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Criteri fondamentali o classici: che nella dottrina vengono utilizzati. Sono criteri che
determinano il valore sulla base dell’ indicatore fondamentale dell’ azienda.
Criteri che si sposano con la ratio generale di tutela delle minoranze che il legislatore
richiede quando ha disciplinato le operazioni straordinarie. I consulenti o il consiglio di
amministrazione prendono conoscenza dei valori fondamentali dell’ impresa, non solo
tramite bilanci ma anche tramite piani previsionali.
Criteri valutazionali di due tipi: Criteri classici, fondamentali (li prendiamo dal
bilancio e piani previsionali, dove l’ importante è che per applicarli abbiamo un
accesso a queste informazioni) e criteri di mercato (criteri comparativi o relativi che
si basano sull’ osservazione di prezzi fatti sul mercato. Osserviamo il mercato e
andiamo a derivare un valore. Il 2437 ter fa un’ allusione ai criteri di mercato).
Criteri di mercato che vengono usati in una logia di emenei (logiaca di acquisizione,
quando l’ unica indicazione di valore di quella società la otteniamo capendo cosa ha fatto il
mercato per quelle società simili a quelle che dobbiamo valutare).
I criteri fondamentali o classici quindi avevamo detto che abbiamo un:
1. Approccio patrimoniale, con il valore patrimoniale (W=K) con versione semplice e
complessa (in quella complessa W=K+i). Si basa su valori storici della nostra impresa e
viene usato quando il driver di valore è il patrimonio: ha una ridotta diffusione che non
viene applicato con grande frequenza. Con il passaggio da una logica a costo a una logica
di fair value, è più facile che gli asset che compongono il patrimonio di un’ azienda siano
espressi a patrimonio corrente.
2. Questo approccio va bene anche nelle realtà complesse delle holding: valore della
holding è il valore di tutti i pezzi che compono il patrimonio: il criterio some of the part:
SOP.
3. Criteri basati sui flussi di risultato: Criterio reddituale e Criterio finanziario. Il driver di
valore è la capacità dell’ impresa di generare flussi di risultato, che siano di reddito (che
tengono conto della componente reddituale (R/i) o la sommatoria dei redditi fratto 1+i
elevato alla seconda + il valore residuo.
4. Criterio finanziario: il valore è la somma dei flussi di cassa attualizzati con i che va da 1
a n + il valore residuo. Flussi di cassa operativi che tengono conto della generazione di
cassa prodotta dalla generazione reddituale sia quella derivante dall’ investimento di
natura patrimoniale.
La differenza tra ai due approcci è che il primo è un approccio statico dove il dirver
di valore è il patrimonio; il criterio dei flussi di risultato è la capacità di generare
reddito o flussi di cassa. Quindi abbiamo in questo ultimo caso un valore
prospettico: valore potenziale. Quindi non flussi storici ma attesi per il futuro.
Esprimono quindi la potenzialità futura dell’ impresa di generare flussi di reddito o di cassa.
E’ un valore che è soggetto a una maggior rischiosità rispetto a una valore patrimoniale
(perchè è insita la rischiosità aziendale e anche quella correlata alle stime che hanno
portato alla determinazione dei flussi. Quindi queste stime possono anche non avverarsi).
In più questi due approcci differiscono perchè il criterio patrimoniale è analitico
(perchè determinaniamo analiticamente il valore corrente), invece il criterio basato
sui flussi di risultato è sintetico perchè utilizza il criterio come indicatore in grado di
fornirci indicazioni sul valore ma in modo sintetico).
Il flusso di reddito o di cassa fornisce indicazioni sulla capacità dell’ impresa di generare
extraprofitti (ovvero l’ avviamento. se si genera un extrareddito siamo migliori della
media del settore). Il criterio patrimoniale non considera l’ avviamento.