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Il dibattito sulla Repubblica e la tesi dei filosofi al potere
La Repubblica è l'esempio più celebre di quelle teorie politiche che saranno chiamate Utopie, cioè disegni o progetti di città ideali inesistenti ed è stata considerata come il prodotto di un filosofo sognatore e denigrata. Altri hanno esaltato Platone per il suo utopismo, vedendo nell'utopia la vera filosofia e l'autentica politica, in quanto essa, mettendo continuamente di fronte agli occhi degli uomini un modello ideale, li spinge a correggere le imperfezioni e gli svantaggi delle società storiche reali, stimolandoli a edificarne di nuove e migliori.
Alcuni critici hanno considerato la tesi platonica dei filosofi al potere come una innocua affermazione di un intellettuale astratto dalla realtà effettiva. Altri l'hanno presa sul serio e discussa. C'è chi l'ha rifiutata (Kant: non c'è da attendersi che i...
refilosofeggino o i filosofi diventino re e neppure da desiderarlo, perché il possesso della forza corrompe il libero giudizio della ragione) e c'è chi l'ha esaltata ( essa impone a chi consideri che ogni organizzazione pratica è un'organizzazione mentale, e che coloro che possiedono ed esercitano questa virtù e disciplina organizzatrice, cioè i filosofi, sono i più atti a reggere la cosa pubblica. Soltanto bisogna guardare nel filosofo la figura non del professore ma quella del possessore o del ricercatore di un sapere appropriato al compito pratico da adempiere).
COMUNISMO E STATALISMO
Qualcuno ha letto la Repubblica "da sinistra", sottolineandone gli aspetti comunitari anti-individualistici, ossia il concetto di una preminenza del bene collettivo su quello personale, e scorgendo nella proposta platonica della comunanza dei beni e delle donne un primo abbozzo, sia pure in chiave utopistica, dell'ideale
Socialista. Altri studiosi di sinistra hanno visto nell'organicismo platonico un'ideologia tesa a giustificare una forma di società aristocratica e classista, fondata su una rigida divisione del lavoro e su un'idea elitaria del potere politico. Altri hanno letto la Repubblica da destra, scorgendovi il prototipo di un modello politico radicato su dottrine analoghe a quelle nazifasciste, come ad esempio lo statalismo, la struttura gerarchica della società, il culto dei capi, la purezza del sangue, la sanità della razza... (alcuni ufficiali nazisti avevano la Repubblica nel loro zaino). Alcuni filosofi inglesi e americani hanno visto nella Repubblica lo schema di ogni società illiberale e totalitaria. Il noto filosofo della scienza KARL POPPER, nell'opera La società aperta e i suoi nemici 1945, considera Platone come il primo e maggiore teorico di una società chiusa, opposta a una società aperta di tipo pluralistico.
edemocratico: egli scorge nella repubblica e poi nelle Leggi il paradigma di un regime autoritario e dispotico, fondato sulla premessa di una verità assoluta che viene imposta con la forza anche a coloro che non intendono riconoscerla; per Popper, insomma, dall'assolutismo dottrinale del filosofo delle idee deriverebbe logicamente una forma di monolitismo politico. Bertrand Russell considerò un autentico scandalo l'ammirazione intellettuale che l'opera di Platone ha sempre riscosso. L'ULTIMO PLATONE I NUOVI PROBLEMI Nei grandi dialoghi della vecchiaia troviamo la terza fase del pensiero platonico. Platone, rivedendo le proprie dottrine, raggiunge nuovi esiti (da Socrate ha ripreso la capacità di rimettersi sempre in discussione e di ritornare sui propri passi). Platone affronta 2 problemi che nascono dall'esigenza di mitigare il rigido dualismo tra il mondo immutabile delle idee e il mondo mutevole delle cose: come deve essere pensato il mondo delleIdee? Come va concepito il rapporto tra le idee e le realtà naturali?
Alla prima questione risponde il Sofista, la cui tematica è preparata dal Teeteto, nel quale Platone cerca di definire che cosa sia la conoscenza, e dal Parmenide, che indaga la natura dell'essere e il suo rapporto con il non essere.
Alla seconda questione risponde il Timeo.
IL TEETETO: LA CONOSCENZA E L'ERRORE
L'argomento del Teeteto è la conoscenza. Dapprima il giovane Teeteto, in accordo con Protagora e con gli eraclitei, sostiene che la conoscenza è sensazione. Tuttavia, se si ammette che ciò che ciascuno percepisce in un determinato momento è vero, allora bisogna concludere o che la verità è soggettiva e mutevole, o che essa va determinata in base a ciò che dice la maggioranza. Ora, poiché entrambe le soluzioni sono insoddisfacenti, resta solo un'alternativa: DEVE ESISTERE UN VERO IN SE', che non dipenda dal giudizio di ogni individuo.
