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La necessità di salvaguardare il pluralismo informativo e la parità di condizioni dei partiti

Su tale carattere di necessità, connessa alla salvaguardia del pluralismo informativo inteso come diritto dei cittadini a ricevere una informazione completa ed imparziale, tratto dall'art. 21 Cost. e della parità di condizione dei partiti nella concorrenza alla determinazione della politica nazionale ex art. 49 Cost., v.P.Caretti, Introduzione, in Il diritto delle radiodiffusioni e delle telecomunicazioni, 2000, p. 13.

Come evidenziato da R. Zaccaria, op.cit., p.422, la parità di trattamento riservata dalle emittenti alle forze politiche rappresenta un principio "non assoluto, ma relativo, che ha un senso fintantoché in un certo paese alcuni partiti politici abbiano una rappresentanza significativa e siano in grado di influenzare il processo decisionale."

Ciò detto, autodisciplina e regolamentazione legale non sono, ovviamente, del tutto fungibili: tacendo d'altro, basterà notare che l'autodisciplina non incontra limiti di legittimità cui soggiace la legge: sicché se la regolamentazione legale può risultare in se

costituzionalmente necessaria, i suoi contenuti devono però in ogni caso armonizzarsi nella cornice dei diritti fondamentali che vengono coinvolti. I precetti dell'etica comunicativa vengono dunque a giuridicizzarsi attraverso la mediazione della legge, chiamata ad individuarne e positivizzarne le prescrizioni, attraverso una delicata opera di bilanciamento tra gli interessi in gioco, e cioè da un lato la libertà di espressione e la libertà di iniziativa economica, e dall'altro quelli sottesi all'art. 1 co.2 Cost, ponendo diritti, obblighi, divieti, sanzioni, che si traducono in corrispondenti limitazioni della sfera di autonomia autonomia tanto dei partiti quanto delle emittenti. Il limite che la par condicio non può in nessun caso valicare è rappresentato dal fatto che essa può riferirsi unicamente alle modalità ed alle forme dell'espressione (e sempre nel limite di un ragionevole bilanciamento), ma non

Può mai incidere sullalibertà di espressione i quanto tale, e cioè sui contenuti dell’espressione di partiti e diemittenti. Certo, la delimitazione del confine tra contenuto e forma dell’espressione,può risultare labile ed incerto, nel momento in cui si cerca di stabilirlo nell’ambito diuna attività comunicativa, quale quella televisiva, nella quale forma, modo econtenuto tendono ad intersecarsi e ad intrecciarsi intimamente.

1.3. Il regime legale della par condicioLa necessità di una regolamentazione pubblicistica della par condicio determinal’esigenza di individuare i soggetti interessati, le attività comunicative alle quali essasi rivolge; il regime proprio di tali attività comunicative; le sanzioni in caso diviolazione degli obblighi.dei mezzi di comunicazione si trovano in posizione dominante, capace di influenzare fortemente l’opinione pubblica e dicondizionare le opinioni dei cittadini”.

Cioè gli artt. 48, 49, 50, 51, 71, 75 e 138.; cfr. A.Pace, Sovranità popolare e mass media cit.11 10

Questi aspetti non possono che essere disciplinati, quanto meno nei loro profili essenziali, ma pur sempre in modo ben circostanziato dalla legge, in ragione delle riserve, pur tra loro differenti, poste dagli artt. 21 e 41 cost.. Inoltre, la disciplina, pur configurandosi in termini uniformi per gli aspetti principali, va necessariamente modulata in rapporto alle differenti caratteristiche dell'emittenza (nazionale e locale; privata e di servizio pubblico), come pure in relazione al fatto che l'attività comunicativa si svolga o meno in concomitanza con competizioni elettorali o referendarie.

Più in particolare la regolamentazione può riguardare sia l'attività comunicativa che i partiti esercitano utilizzando il mezzo radiotelevisivo, distinguendo nelle forme e nei modi, sia l'informazione relativa ai partiti che viene somministrata dalle

emittenti.Agli aspetti contenutistici si accompagnano quelli organizzativi: occorre cioè individuare i soggetti pubblici ai quali demandare le funzioni di regolamentazione esecutiva, di vigilanza e di carattere sanzionatorio, in una materia sensibile, che per sua natura richiede una gestione obbiettiva, neutrale e quindi sottratta all’indirizzo politico del governo, secondo lo schema proprio delle c.d. amministrazioni indipendenti.

2.0. La regolamentazione della comunicazione politica radiotelevisiva nell’esperienza italiana

Nel caso italiano, l’esigenza di regolamentare l’utilizzazione del mezzo radiotelevisivo da parte dei partiti ha trovato risposte molto diversificate nel tempo. Dall’esordio della televisione fino agli inizi degli anni 60, negli anni del centrismo, si scelse di mantenere la remittenza, esercitata in regime di monopolio pubblico, in una condizione di apparente separazione e neutralità, negando cioè la stessa possibilità

