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Anche la Corte dei diritti dell’uomo prende posizione su questo problema del sovraffollamento
carcerario e ciò avviene nei confronti dello stato italiano con la sentenza Torreggiani nella quale
lo stato italiano viene messo a conoscenza della sua violazione e che ne ponga rimedio, entro il
2015, per garantire lo svolgimento del periodo dell’esecuzione della pena con quei criteri di tutela
dell’individuo indicati nella sentenza. Viene preso in considerazione il fatto che debba poterci
essere un ricorso da parte del detenuto ad un magistrato di sorveglianza mentre prima si doveva
adire il giudice civile ex art. 2043 c.c. per aver subito un “danno ingiusto”. Nel 2014 si arriva
all’emanazione di una nuova legge che ponesse rimedio a questa lacuna: il Parlamento ha
introdotto l’art. 35ter che disciplina i rimedi da poter esperire da parte del detenuto che abbia
avuto un pregiudizio da questa situazione di sovraffollamento per violazione dell’art. 3 CEDU.
5. Il primo rimedio riguarda quei detenuti che sono ancora all’interno dell’istituto
carcerario e che devono ancora scontare una parte della pena: questa norma dice che
si ha la possibilità di chiedere al magistrato di sorveglianza un risarcimento in forma
specifica (=scontati dei giorni di detenzione in base ad un parametro proporzionale) o in
forma pecuniaria (= somma di denaro). Si tratta di una previsione che ha permesso in
qualche modo di dare al detenuto la possibilità di avere un ristoro;
6. Se si tratta di detenuti già usciti dall’istituto penitenziario, in quel caso evidentemente
l’unica forma di ristoro che si può avere è quella monetaria sempre di fronte al magistrato
di sorveglianza.
Si affida questo meccanismo al magistrato di sorveglianza e quindi diventa una materia speciale
rispetto a prima che era viceversa affidata al giudice civile. Questa attivazione della richiesta del
risarcimento del danno o dello scomputo della pena deve avere un presupposto: la violazione
dell’art. 3 CEDU. I requisiti all’art. 3 CEDU sono messi a fondamento per poter vivere in
maniera dignitosa all’interno dell’impianto penitenziario: sono dei parametri oggettivamente
indicati e la violazione di alcuni di essi determinano IN AUTOMATICO la violazione di quel
diritto (= l’esistenza minimamente dignitosa all’interno del carcere). In questo senso viene ad
essere agganciata la garanzia di un diritto alla presenza di alcuni requisiti oggettivi precostituiti
previsti dall’art. 3 CEDU.
L’altro aspetto su cui l’Italia era stata sollecitata a prendere posizione era la necessità di cercare
dei rimedi capaci di far fronte a quelle che erano le carenze strutturali che determinavano il
sovraffollamento. Con la sentenza Torreggiani, c.d. sentenza pilota, si vuole cercare di eliminare
il sovraffollamento delle carceri come fatto endemico. Il ristoro per i detenuti oggetti della lesione
del loro diritto ad avere un’esistenza minimamente dignitosa all’interno del carcere è una
condizione necessaria ma non sufficiente per risolvere questo problema. Bisogna che lo stato
italiano agisca alla radice, nella struttura del sistema. Il criterio dell’indulto e della amnistia
sono gli unici criteri che per ora l’Italia ha trovato per risolvere il problema del
sovraffollamento delle carceri. Quali possono essere i tagli strutturali per eliminare questo
fenomeno del sovraffollamento delle carceri? Be’, la necessità che il diritto penale possa svolgere
il suo ruolo di estrema ratio è quella di restringere le ipotesi dei soggetti che debbano scontare
la propria pena in carcere. Ci deve essere un’alternativa al carcere.
La prima ipotesi che viene ad essere presa in considerazione era quella che partiva dall’idea di
selezionare chi doveva entrare in carcere e chi doveva invece uscirci. L’idea era quella di incidere
sugli automatismi carcerari: questi automatismi sono previsti all’art. 4bis o 202 c.p. Questi
articoli mettevano in correlazione la necessità di dover eseguire la sanzione in carcere, si
precludeva l’accesso alle misure alternative per coloro che erano stati condannati per determinati
reati. Questa alternativa può avere una scommessa di riuscire a realizzare una decongestione del
carcere soltanto se si rinuncia a quelli che sono degli automatismi presuntivi. Quali erano questi
reati? Erano individuati dal legislatore di volta in volta. Di questi automatismi il c.p.p. e l’art. 4bis
sono assolutamente imbevuti: abbassa la garanzia nei confronti del singolo perché non gli si
permette di poter scegliere l’esecuzione della pena in modo diverso e dall’altra non si affrontano i
problemi nodali del rapporto tra la realizzazione del reato e la necessità di stare in carcere, ma
questo rapporto si affida ad una tecnica presuntiva. Qual è il giudizio e la valutazione che sta
dietro a questo art. 4bis? Un GIUDIZIO DI PERICOLOSITA’, cioè di un giudizio di pericolosità
ASTRATTO perché non si guarda se il soggetto sia pericoloso ma si guarda alla tipologia di reato
commesso.
