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CAPITOLO II
LA TUTELA DELLE VITTIME DI VILAZIONI DEL DIRITTO ALLA VITA E DEL
DIVIETO DI TORTURA
1. Premessa
Questi due diritti umani: il diritto alla vita e il diritto dell’individuo a non essere
torturato hanno tra loro dei collegamenti: si ha un cumulo di violazioni se alla tortura
segue la morte della vittima, o se le modalità praticate dallo Stato per uccidere un
individui costituiscono da sole una tortura. Ma ci sono anche differenze.
Nel caso del diritto alla vita, ci sono circostanze eccezionali che consentono allo Stato
di privare un individuo della vita, con la conseguenza che l’obiettivo di chi intende
tutelare i diritti umani sta nel restringere il più possibile il numero e la portata di
queste circostanze. Nel caso del divieto di tortura, non vi è alcuna circostanza in cui la
tortura sia consentita.
2. Gli obblighi positivi
Sia la tutela del diritto alla vita, sia la proibizione della tortura impongono agli Stati
una serie di obblighi positivi, detti obblighi di fare, che impegnano lo Stato a tenere
determinati comportamenti.
- Diritto alla vita
Per quanto riguarda il diritto alla vita, gli organismi internazionali di tutela dei diritti
umani hanno affermato gli obiettivi positivi di:
Prevenire le violazioni non solo da parte di agenti di Stato, ma anche di privati;
Indagare in modo tempestivo, efficace e imparziale, cosi da individuare i
responsabili, processarli e sanzionarli;
Adottare adeguate misure legislative per rendere efficaci sia la prevenzione sia
la sanzione di violazioni;
Garantire un risarcimento e un rimedio adeguato ai famigliari delle vittime.
Secondo gli organismi internazionali l’apertura di un procedimento su violazioni del
diritto alla vita non richiede denunce ma deve essere effettuata d’ufficio dalle autorità
qualora vi siano fondate ragioni di sospetto. Le indagini devono essere svolte da
autorità indipendenti e imparziali. Se sono oggetto di procedimento gli agenti dello
Stato devono essere sospesi dal servizio sino a quando si accerti la loro estraneità ai
fatti. Gli atti del procedimento devono essere accessibili ai famigliari delle vittime e lo
Stato deve offrire a questi un’adeguata protezione da minacce e attentati.
Vi sono delle tendenze a estendere il contenuto di tale diritto soprattutto nell’ambito
della protezione della salute e nella garanzia da parte dello Stato di un degno tenore di
vita per tutti gli individui che si trovino sotto la sua giurisdizione. Su questi temi si
presuppone un’interpretazione del diritto alla vita che comprende aspetti sociali,
economici e culturali, non si sono ancora delineati criteri giurisprudenziali comuni.
Il Comitato dei Diritti Umani ha indicato nel commento generale n 6 del 1982
che il diritto alla vita non può essere interpretato in modo restrittivo e che la
protezione dello stesso richiede l’adozione di misure di natura positiva da parte
degli Stati. Il Comitato ha segnato l’opportunità che gli Stati si adoperino per
ridurre la mortalità infantile e innalzare l’aspettativa di vita, eliminando in
particolare la malnutrizione e le epidemie.
Nel commento generale n 31 del 2004 riguardante la natura dell’obbligo
generale di rispetto dei diritti umani, il Comitato ha ribadito che gli Stati parte
assumono obblighi sia negativi sia positivi, in particolare per quanto riguarda
l’adozione di misure legislative adeguate per assicurare la prevenzione di
violazioni dei diritti umani, lo svolgimento di indagini che permettano di
individuare i responsabili. Il Comitato ha inoltre precisato che gli obblighi dello
Stato sono violati anche se lo Stato non ha preso adeguate misure o non ha
esercitato la dovuta diligenza per prevenire e punire comportamenti lesivi di
diritti umani.
Nelle osservazioni di Ottobre 2010 sul caso Novakovic c. Serbia il Comitato ha
richiamato il commento generale n 6 del 1982 per riaffermare l’esistenza di
obblighi positivi di tutela del diritto alla vita.
La Corte Europea dei Diritti Umani viene con frequenza chiamata a determinare
la portata degli obblighi positivi correlati all’art 2 della Convenzione, soprattutto
i casi relativi alla tutela del diritto alla salute, come condizione per il godimento
reale del diritto alla vita. La Corte con una sentenza del 1990 sul caso L C B del
Regno Unito riconobbe che l’arti 2 della Convenzione non implica solo l’obbligo
degli Stati di astenersi dal privare arbitrariamente della vita gli individui, ma
anche quello di adottare misure adatte per proteggere in generale la vita
umana.
La Corte è tornata più volte a pronunciarsi sugli obblighi positivi degli Stati per
la tutela del diritto alla vita nella sfera della salute, chiarendo che gli Stati
hanno l’obbligo di adottare norme per far sì che gli ospedali, pubblici o privati,
prendano le misure necessarie per tutelare la vita dei pazienti e l’obbligo di
creare un sistema di controllo imparziale ed efficace per valutare la causa della
morte dei pazienti e la condotta del personale medico e per garantire i
risarcimenti dei danni causati.
