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IL TEATRO DI SHAKESPEARE.

Possiamo parlare di un’infinità di Shakespeare da quello principale a quello moderno. Il

rapporto messo in scena in epoca elisabettiana e quello allestito oggi è problematico

sia per il significato delle opere e sia per la loro ricezione presso il pubblico. Anche la

relazione tra lo Shakespeare scrittore e la sua realtà biografica è tutt’altro che privo di

problemi in quanto è difficile stabilire un nesso convincente fra vita e opere. Lui cercò

in tutti i modi possibili di situare il discorso e l’azione delle opere in un preciso

ambiente fisico e artistico, quello appunto del teatro elisabettiano. Shakespeare era

prima di tutto uomo di teatro in quanto, già da prima di comporre, era attore presso la

compagnia dei Lord Chamberlain’s Men. La sua carriera come attore si presume sia

iniziata negli anni Ottanta del Cinquecento, mentre le prime notizie di lui come

drammaturgo risalgono al 1592. Shakespeare fu proprietario del Globe Theatre e

successivamente del Blackfriars Theatre. Shakespeare possedeva il 12.5% di share

della proprietà perciò ne ricavava una parte cospicua. All’epoca di Shakespeare si

usava dire “ascoltare un dramma” e non a caso, in un suo prologo, il drammaturgo

contemporaneo di Shakespeare (Thomas Dekker) ritrae Shakespeare come una sorta

di Orfeo in grado di domare il pubblico. Lui aveva l’abilità di creare simbiosi tra

orecchio e udito e molti si chiesero come riuscisse in questa impresa. Harnold Bloom

sostiene che Shakespeare ha inventato l’uomo moderno o, addirittura, l’umano. Il

teatro elisabettiano vedeva il dominio dell’attore, i cui gesti, voce e costume dovevano

essere il motore dinamico dello spettacolo. Nel teatro shakespeariano ogni battuta

costituisce la costruzione della soggettività dell’individuo. Spettava all’attore tramite

le sue battute, i suoi gesti e il suo costume di far capire il suo personaggio e far

scoprire le relazioni di classe/gerarchia. Alcuni critici si lamentarono per l’utilizzo di

pochi oggetti di scena e dei mezzi scenici. Shakespeare richiederà esplicitamente ai

Hanry V

propri spettatori, senza ironia, nel Prologo di di trasformare i pochi attori della

compagnia in un vasto esercito. Su questo patto convenzionale fra attori e pubblico si

basava il teatro elisabettiano in tutta la sua potenza. Sono tre le proprietà spaziali e

culturali del teatro elisabettiano che rendono possibile l’emergere dell’attore-

personaggio shakespeariano: l’apertura, la multi dimensione e la fluidità. L’apertura

dipendeva dalla forma del palcoscenico che era di necessità aperto privo di ostacoli e

oggetti scenici. Gli unici aspetti fissi erano il fondo della scena ornato di pitture e due

porte di ingresso-uscita. Questo consentiva agli spettatori un accesso visivo e uditivo

privo di barriere e la possibilità di svolgersi in modo rapido e dinamico. Si parla di una

durata della rappresentazione di circa due ore, senza cambi di scenografia. La seconda

proprietà è la multidimensione che riguardava la struttura dello stesso palco e la sua

articolazione nello spazio. Era di una straordinaria ampiezza e permetteva a tutti gli

attori di stare contemporaneamente sul palco dove necessario. Parliamo di una

dimensione orizzontale che è svolto insieme alle due porta di scena, dietro le quali vi

era uno spogliatoio che permetteva ingresso e uscita. L’utilizzo delle due porte

giocava anche un ruolo simbolico nel rappresentare due realtà spaziotemporali distanti

tra loro. Ad esempio in Hamlet il fantasma conduce il figlio in un luogo appartato,

lontano da Orazio e dagli altri presenti, e i due attori escono da una porta per poi

rientrare dall’altra. Non meno significativa è la rappresentazione verticale della scena,

creata grazie a tre aree di recitazione: sottopalco, palco e sopra il palco. Gli attori

elisabettiani chiamarono questi come inferno e paradiso. Non a caso il nome del

secondo teatro della compagnia di Shakespeare, The Globe, allude alla nozione del

Hamlet

Theatrum Mundi: il teatro nel mondo intero. In la tragedia fa leva non solo

sull’antica opposizione sopra-sotto (paradiso-inferno) ma anche sul significato

teologico del lessico. In Amleto, appunto, si cerca di capire la natura del fantasma del

padre. Non capisce se la sua presenza è una cosa positiva o negativa.

Successivamente entra in scena il fantasma stesso ma entra di sotto, dall’inferno,

tramite la botola creando questa opposizione sopra-sotto/paradiso-inferno. La terza

dimensione è la fluidità e riguarda il rapporto fra scena e platea. Il palco era dotato di

una notevole profondità e l’attore era in grado di stabilire rapporti di vicinanza con il

pubblico. Hamlet nasce dalla possibilità di esprimere l’interiorità del personaggio-

individuo pensando ad alta voce. Il miracolo del teatro elisabettiano è quello di aver

creato una drammaturgia privata, quella del soggetto che interroga se stesso

all’interno di una vasta arena pubblica. Shakespeare è sperimento della creazione del

personaggio-io. (I personaggi Richard e Amleto sono stati interpretati da Burbage). La

tetralogia dei drammi storici in cui vediamo Henry I,II,III,IV, essenzialmente corali,

Richard III

vede anche che è l’ultima opera di questa tetralogia che vede già da subito

l’entrata in scena del protagonista che scambia battute. Questo è il primo dramma

shakespeariano a dar voce al soliloquio. Costringe lo spettatore ad entrare in un

rapporto di intimità con l’attore. Vediamo a presentazione del hinc et nunc, io qui ed

ora. In Riccardo abbiamo tre dimensioni temporali: il momento storico del personaggio

(1471 dopo la vittoria degli York), il momento storico della messa in scena (1591-1592)

e il momento in cui il personaggio si rivolge al suo uditorio. Questo rende il

personaggio storico e mitico un io-qui-ora tramite la magia della finzione scenica.

