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Concessione dello ius rispondendi ex autoritate principis Pag. 1
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STORIA DEL DIRITTO ROMANO

Mercoledì 13 Novembre 2019

Riguardo la CONCESSIONE DELLO IUS RESPONDENDI EX AUTORITATE PRINCIPIS le nostre

maggiori informazioni su questo argomento provengono da Gaio e da Pomponio.

Mentre ciò che ci raccontano in merito alle scuole è diverso quanto a portata, ma presenta

comunque un elemento comune ovvero l’idea che la contrapposizione tra cassiani e proculiani sia

stata emblematica nelle controversie giurisprudenziali tra il I e il II secolo d.C., nell’immagine dello

Ius respondendi, invece c’è qualcosa di profondamente diverso poiché si va a toccare un nervo

scoperto del rapporto giurisprudenza-potere imperiale.

Il racconto di Pomponio è sulla difensiva da parte della giurisprudenza e induce a pensare che

dello ius respondendi ci sia una versione buona ed una cattiva. Quella buona si ha quando il

principe si limita ad un atto formale, ovvero a riconoscere la sostanziale preminenza scientifica di

un giurista sull’altro che però è già emersa nel confronto fra i giuristi stessi. La sua degenerazione

vi è invece quando l’imperatore lo usa come elargizione rispetto anche a persone di inconsistente

levatura scientifica che vuole gratificare.

Il racconto dello ius respondendi da parte di Pomponio è scandito in tre momenti diversi ma il

terzo momento ne presuppone logicamente un quarto:

lo ius respondendi è un istituto introdotto da Augusto allo scopo, secondo Pomponio, di rendere

maggiore l’autorevolezza del diritto, pertanto l’intervento dell’imperatore viene considerato

positivo. Con Tiberio, però si riconosce lo ius respondendi anche a giuristi di bassa estrazione

sociale come nel caso di Masurio Sabino (di rango equestre).

Segue poi la fase di cui Pomponio non parla ma racconta un aneddoto legato ad Adriano, al quale

fu richiesto di concedere lo ius respondendi da parte di alcuni uomini che non erano neanche dei

giuristi in senso stretto ma avevano solamente ricoperto la pretura in passato, i viri pretorii.

Adriano quindi richiama al fatto che lo ius respondendi non sia una benevola elargizione ma lo si

deve guadagnare sul campo con la propria attività di giurista. (terzo momento che corrisponde in

realtà al quarto). Adriano molto probabilmente sta reagendo ad un malcostume che era invalso

nei decenni precedenti. Negli anni tra Tiberio e Adriano lo ius respondendi veniva regalato

semplicemente perché il principe voleva fare una benevola concessione.

Dunque, secondo Pomponio, Adriano sarebbe tornato ai buoni inizi, alla concezione augustea

dello ius respondendi, dove il principe deve solo riconoscere e certificare una capacità che spicca in

alcuni autori.

L’immagine che viene raccontata da Gaio è completamente diversa.

In Gaio l’immagine del giurista è subalterna, si sente che non è un grande giurista e che non si

considera tale, mentre Pomponio rivendica il ruolo della giurisprudenza.

L’atteggiamento di Gaio sembra essere avanti con i tempi e questo gli porterà molta fortuna in età

tardo antica, poiché muove da un’idea riguardante il diritto molto simile agli sviluppi di

quell’epoca.

Gaio è per certi versi indietro di decenni perché non conosce molte innovazioni legislative e

normative che ci sono state a Roma ma per altri è in anticipo di secoli.

All’inizio delle Istitutiones, Gaio tratta di Ius Gentium e Iura Populi Romani.

A sorreggere lo Ius Gentium, il diritto delle genti, c’è la naturalis ratio ovvero la ragione umana

condivisa dai i popoli modus et legibus rebundi, con una comune civiltà giuridica.

Iura populi romani, ovvero diritto proprio dei romani, è un complesso del diritto proprio dei

romani alla cui base vi è la volontà del popolo. Gaio, assumendo la legge comiziale come fonte di

diritto per eccellenza, offre un quadro piuttosto singolare. Qui è evidente che il diritto proprio di

Roma è prodotto dal popolo romano, poiché questo può approvare direttamente una legge

proposta dal magistrato. Purtroppo, però, quando Gaio scrive, la legge comiziale non si produce

ormai da decenni (l’ultima legge pubblica era stata prodotta sotto Nerva nel 97 d.C.). Di tutte le

altre fonti che producono diritto Gaio dice che hanno efficacia pari alla lex, vice legis obtinent.

Ne segue quindi che il diritto si produce solo tramite cose vincolanti e quindi emerge che Gaio ha

un’idea di diritto e di fonte del diritto che è completamente diversa da quella dei suoi

contemporanei.

Assumono in questo contesto particolare importanza i plebisciti e gli editti dei magistrati, in

quanto il popolo romano elegge il magistrato e quest’ultimo emana l’editto che contribuisce al

iura populi romani.

