle anime di parlare con Dante.
Francesca parla di sé e della sua vita, ritorna
nuovamente la parola “pace”.
Da qui le prossime tre terzine iniziano con la parola “Amor”,
questi versi esprimono una teoria dell’amore.
Francesca dice che l’amore è un tratto distintivo della
migliore umanità nonostante si trovi all’inferno. “ancor
m’offende”, l’amore ancora vince con la dannazione, il gesto
del marito nell’ucciderli è come dissacratorio e ora ne
pagano le conseguenze. Francesca non accetta la sua
dannazione.
“Amor, ch’nulla...” Dante pone tre declinazioni di
amore che vuole reciprocità. Lei afferma di esser stata
presa d’amore per Paolo tanto che ancora non l’ha
abbandonato il punto di vista di Dio e Francesca non
coincidono, per Dio è una punizione nel ricordare, per
Francesca è un modo per restare uniti perfino
all’inferno, legge la sua punizione in maniera personale. Da
vita si passa a morte, ma in questa morte c’è il “noi”.
L’unione è più forte della morte. Il marito è punito con una
pena peggiore, queste sono le uniche parole destinate al
marito omicida.
Dante rimane pensieroso con la testa bassa.
Dante si concentra su come è nato l’amore, non
sulla morte.
Importante la parola “passo”, esso è il luogo del
testo esplicitando la natura letteraria del peccato.
Dante usa ripetutamente “dolce”, centrale negli
Stilnovisti.
Francesca evidenzia il dolore nel ricordare la
felicità passata, ma dato il suo “affetto” lei lo
racconta.
Il pianto crea empatia da Francesca a Dante e con
i lettori.
Si entra nel cuore della vicenda e troviamo il libro
“galeotto”, la storia dell’amore di Lancillotto per
la regina Ginevra, la moglie di Artù.
Erano insieme e leggevano questo libro, soli e
“senza sospetto” cioè senza sapere di essere
innamorati l’uno dell’altra non riuscivano a
vedere oltre, non capivano che dovevano
fermarsi. Dalla sfera della lettura sono passati alla passione nella realtà, bisognava
fermarsi prima, avere il sospetto.
Essi sono guidati da una forza più grande, furono vinti da un “punto” (nel canto XXX
del Paradiso riprende la parola ponendo l’amore di Beatrice con anti-Francesca), cioè
quando lessero del bacio tra Ginevra e Lancillotto.
Leggono il bacio e si baciano, unione vita e letteratura scambiano la vita con
la letteratura.
Subito afferma che ora essendo anime dannate lui non si separerà mai da lei.
L’amore prosegue nella vita, il libro rimarrà chiuso, Dante qui per pietà sviene
come un corpo morto, il personaggio Dante nel suo cammino cambia. Egli si fa
coinvolgere totalmente e sviene esponendosi come complice data la sua pietà, egli
non può rimanere indifferente alla vicenda. La debolezza di Dante arriva fino a noi.
Il canto di Ulisse:
La figura di Ulisse è un modello d’eccellenza
intellettuale, non solo per l’uso della sua
ragione, ma anche per l’uso della parola (vicino
alla letteratura). Egli è dunque pregnante di
letteratura nonostante la distanza.
L’atteggiamento dantesco diviene qui
complesso, Dante si modifica nel suo cammino,
all’inizio egli è più fragile ed esposto al peccato.
Ci troviamo nella parte finale dell’inferno dove si
trovano i traditori, l’ottava bolgia. Si vedono
delle fiamme che circondano i dannati, nella
fiamma di Ulisse è presente anche Diomede.
Dante ha inizialmente una visione panoramica
del paesaggio, non è angosciante, anzi,
contrasta con l’ambiente presente:
Parafrasi:
Quante sono le lucciole che il contadino dall’alto
della collina in cui dimora si riposa, durante la
stagione nella quale il sole ci mostra i sui raggi
(estate) vede giù per la vallea nella pianura
sottostante forse dove ci sono le sue vigne che
coltiva,
quando la mosca lascia il posto alla zanzara
(sera), allo stesso modo la bolgia sottostante
splendeva di fiamme, si accorse di dove si
trovava.
Parafrasi:
Quando i cavalli di fuoco erti s’innalzarono (Elia)
Non si poteva vedere nulla se non la fiamma,
allo stesso modo la fiamma dei dannati si
vedeva nella gola del fosso.
Si sottraeva alla vista l’anima del peccatore, “furto” alla vista”
La doppia similitudine delle lucciole e del profeta Elia col cavallo di fuoco
possiede l’aspetto della luminosità, entrambe fonti di luce, ma l’aspetto
contrastante è lo spazio. Nel primo caso lo sguardo del contadino va dall’alto
verso il basso, nel secondo si va dal basso verso l’alto similitudini speculari
tra loro.