La commissione incaricata voleva sovvertire questo sistema e aveva ritenuto di dover eliminare
questo automatismo perché si trattava non tanto di liberare soggetti pericolosi ma di far valere
quelli che sono dei principi costituzionali. Il principio di pericolosità presunta è stato eliminato
dal nostro c.p. attraverso la consulta costituzionale. In realtà il problema che noi stiamo
affrontando è lo stesso sotto angoli diversi. Il giudizio di pericolosità nasce con la Scuola Positiva
dall’idea che le indagini empiriche ci devono dire se quel soggetto sia realmente pericoloso,
quindi richiede per sua natura una indagine empirica. La commissione ministeriale quando si è
posta il problema del sovraffollamento carcerario ha douto sbattere la testa su questo giudizio di
pericolosità ed è lo stesso giudizio di pericolosità che la Corte cost. ha reso illegittimo nel 1982 e
nel 1983. Ciò che vuole attuare la commissione ministeriale è una eliminazione delle presunzioni.
E’ un giudizio di pericolosità in concreto, per poter ritenere che quel soggetto debba
effettivamente non poter beneficiare di una misura alternativa al carcere. Bisogna ripensare al
diritto penale come estrema ratio e quindi di avere la sua capacità di selezione nel campo dei beni
giuridici da tutelare: a questo punto realizziamo un sistema in cui la sanzione penale possa essere
eseguita in un luogo diverso dal carcere così da eliminare tutti quegli automatismi sul giudizio di
pericolosità.
Le indagini criminologiche mettono in evidenza anche un altro dato e cioè il fatto che i soggetti
ammessi alla pena alternativa rispetto al carcere in altri stati abbiano dei numeri notevolmente
diversi (120.000 Francia, 111.000 Spagna, 10.000 Italia). In effetti le sanzioni alternative
funzionano se i soggetti vengono selezionati accuratamente. Questi tre aspetti sinergicamente
messi insieme possono determinare un reale impatto sul fenomeno del sovraffollamento delle
carceri. Questa idea è stata alla fine smantellata e si tornerà ancora una volta al decreto
dell’amnistia e dell’indulto.
Il giudizio di pericolosità:
Come abbiamo detto fino ad ora il giudizio di pericolosità rimane un filo rosso che attraversa il
nostro ordinamento. Nel nostro diritto penale abbiamo due ambiti: quello dei soggetti imputabili
e quello dei soggetti non imputabili. Quelli imputabili sono quelli soggetti ad una pena e ad una
misura di sicurezza solo se ritenuti pericolosi. Il soggetto incapace di intendere e di volere può
andare incontro ad una misura di sicurezza solo se è pericoloso. La misura di sicurezza è l’unica
sanzione prevista per il soggetto non imputabile, mentre per il soggetto imputabile si affianca alla
pena. C’è un aspetto problematico: per quanto riguarda il soggetto non imputabile bisogna
chiederci se vi sia una indissolubilità tra malattia e pericolosità, se sia un binomio assolutamente
necessitato perché questo binomio lo è stato per anni. Il soggetto incapace di intendere e di volere
si considerava anche pericoloso. Bisogna aspettare la l. Gozzini per far crollare queste
presunzioni e per ricominciare a prendere in considerazione un giudizio di pericolosità in
concreto. Il giudice aveva comunque una grandissima difficoltà a reperire quello che fosse un
giudizio effettivo sul concetto di pericolosità e si trovava a ricostruire lui un giudizio di
pericolosità e quindi spesso si dava vita a giudizi stereotipati della pericolosità.
C’è stata una grande difficoltà a ricostruire un giudizio di pericolosità da parte della stessa perizia
in quegli anni. Il giudizio di pericolosità viene ad essere nuovamente al centro del dibattito e di
snodo della vicenda penalistica e questo momento di snodo riguarda sia i soggetti imputabili che i
soggetti non imputabili. Questo doppio binario è falsato dalla applicazione del codice Rocco (un
doppio binario secco) mentre nell’idea di Enrico Ferri esisteva questa contrapposizione, o la pena
o la misura di sicurezza. Con l’avvento della nostra carta costituzionale il giudizio di pericolosità
inizia a svolgere una funzione special preventiva. Quello che era accaduto fino agli anni ’90 era
una doppia sanzione: una volta in maniera predefinita in base alla commissione del reato e
dall’altra con un quid pluris, cioè la misura di sicurezza che era incerta nel quantum e che non
aveva in sé una funzione diversa da quella della pena. Secondo parte della dottrina è necessario
un ripensamento della pericolosità, non si può più adattarlo ad un codice Rocco che lo ha
snaturato e ne ha fatto una brutta copia della concezione positivista. La base per poter attuare
questo ripensamento è attuare un raccordo tra il trattamento che impone la misura di sicurezza e
le condizioni soggettive di chi ha commesso il reato e il reato stesso. Il REATO STESSO. Si deve
ripartire dall’idea di recuperare quella legalità che la misura di sicurezza era destinata a non
avere. Nell’idea di Ferri la commissione del fatto era un aspetto trascurabile, era l’incipit per
incominciare a parlare del soggetto ma alla fine non era rilevante. L’idea della misura di sicurezza
viene trasportato nel codice Rocco dove il fatto non è rilevante perché il codice lo affida a quelli
che sono dei meccanismi presuntivi. Mi importa l’astrattezza di ciò che hai commesso e non il
fatto.
Lezione 9 – 28/10/15
La vocazione della misura di sicurezza nel nostro ordinamento dev’essere ripensata a seconda
della categoria a cui facciamo riferimento perché la misura di sicurezza è legata alla capacità di
reci