La volontà del popolo si esprime dunque tramite la mediazione del magistrato.

Lo stesso vale per le costituzioni imperiali che sono emanate dall’imperatore ma formalmente il

potere dell’imperatore riposa su una lex curiata de imperio, secondo la quale l’assemblea si

spoglia di tutti i suoi poteri per conferirli all’imperatore.

Quindi alla base delle costituzioni imperiali c’è la volontà del popolo tramite una mediazione.

E i giuristi? Perché i giuristi possano produrre qualcosa di assimilabile alla legge le mediazioni

richieste sono due.

Gaio (istituzione 1-7) prima menziona semplicemente tra le componenti del iura populi romani i

responsa prudentium, ovvero i responsi dei giuristi, poi quando va ad analizzare ciascuna

componente dei responsa prudentium dice che sono le sententiae et opiniones eorum, quibus

permissum est iura condere cioè le decisioni e le opinioni di coloro ai quali è stato permesso

produrre diritto. Per tutti i romanisti questa espressione vuol dire “di quei giuristi ai quali è stato

conferito lo ius respondendi”.

Il popolo romano con la lex de imperio conferisce il potere all’imperatore e questi, concedendo

lo ius respondendi investe della propria auctoritas il giurista.

Ma questo non basta perché il parere del giurista sia pari alla legge. Gaio, infatti, prosegue dicendo

che se queste sententiae in unum concurrunt in id quo consentiunt legis vige obtinent, quindi sono

di contenuto uniforme in ciò in cui acconsentono, quello tiene il posto della legge pertanto il

giudice è vincolato a quel parere reso in forma di sententia. Se invece questi pareri sono

dissenzienti, il giudice ha un vincolo meno stretto, infatti dovrà scegliere tra le sententiae che

preferisce purchè appartengano a giuristi investiti dello ius respondendi.

Il principe quindi risulta incidere fortemente sulle dinamiche del diritto giurisprudenziale,

entrando a gamba tesa cambia il volto e l’impatto delle pronunzie giurisprudenziali che a seconda

dei casi possono caricarsi di un’efficacia altrimenti impensabile.

Emblematica è la frase conclusiva del discorso di Gaio: et hoc divus Hadrianus rescripsit. Ciò

significa che quanto precedentemente presentato è stato stabilito da Adriano tramite un

rescriptum, quindi una costituzione a titolo particolare che rivela un tentativo del potere imperiale

di fare molto ordine all’interno delle dinamiche del diritto giurisprudenziale.

Dunque, l’Adriano che in qualche modo risulta essere protagonista della scena giuridica

presentato da Gaio è lo stesso imperatore che Pomponio descrive come colui che è tornato al sano

uso augusteo dello ius respondendi, colui che sceglie di non intromettersi in quelle stesse

questioni.

Pomponio e Gaio quindi veicolano due immagini diverse del diritto e del ruolo dei giuristi nella sua

produzione.

Ma se c’è una cosa che colpisce nelle testimonianze della giurisprudenza di questo che è stato

considerato il suo periodo d’oro, tra il II e il III secolo d.C., è il carattere elitario ma allo stesso

tempo paritario del confronto giurisprudenziale. Ci sono, infatti, anche casi di grandi giuristi

corretti da piccoli giuristi (si ritorni ad un passo di Ulpiano in cui Giuliano, il più grande giurista del

II secolo recte a Mauriciano reprehensum in hoc, ovvero fu correttamente ripreso da Mauriciano,

giurista infinitamente minore, su una determinata questione.)

Ma le Istitutiones di Gaio perché hanno ai nostri occhi questo statuto particolare?

Innanzitutto le Istituzioni di Gaio sono l’unica opera di un giurista romano che possiamo leggere

dall’inizio alla fine, grazie ad un ritrovamento fortuito. Nella biblioteca capitolare di Verona lo

studioso tedesco Georg Barthold Niebhur all’inizio del XIX secolo, trovò questo palinsesto che era

stato raschiato e sul quale furono scritte le epistole di San Girolamo, ma grazie ad una serie di

reagenti chimici si riuscì a far riaffiorare la scrittura sottostante. Potendone leggere il testo per

intero si afferma l’idea che l’autore dell’opera sia Gaio, probabilmente un giurista di provincia o

semplicemente un maestro.

Purtroppo però l’opera di Gaio è piuttosto diversa da quello che noi possiamo immaginare fossero

le opere dei giuristi romani. È infatti un’opera destinata principalmente alla scuola, con un

linguaggio molto semplice e lineare, che fu adottata per circa tre secoli in ambito del diritto fino a

quando l’imperatore Giustiniano non si interessò di tale materia nel VI secolo d.C.

È un testo con poca casistica, poca problematica. È un testo base che vuole dare nozioni, le più

semplici possibile a costo di semplificare molto le cose.

Dettagli
A.A. 2019-2020
4 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher iaamthewalruss di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del diritto romano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Siena o del prof Stolfi Emanuele.