In occasione in un’altra sentenza la Corte indicò che l’interpretazione degli
obblighi positivi connessi all’art 2 va distinta in due aspetti: quello sostanziale e
quello procedurale. Il primo va inteso come l’obbligo di adottare disposizioni
legislative e amministrative adeguate per prevenire minacce al diritto alla vita
(licenze, controlli di sicurezza impianti); per quanto riguarda l’aspetto
procedurale la Corte chiarì che nel caso in cui vi sia stata la perdita di vite
umane in circostanze che potrebbero comportare una grave colpa di organi
dello Stato vi è un obbligo dello Stato stesso di assicurare che vi sia una risposta
adeguata affinchè le disposizioni sulla protezione della vita vengano
effettivamente applicate e eventuali violazioni vengano indagate e sanzionate.
Gli obblighi positivi non si limitano a un’indagine ma comprendono tutte le fasi
del processo, in modo da assicurare l’effetto deterrente del sistema giudiziario.
La portata dell’obbligo positivo dello Stato dipende dall’origine della minaccia e
da come essa possa essere fronteggiata e mitigata.
La Corte EU ha anche affermato l’esistenza di un obbligo positivo per lo Stato di
adottare speciali misure di protezione di persone la cui vita si presumibilmente
a rischio per via di minacce ricevute a causa, per esempio, dell’attività
professionale svolta.
La Corte Eu sta sviluppando una giurisprudenza di riferimento anche per quanto
riguarda l’obbligo degli Stati di adottare misure efficaci per la tutela del diritto
alla vita di persone che subiscono minacce in contesti di vita domestica.
Nell’ambito interamericano si registrano vari tentativi di ampliare
l’interpretazione del diritto alla vita da parte sia della Commissione sia della
Corte Interamericana. Sono stati accertati l’obbligo dello Stato di adottare
misure positive per garantire la salute e l’obbligo dello Stato di adoperarsi per
garantire concretamente tutte le condizioni necessarie per sopravvivere ma
anche per vivere una vita degna. La Corte insiste particolarmente nel richiamare
gli Stati agli obblighi di tutela del diritto alla vita, specie quando vi sono
minorenni, specie in condizioni di vulnerabilità.
A seguito di alcune sentenze la Corte specificò che lo Stato deve adottare un
insieme di norme idoneo a tutelare il diritto alla vita, prevenendo le minacce allo
stesso, deve assicurare l’esistenza di un sistema giudiziario capace di
sanzionare e garantire il risarcimento dei danni causati sia da agenti statali sia
da privati, e deve salvaguardare l’accesso agli individui che si trovino sotto la
propria giurisdizione a condizioni che garantiscono una vita degna.
Secondo la Corte gli obblighi positivi non devono essere interpretati in modo da
imporre agli Stati un onere impossibile o palesemente sproporzionato. si dovrà
valutare se al momento del verificarsi della violazione gli Stati avessero info per
accertare l’esistenza di un rischio reale e immediato per la vita di qualcuno e ciò
nonostante non abbiano adottato tutte le misure per la prevenzione.
Nella giurisprudenza della Corte Interamericana è stato più volte ribadito che lo
Stato ha un obbligo positivo di pianificare nel rispetto dei parametri
internazionali le operazioni dei propri agenti di sicurezza.
Nella giurisprudenza della Commissione Africana dei Diritti Umani e dei Popoli la
decisione più rilevante ai fini degli obblighi positivi di tutela del diritto della vita
è quella del 2001 relativa alle popolazioni Ogoni in Nigeria, nella quale venne
chiarito che lo Stato, prima di concedere lo sfruttamento dei giacimenti di
petrolio sul proprio territorio, deve valutare se le attività di estrazione e
raffinazione possano pregiudicare la salute della popolazione locale, la sua
possibilità di alimentarsi e usufruire dell’acqua e la salubrità dell’ambiente.
- Divieto di tortura
Per quanto riguarda il divieto di tortura gli organismi internazionali di tutela dei diritti
umani hanno affermato i seguenti obblighi positivi:
Proteggere le persone che si trovino sotto la propria giurisdizione da torture e
trattamenti inumani o degradanti, anche se inflitti da privati;
Indagare in modo tempestivo, imparziale ed efficace quando si verifichi un caso
di tortura o trattamento inumano o degradante, in modo da rendere possibile
l’identificazione, il giudizio e la sanzione dei colpevoli;
Introdurre nei codici penali il reato di tortura e prevedere per lo stesso pene
adeguate alla gravità della condotta;
Fornire un addestramento e una preparazione che consentano al personale delle
forze armate, delle forze dell’ordine e a coloro che sono incaricati di sorvegliare
persone private della libertà di non incorrere in violazioni della proibizione di
tortura e trattamenti inumani o degradanti;
Garantire un’adeguata riparazione alle vittime di tortura e trattamenti inumani o
degradanti e ai loro congiunti.
Per quanto concerne l’obbligo di indagare il Comitato dei Diritti Umani nel
commento generale n 20 del 1992 ha sostenuto la lettura congiunta dell’art 7
relativo alla tortura e dell’art 2 par 3 del Patto che riconosce il diritto a un
rimedio effettivo in caso di violazione dei diritti ivi riconosciuto e garantiti. Il
Comitato ha ritenuto che gli Stati debbano garantire che denunce di violazioni
dell’art 7 del Patto siano indagate senza ritardo e imparzialmente dalle autorità
competenti e che ciò debba essere adeguatamente previsto anche dalla
legislazione nazionale. Gli Stati hanno l’obbligo di avviare d’ufficio indagini
qualora vi siano fondate ragioni per ritenere ch