Parafrasi:
Dante stava su uno sperone di roccia e guardando in basso ha un capogiro,
s’aggrappa ad una roccia. Questo capogiro è il rovescio delle similitudini sopracitate,
da paesaggio soave si passa alla negatività dell’inferno.
Virgilio che lo vide attento gli spiega che nei
fuochi vi sono i dannati, avvolti dal fuoco che
li brucia.
Dante pone una domanda a Virgilio dopo
aver detto che già lo aveva capito.
Chiede chi sia il dannato nel fuoco diverso,
quello che termina con due punte anziché
una (riferimento alla Tebaide di Stazio con il
personaggio di Eteocle, bruciati dall’odio tra i
fratelli si separano le fiammelle).
Si trovano Ulisse e Diomede, uniti e divisi
dalla loro punizione.
Il peccato è quello dell’inganno del cavallo,
che fece distruggere Troia con l’inganno.
Riferimento alla statua sottratta.
Segnali:
Dante prima rischiava di cadere, qui invece è
presente una forte enfasi di Dante data la
sua forte curiosità nel voler parlare con
Ulisse. Si sporge poiché desidera parlare a tutti i costi. Si spiega questo gesto per la
straordinarietà di Ulisse e poiché è prototipo di intellettuale, uomo capace di
governare la parola come un poeta.
Virgilio approva la sua richiesta, degna di lode, nonostante l’insidia del parlare con un
fraudolento, si rischia di cadere in trappola.
Virgilio chiede di potergli parlare lui, poiché ha compreso ciò che gli vuole chiedere.
Afferma che i greci sono diffidenti greci come superbi e diffidenti. Virgilio subisce
sconfitte dinanzi al cristiano, ma qui vi è Ulisse, siamo nel mondo di Virgilio.
La fiamma si avvicina ed inizia il discorso di Virgilio verso Ulisse.
Grande apertura retorica di Virgilio, presenti
artifizi retorici.
Domanda come loro siano morti e finiti in quel
luogo.
Prologo al discorso di Ulisse, la fiamma d’Ulisse
si agita ed inizia a mormorare, vi è un lamento
della fiamma che viene agitata da un vento.
La lingua della fiamma è una lingua che parla,
vi è un concentrato di ciò che era Ulisse, lingua
capacità oratoria di Ulisse.
Parte il monologo di Ulisse (come Francesca):
Ulisse parte la descrizione del viaggio da Circe
che lo trattenne per più di un anno.
Né l’amore del figlio, né per Penelope o il padre poteva vincere nel suo cuore il
desiderio ardente che egli ebbe non appena tornato ad esplorare il mondo e l’animo
umano.
Un viaggio non solo materiale ed esterno, ma interno ai segreti dell’uomo interiore,
esattamente come quello di Dante.
Egli affrontò un viaggio in mare aperto con un gruppo di persone, non era solo.
Il viaggio li porta lungo molte coste. Ulisse qui è sottolineato come vecchio, non
giovane e pieno di forze, egli è invecchiato
ma non “tira i remi in barca”, al contrario
continua a farlo. Arrivarono alle colonne
d’Ercole.
Qui vi è un discorso nel discorso di Ulisse.
Si trovano al tramonto della vita di Ulisse,
ma la definisce una vigilia, il momento
migliore. Dinanzi alla vecchiaia parla di
rinascita.
Nell’epoca di Dante non si chiede di fare
esperienza, ma Dante è intellettuale e non
si accontenta, Ulisse difatti si è spinto oltre
il limite indagando. Ulisse è andato oltre.
Chi vive senza conoscenza vive come un
bruto, l’uomo segue la virtù (etica) e la
conoscenza (intellettivo).
I compagni furono desiderosi di continuare, tanto da non poterli convincere a tornare.
Dante riprende i versi di Virgilio nell’Eneide quando parla di Icaro remi paragonati
ad ali, una nave che vola verso il proibito.
La notte mostra tutte le stelle del polo, Ulisse ha raggiunto terre sconosciute.
Dopo cinque mesi, finalmente entrarono nell’alto (aggettivo importante) passo.
Apparve loro una montagna, quella del purgatorio, dove l’uomo non può mettere
piede.
Si allegrarono, ma subito divenne pianto, poiché dalla terra arrivò un forte vento che
colpì la prua della nave.
Fece girare tre volte la prua della nave, alla quarta la poppa si sollevò e la prua
sprofonda nell’abisso, come voleva Dio (non espresso direttamente).
Finché