singolo individuo, ma che rifletta le cose come sono per natura e secondo la loro essenza. Così Platone si oppone al relativismo gnoseologico dei sofisti e dimostra indirettamente come sia impossibile raggiungere una definizione adeguata di scienza rimanendo nel dominio della soggettività umana e delle mutevoli opinioni dell'individuo, cioè senza rifarsi al mondo delle idee. Se la conoscenza sensibile non è vera conoscenza, allora I SENSI NON SONO CHE UN MEZZO: essi non sono ciò che conosce, ma ciò mediante cui l'anima conosce. Essa riceve dai sensi la materia della conoscenza e su tale materia ha il compito di effettuare il proprio giudizio, coordinando e ordinando i dati empirici per giungere affermazioni universali. In quanto giudizio sulla sensazione che deve essere adeguato e corretto, la conoscenza secondo Platone può essere definita come OPINIONE VERA. Si apre così la questione della verità e dellaPossibilità dell'errore. Nel Teeteto il vero non è definito direttamente, ma per opposizione a ciò che è falso. Il FALSO coincide con un errore nella coordinazione degli elementi ma qual è l'origine di tale errore? Una risposta è quella che chiama in causa I LIMITI DELLAMEMORIA UMANA: nel formulare i suoi giudizi, la conoscenza si serve infatti del ricordo, poiché conoscere significa collegare dati empirici attualmente presenti alla mente con dati passati. Ma è possibile ricordare male. La conclusione del Teeteto riporta il discorso alla questione di partenza, ovvero alla definizione della conoscenza, perché è impossibile sapere che certi dati sono stati collegati in maniera errata fino a quando non si sappia con certezza quale sia il modo corretto (vero) di collegarli: cioè è impossibile sapere che cosa sia l'errore finché non si sia chiarito in che cosa consista la conoscenza.
Cioè la verità. La riflessione sul problema dell'errore conduce così Platone al problema del non essere, affrontato nel Parmenide e nel Sofista.
IL PARMENIDE: LA SFIDA DELLA CONCEZIONE ELEATICA DELL'ESSERE
Nel Parmenide, che è forse il dialogo più difficile di Platone, il filosofo si interroga auto criticamente sulla consistenza della TEORIA DELLE IDEE, rilevandone, per bocca di Parmenide, alcune difficoltà. In un primo luogo, posto che l'"uno" è l'idea, mentre i "molti" sono gli oggetti di cui l'idea costituisce l'unità, non si capisce come l'idea possa essere "partecipata" da più oggetti, o "diffusa" in essi, senza con ciò risultare moltiplicata e quindi distrutta nella sua unità. Dalla stessa nozione di idea sembra scaturire la moltiplicazione all'infinito delle idee, dal momento che se si ha un'idea ogni qual volta si
Considera nella sua unità una molteplicità di oggetti, si avrà un'idea anche quando si considererà la totalità di questi oggetti più la loro idea: questa sarà infatti un'ulteriore idea, che, considerata a sua volta insieme con gli oggetti e con l'idea precedente, darà luogo a un'altra idea e così via all'infinito. È questo l'argomento detto "del terzo uomo" a cui accenna varie volte Aristotele. Ma il problema fondamentale nel Parmenide, e che troverà soluzione nel Sofista, è il confronto-scontro con la logica parmenidea. Secondo il principio principale dell'eleatismo "solo l'essere è, mentre il non essere non è". Ora, pur riconoscendo in Parmenide un maestro venerando e terribile, Platone si rende conto che questa affermazione, presa alla lettera, decreterebbe la morte della teoria delle idee. L'inesistenza
ASSOLUTA DI OGNI FORMA DI NON ESSERE, infatti, PREGIUDICHEREBBE inevitabilmente LA MOLTEPLICITA’ DELLE IDEE e i loro rapporti reciproci, poiché ogni idea, non essendo l’altra, implicherebbe, dal punto di vista parmenideo, l’illogica ammissione del non essere. Tant’è vero che Parmenide aveva concluso che l’essere è unico.
Nel Parmenide Platone manifesta di non voler rinunciare alla teoria delle forme ideali, in quanto ribadisce che senza le idee, cioè senza un punto fermo mediante il quale ordinare la molteplicità delle cose, non si potrebbe neppure pensare e filosofare. Ma se non è possibile rinunciare alle idee, allora non rimane che RINUNCIARE AL PRINCIPIO ELEATICO. Ed è questo che fa nel Sofista che si conclude con un “parmenicidio”.
IL SOFISTA: LA NUOVA CONCEZIONE DELL’ESSERE E LA DIALETTICA
I GENERI SOMMI DELL’ESSERE E IL SUPERAMENTO DEL PROBLEMA DEL NULLA
Per spiegare come possano esistere
Più idee e come esse possano comunicare tra loro, nel Sofista Platone elabora la teoria dei generi sommi dell'essere, cioè degli attributi fondamentali delle idee, che per il filosofo sono cinque: l'essere, l'identico, il diverso, la quiete, il movimento.
Innanzitutto, ogni idea è o esiste, e quindi rientra nel genere dell'essere: In secondo luogo, ogni idea è identica a se stessa, e quindi rientra nel genere dell'identico. "Essere" ed "essere identico" sono dunque due generi differenti e non coincidenti tra loro. Infatti, tutte le idee, pur esistendo, non per questo sono identiche, altrimenti si avrebbe la fusione di tutte quante le idee in un'unica idea. Se ogni idea è identica a se stessa, ma distinta dalle altre, significa che essa è diversa da queste, per cui ogni idea rientra anche nel genere del diverso. Si giunge al momento culminante della critica a Parmenide. L'errore fondamentale.
el filosofo di Elea, secondo Platone, è stato quello di confondere il diverso con il nulla. Infatti, quando d