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L'art 41 va letto insieme all'Art 117 comma 2 che introduce come competenza esclusiva dello Stato dettare
norme in maniera di tutela della concorrenza.
Quindi sostanzialmente l'iniziativa economica è libera, può incontrate dei limiti che sono andati
assottigliando in funzione dell'appartenenza dell'Italia alla comunità europea.
Il resto dell'art 41 rinvia a un'idea di economia diretta dallo Stato che oggi può ritenersi in larga misura
superata, dove dice "La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica
pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali", qui abbiamo una riserva di legge che
rinvia a programmi e controlli per dirigere l'economia.
La stagione della programmazione economica è limitata ad un periodo temporale che va a cavallo tra la fine
degli anni 60 e i primi anni 70 e che vede in due leggi (la 685 del 67 e la 1966 del 70) le leggi di
programmazione economica, che avevano l'ambizione di dettare di piani quinquennali di sviluppo
economico ma che di fatto poi non hanno avuto più seguito.
Altro articolo che disciplina la materia è l'art 43 che prevede la materia dei servizi pubblici e prevede anche
ipotesi di collettivizzazioni di questi servizi pubblici nel caso di settori considerati strategici per l'economia.
Art. 43.
“A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo
indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie
di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed
abbiano carattere di preminente interesse generale”.
L'idea dell'art 43 è quella della possibile collettivizzazione che vuol dire Statalizzazione (riserva allo stato),
vuol dire nazionalizzazione (riserva ad altri enti pubblici nazionali), vuol dire socializzazione (riserva a
comunità di lavoratori o di utenti).
Nell'applicazione dell'art 43 abbiamo avuto sia ipotesi della riserva originaria, sia ipotesi della
nazionalizzazione.
A partire dagli anni 90 assistiamo ad un processo uguale e opposto alla collettivizzazione noto come
processo di privatizzazione, che non coincide per forza col fenomeno delle liberalizzazioni.
L'appartenenza dell'Italia all'UE non comporta necessariamente il divieto per lo Stato di svolgere attività
economiche, comporta l'obbligo di svolgere in regime di concorrenza dove ciò è possibile: lo Stato, l'ente
pubblico, può svolgere attività economiche ma il principio cardine è quello di concorrenza. La tendenza è di
far entrare la concorrenza nel mercato anche dei servizi pubblici e di conseguenza ciò determina l'apertura
della strada delle privatizzazioni.
Questa tendenza fino agli anni 2000 è stata tradotta nella fase fredda delle privatizzazioni che ha coinciso
con la trasformazione dal punto di vista giuridico del soggetto gestore che per lo più da ente pubblico è stato
trasformato in società.
Se una società, ad esempio per azioni, rimane completamente in mano pubblica, quanto al capitale, vuol dire
che siamo rimasti alla fase fredda delle privatizzazioni (trasformazione di enti pubblici in società), non siamo
passati alla fase calda che implica la messa sul mercato delle azioni e quindi la vera e propria
privatizzazione.
La tendenza della disciplina di settore oggi è che lo Stato riservi per se almeno la proprietà delle reti, per
esempio la rete ferroviaria deve essere del soggetto statale, sulla rete ferroviaria possono transitare anche i
soggetti come Italo, Trenitalia, ma la proprietà della rete è in capo al soggetto statale. Così come avviene per
l'energie elettrica, la telefonia ecc..
La concorrenza che c'è è di 2 tipi:
- Concorrenza sul mercato: il cittadino può optare e scegliere l'uno e l'altro.
- Concorrenza per il mercato: si concorre per la gestione del servizio come unici gestori.
Per i grandi servizi pubblici come l'Enel la concorrenza è sul mercato nel senso che tutti i soggetti possono
dare la propria offerta utilizzando la rete pubblica.
Vi sono dei casi però in cui i servizi hanno una dimensione più locale e in cui si concorre per acquistare la
possibilità di gestire il servizio però in modo monopolistico quindi si concorre non sul mercato (a parità di
condizioni), ma per il mercato nel senso che la procedura di eminenza pubblica serve per attribuire a un
gestore il servizio. Questo accade per il servizio del gas a livello locale, dove c'è il principio della libertà di
concorrenza ma non si concorre sul mercato ma per il mercato.
Servizio pubblico
Nella dottrina più risalente del diritto pubblico si riteneva che il servizio pubblico fosse un'attività rivolta al
pubblico, svolta da un soggetto pubblico --> quindi si era acquisita la concezione del servizio pubblico di
tipo soggettivo, dando ciò risalto all'aspetto che a derogare il servizio fosse un soggetto pubblico.
Con l'evolversi dell'economia, e con l'introduzione del meccanismo della concorrenza nei servizi pubblici, è
passata l'idea che l'erogatore del servizio pubblico potesse anche essere un soggetto privato, purché rispetti le
regole del servizio pubblico, che sono dei principi come la concorrenzialità, l'imparzialità, l'universalità, che
l'erogatore del servizio pubblico è tenuto a rispettare anche se è un soggetto privato.