Riccardo inoltre porta una maschera che inganna il pubblico. A differenza di Riccardo,

Amleto offre una gamma di monologhi e soliloqui diversificati tra loro. Se il famoso

monologo “to be or not to be” pare a primo ascolto un’interrogazione sulle ragioni

profonde del vivere, in realtà ad una lettura più attenta si vede un dibattito sulla

questione vita-morte. Un altro aspetto della fluidità del teatro elisabettiano è che si

trattava di una scena pluriprospettica in quanto permetteva l’uso di tutte le aree

recitative del palco e chiedeva molta agilità da parte degli attori. Shakespeare è inoltre

il primo drammaturgo inglese a dare spazio sia discorsivo che scenico alla donna. Nel

teatro elisabettiano le parti femminili erano interpretate da uomini. L’esempio più

clamoroso di un personaggio femminile che riempie la scena è senza dubbio

Cleopatra, la quale mette in primo piano le proprie passioni e l’ira e dalla disperazione

alla morte di Antonio, in un monologo sul suicidio diretto al pubblico (ricorda Hamlet).

Cleopatra era considerata la regina dell’avanscena e eroina shakespeariana. All’inizio

della scena stessa della morte di Antonio, Cleopatra spaventata dall’ira dell’amante

che ha tradito in guerra, si nasconde nel suo monumento e fa arrivare ad Antonio

notizie della sua morte, cosa che porterà al suicidio vero di Antonio. Non c’è zona del

palcoscenico che non sia dominio della regina egiziana. Altro personaggio femminile

che domina in tutti i sensi la scena è Lady Mcbeth. Vi sono protagoniste anche

comiche, in quanto nella commedia shakespeariana la donna si dimostra sempre

superiore all’uomo, anche nel campo dell’intelligenza. Le eroine delle sue commedie

scelgono di recitare parti maschili attraverso il travestimento che diventa una

ricorrente trovata drammaturgica all’interno delle trame comiche di Shakespeare.

Questo permette alle eroine di salvarsi e di acquistare indipendenza come donne. Il

travestimento, infatti, è visto come un rito di passaggio da una condizione

adolescenziale ad una di piena maturità femminile.

PROSA.

Ciò che accomuna tutti i testi in prosa scritti è il principio oraziano dell’unione dell’utile

e del dilettevole come fine della poesia. Nel primo gruppo di opere vediamo come

Utopia The Boke Named the

l’intento didattico è dominante: di Thomas More,

Governour The Schoolmaster

di Thomas Elyot e di Roger Asham. La prima fu

pubblicata in latino nel 1516 e poi tradotta in inglese nel 1551, scritta, quando More si

trovava nei paesi bassi, in forma di dialogo e divisa in due libri di contenuto diverso.

Vediamo un’aspra critica delle istituzioni politiche, sociali e religiose. Nel secondo

viene descritto il funzionamento legislativo e i costumi degli abitanti di un’isola

immaginaria dove viene praticata la democrazia. E’ dedicato ad Henry VIII e fu

pubblicato nel 1531 come trattato di filosofia morale destinato all’istruzione di giovani

che vogliono ricoprire ruoli di autorità. Anche nel terzo vediamo l’istruzione come tema

principale e fu pubblicato nel 1570, due anni dopo la morte del suo autore. E’ un vero

e proprio trattato di pedagogia. Oltre che dall’Umanesimo, un notevole sviluppo venne

anche dalla prosa del XVI secolo del protestantesimo come i sermoni. L’opera di The

carattere religioso più popolare fu il colossale lavoro del protestante John Foxe con

Acts and Monuments of the Church, The Book of Martyrs,

anche noto come pubblicato

nel 1563. Con la Riforma, in tutto il mondo divenne fondamentale che i fedeli

potessero leggere la Bibbia nella loro lingua. I primi traduttori furono Tyndale che

tradusse prima il Nuovo e poi il Vecchio Testamento, la cosiddetta Great Bible che nel

1539 ricevette un riconoscimento ufficiale. La Geneva Bible nel 1560, fu ad opera di

rifugianti protestanti che lasciarono il paese durante il regno della cattolica Mary Tudor

(1553-1558). La chiesa elisabettiana nel 1568 produsse una versione più moderata, la

Bishops Bible che divenne la versione ufficiale utilizzata nelle chiese. Altre opere in

prosa, cronologicamente appartenenti al regno di Elisabetta I (1558-1603), mirarono

all’intrattenimento del pubblico. Gli anni ’60 e ’70 videro un interesse per la novella,

come la raccolta di William Painter. Negli anni ’70 si sviluppò anche la narrativa

The Adventures of Master F.J. Euphues:The

cortese, come di George Gascoigne e poi

Anatomy of Wit di John Lyly. Il primo narra avventure amorose tra il protagonista e una

gentildonna sposata. Quello che rende interessante e intrigante la narrazione è il gioco

tra i molteplici punti di vista. La storia è presentata infatti attraverso i dialoghi e la

relazione degli ev

Dettagli
A.A. 2017-2018
18 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-LIN/10 Letteratura inglese

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alessandra_-095 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura inglese e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università della Calabria o del prof Mancini Carmela Bruna.