di impiegare il nuovo mezzo per attività di informazione e propaganda partitica. Tale preclusione, in verità, non discendeva da un espresso disposto legislativo, ma dalla precisa scelta politica di mantenere, negli anni della guerra fredda, mezzi di informazione e di propaganda reputati particolarmente potenti, sotto un rigido controllo governativo. Pur di impedire che la opposizione comunista e socialista potesse fruire, anche solo sporadicamente, a tali mezzi, si preferì negare tout court a tutti i partiti la possibilità di accedervi: sicché, fino al 1960, a nessun leader di partito, non solo di opposizione, ma anche di maggioranza, fu quindi concesso di parlare alla radio o di apparire in tv. Conseguentemente, anche quando, con la l. 4 aprile 1956 n. 212, si procedette ad un completo ridisegno della disciplina della propaganda elettorale, non fu nemmeno avvertita la necessità di affrontare il tema della propaganda via etere. La messa al bando dei

partiti cadde, così come era nata, senza specifici interventi legislativi, nel mutato clima politico degli esordi del centro sinistra, grazie anche all'indiretto sostegno della Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulle condizioni di legittimità del monopolio radiotelevisivo pubblico. La sent. 59 del 1960 chiarì, infatti, che "lo Stato monopolista di un servizio destinato alla diffusione del pensiero ha l'obbligo di assicurare, in condizioni di imparzialità ed obiettività la possibilità potenziale di goderne a chi sia interessato ad avvalersene per la diffusione del pensiero", chiudendo con ciò il ciclo della "RAI governativa", ed aprendo il capitolo nuovo dell'accesso e di quello che sarebbe stato in seguito indicato come il "pluralismo interno". La svolta venne segnata, come noto, da una comunicazione in Parlamento del 6 ottobre 1960 dell'allora Presidente del Consiglio Fanfani,

Nella quale si annunciava che, in preparazione delle successive elezioni amministrative, sarebbe stato consentito ai partiti di trasmettere una serie di conferenze stampa e di discorsi. Alla caduta del veto, seguì la necessità di regolamentare l'utilizzo, in condizioni di equità, della nuova possibilità di accesso al mezzo radiotelevisivo da parte dei partiti politici, che divenne un ambito di conflitto tra Commissione parlamentare di vigilanza, governo, partiti, Rai.

La compiuta definizione di un assetto di regolazione dell'accesso dei partiti al servizio pubblico, dentro e fuori dei periodi elettorali, secondo una impostazione che non sarebbe mai in seguito mutata nelle sue linee portanti, fu formalizzata.

tuttavia solo dopo molti anni, nell'ambito della riforma della Rai del 1975. La legge 103, includeva il "pluralismo politico" tra i principi informatori del servizio pubblico (art.1, co.2) e, cristallizzando la prassi precedente, riservava (art.4) alla Commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza sui servizi radiotelevisivi il compito di disciplinare direttamente rubriche di "tribuna politica", "tribuna sindacale", "tribuna elettorale", "tribuna stampa" che la RAI era obbligata a trasmettere. La legge, dunque, con una delega anomala, non accompagnata da alcun principio direttivo, demandava la regolamentazione dell'accesso dei partiti, e quindi la determinazione di diritti ed oneri ricadenti sui partiti e sull'emittente, alle disposizioni impartite da un organo parlamentare, per loro natura insindacabili. Nella sostanza, la materia veniva ad essere devoluta, tanto per i periodi elettorali, quanto perquelli non elettorali, ad una normativa "interna", per così dire "autogestita" dai 13 partiti sedenti nella Commissione parlamentare. Quanto alle forme dell'accesso, esse erano limitate a quelle configurate dalle "tribune", e cioè comizi televisivi degli esponenti dei partiti, ovvero trasmissioni nelle quali i rappresentanti dei partiti rispondono alle domande dei giornalisti, escludendo quindi ogni altra forma di propaganda politica, gratuita o a pagamento. In fine, la speciale disciplina dell'accesso dei partiti non toccava il tema ulteriore della non discriminazione dei partiti all'interno dei programmi di informazione della Rai, che veniva invece a rifluire in quello, più generale, della garanzia del pluralismo che la riforma del 1975 affidava al complessivo sistema di governo del servizio pubblico radiotelevisivo. Il problema dell'utilizzo del mezzo radiotelevisivo da parte dei partiti politici assume una prospettiva.del tutto nuova nel momento in cui, secondo le note ecaotiche modalità, il monopolio pubblico radiotelevisivo venne meno, per tappe successive, a partire dalla metà degli anni '70.C, Chiola, Notazioni sulla propaganda elettorale televisiva, in Studi in onore di M. Mazziotti di Celso, Padova, 1995, vol. I, p. 245. 13 La comparizione della emittenza privata, se per un verso determinò le condizioni di un prima inesistente pluralismo "esterno", di cui avrebbero potuto giovarsi anche i partiti, per l'altro comportò l'esigenza di concepire la regolamentazione del rapporto tra partiti ed emittenti private su basi necessariamente differenti da quelle sperimentate per il servizio pubblico, delle quali si è appena detto. Tale esigenza era resa tanto più impellente dal fatto che, con la nascita della emittenza privata, in una condizione di vuoto normativo, si apriva la possibilità di impiegare le emittenti, senza alcun limite.

Per la trasmissione, dentro e fuori delleca

Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
62 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher cecilialll di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Comunicazione televisiva e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Teramo o del prof Floris Roberto.