Ad es il servizio pubblico deve essere dato a parità di condizioni a tutti, cosa che non vale per un servizio
privato. Il servizio universale è quel servizio che deve essere dato a parità di condizioni dovunque. In alcuni
casi si giustifica una certa deroga alla concorrenza a garanzia della universalità del servizio: perchè
dovunque il servizio venga reso debba poter essere reso a parità di condizioni. Questo è il servizio
universale.
Accanto alle norme generali che disciplinano l'iniziativa economica, nella nostra costituzione troviamo anche
norme particolari che entrano nel merito di particolari tipi di attività economiche, come quelle relative alla
coltivazione della terra, alla cogestione delle imprese, alla cooperazione.
Sono norme particolari attraverso le quali la costituzione esprime una sorta di "favor" rispetto ad alcune
specifiche attività.
Emblematico è il caso dell'art 45 della costituzione che riguarda la mutualità e la cooperazione.
L'idea originaria della cooperazione nasce in Inghilterra nel 1844 con la costituzione della prima società
cooperativa (di consumo, cioè i soci cooperatori producevano e consumavano direttamente quanto prodotto).
Da allora la cooperativa come modalità di iniziativa economica si è diffusa e infatti abbiamo avuto vari tipi
di cooperative (cooperative edilizie, cooperative di lavoro).
L'essenza della cooperativa è la mutualità, che consiste nell'eliminazione dell'intermediario.
Nella cooperativa di consumo, gli stessi produttori vendono, e quindi viene eliminato chi commercializza il
prodotto.
La cooperativa edilizia realizza l'immobile e i cooperatori acquistano: viene eliminata la figura
dell'imprenditore edile che realizza l'immobile e lucra su questa attività.
Nella cooperativa di lavoro viene eliminata la figura dell'imprenditore, perchè è la cooperativa stessa
l'imprenditore: le cooperativa e i soci gestiscono l'impresa e viene meno il plusvalore (maggior valore che
l'imprenditore addebita rispetto al costo del lavoro).
La mutualità consiste proprio in questo: nell'eliminazione di forme di mediazione economica.
Nel nostro ordinamento la materia è disciplinata dall'art 45
Articolo 45
"La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di
speculazione privata (la cooperativa non ha fini di lucro ma distribuisce gli utili). La legge ne promuove e
favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le
finalità (il rischio è che vi siano le cosiddette cooperative spurie, cioè quei soggetti economici che assumono
formalmente la veste giuridica della cooperativa ma sostanzialmente si comportano come imprenditori
privati, per evitare ciò la legge deve prevedere opportuni controlli per garantire il carattere e le finalità della
cooperativa)
La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell'artigianato (riserva di legge rinforzata)"
La disciplina delle cooperative ha subito notevoli evoluzioni rispetto a quella originaria.
Vi sono particolari tipi di cooperative previste dal nostro ordinamento, come le cooperative sociali (legge
381 del 91) o la piccola cooperativa (legge 266 del 97).
La piccola cooperativa può essere composta da un minimo di 3 componenti, la cooperativa normalmente ne
richiede almeno 9.
Le cooperative sociali si caratterizzano per essere di due tipi:
- Di tipo A se svolgono attività socio assistenziali
- Di tipo B se utilizzano nello svolgimento di altre attività lavoratori appartenenti a determinate categorie.
La specificità della cooperativa sociale specie di tipo B: gli enti pubblici possono contrarre direttamente
senza procedure ad eminenza pubblica.
Il riconoscimento nel nostro ordinamento del carattere di mutualità prevalente consente di avere diverse
agevolazioni fiscali e previdenziali.
Tutto ciò collide con il diritto comunitario perchè riconoscere particolari agevolazioni fiscali e previdenziali
dà a questi soggetti cooperativi armi più forti nel confronto sul mercato, perchè possono fare offerte più
competitive.
Anche l'eventualità per le cooperative sociali di avere direttamente dalla pubblica amministrazione il
contratto collide col principio di libertà di concorrenza.
Aspetti significativi della disciplina della cooperativa sono: un importo minimo di capitale sociale, la
variabilità del capitale (che varia a secondo del num di soci), il principio democratico (un voto per ogni
soggetto cooperatore), un rapporto tra socio e società legato all'intuitu personae cioè al valore della persona,
quindi l'ingresso nella cooperativa è anche frutto di una valutazione sulle caratteristiche personali.
Nelle cooperative di lavoro il socio lavoratore è assimilabile al lavoratore subordinato.
L'art 45 oltre a disciplinare con questo favor le vere cooperative, quelle che cioè perseguono uno scopo
mutualistico, prevede una particolare disciplina per l'a