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Il linguaggio utilizzato dallo scrittore è semplice e chiaro,
sicuramente comprensibile da tutti, anche perché l’autore non fa
uso frequentemente di termini specifici; i concetti espressi sono di
facile comprensione, anche se, secondo me, bisogna possedere
almeno delle minime nozioni generali riguardanti la materia
descritta, poiché Goethe dà per scontato alcuni concetti; per
esempio parla di rifrazione con manifestazione di colore o di
immagini spostate mediante rifrazione senza comunque spiegare il
fenomeno fisico.
Il libro presenta una struttura logica che consente al lettore di
capire meglio il testo;
all’ inizio l’autore analizza il fenomeno della luce (luminosità e
ombra) e gli effetti che subisce l’occhio (soprattutto lo spostamento
della retina); poi parla del colore come manifestazione luminosa e lo
suddivide in due argomenti (fisiologici e patologici); quindi tratta dei
colori “veri”, distinguendoli in fisici e chimici; scrive dell’ equilibrio
cromatico, poi della mescolanza, della fissazione, della
trasmissione, quindi analizza vari aspetti della natura, quali
minerali, mammiferi, uccelli, in relazione al colore; come ultimo lo
scrittore esprime i rapporti di prossimità con altre materie e gli
effetti sensibili-morali che ne seguono.
Oltretutto Goethe ha diviso il suo libro in piccoli paragrafi numerati
(dall’ 1 al 920); secondo me è stata una scelta intelligente, poiché
nel momento in cui doveva fare riferimento ad un certo specifico
argomento, gli è bastato scrivere il numero corrispondente del
verso, cosicché sono tornato indietro facilmente e ho riletto le righe
che servivano a chiarire il concetto finale.
Inoltre il testo è dotato di alcune schede allegate che permettono di
seguire meglio la spiegazione dell’autore (ovviamente sono presenti
i riferimenti per l’utilizzo delle tabelle).
Per quanto riguarda l’utenza, a mio parere questo volume è
destinato a qualsiasi persona che abbia un minimo di conoscenze
fisiche; risulta divulgativo per la chiarezza espositiva e la linearità
del linguaggio.
Questo libro è sicuramente interessante, mi ha dato nuove
conoscenze riguardo al colore e alla luce; una nota sicuramente
positiva è l’inserimento abbastanza frequente di esperimenti e
esempi che rendono ulteriormente comprensibile l’argomento
trattato.
Mi è piaciuto anche perché l’autore non si dilunga inutilmente per
esprimere un concetto, ma scrive il necessario per descriverlo e
farlo capire.
Goethe lavorò con intensità dal 1790 circa a questo saggio, che
venne poi pubblicato a Tubinga nel 1810. La decisione di occuparsi
in profondità del fenomeno del colore venne a Goethe soprattutto in
Italia quando, in stretto contatto con artisti e pittori, sentì la
necessità di avere idee e concetti chiari che lo aiutassero nella
colorazione dei quadri. Giunse ben presto alla convinzione "che i
colori, in quanto fenomeni fisici, dovevano essere studiati partendo
dalla natura, se si vuole ottenere qualche conclusione in relazione
all'arte" (Farbenlehre Historischer Teil, Konfession des Verfassèrs).
La teoria è tutta incentrata sul rifiuto dell'allora dominante teoria
newtoniana del colore, secondo cui esso era una componente della
luce: i colori, secondo la teoria corpuscolare della luce, erano cioè
l'effetto delle diverse proporzioni delle loro miscele. Ma per Goethe
la spiegazione di Newton, basata sulle quantità e su quanto è
misurabile, lasciava fuori l'essenziale del colore, vale a dire la
specifica "qualità del colore", come essa ci si presenta per esempio
nel giallo, nel rosso e nel blu. Soltanto con la trasformazione della
luce nell'occhio di chi guarda si forma il singolo colore. La "teoria
dei colori" goethiana si distanzia cioè già nella motivazione da
quella delle scienze naturali. Egli ricerca infatti nel colore, quale
fenomeno della natura, un chiarimento sulla possibilità di usarlo
quale mezzo artistico. Da ciò la necessità di trovare una legge che
spieghi sia il fenomeno, sia la sua azione sull'uomo. Goethe non
vuole quindi studiare nè la luce nè l'occhio: li dà come già
conosciuti; lo interessa soltanto il vivo rapporto dei due, quale si
manifesta nel colore. Non è quindi possibile paragonare la Teoria dei
colori all'Ottica di Newton. La teoria goethiana infatti, per quanto
errata fosse nel campo della fisica la sua polemica contro Newton,
rappresenta un tentativo di spiegare il "colorato" mondo che ci
circonda e che l'uomo recepisce con i sensi: essa vuole cioè
oggettivare il mondo pur a un livello di soggettività. Così anche lo
spirito degli esperimenti goethiani differisce profondamente da
quello tipico degli esperimenti delle scienze naturali, in quanto in
essi "l'oggetto non è isolato nè dai suoi rapporti con gli altri
fenomeni, nè dal suo legame con l'osservatore: gli esperimenti
goethiani mantengono sempre il loro carattere di esperienza",
(Erlebnis). L'opera è divisa in tre parti: una didattica, una polemica
e una storica. Nella prima parte Goethe esamina i colori secondo il
loro aspetto "fisiologico" (quale prodotto dell'occhio), "fisico"
(messo in evidenza da vari mezzi: prismi, lamine sottili) e "chimico"
(in quanto il colore aderisce ai corpi come le vernici). Nell'ultimo
capitolo di questa prima parte viene esaminata l'azione sensoriale e
morale dei colori; da questi deriva poi la loro azione estetica. Nella
seconda parte Goethe confuta la teoria di Newton e per far ciò
riporta lo stesso testo del primo libro dell'Ottica: accusa Newton di
aver barato per poter giungere alle conclusioni che si era prefisse.
Nella terza parte esamina le teorie sul colore quali si erano
susseguite dai Greci fino alla teoria del Newton.
Il grande tedesco ha “elaborato” una sua teoria dei colori, esposta
nella suo saggio Zur Farbenlehre (La teoria dei colori), pubblicato
nel 1810 ma i cui primi studi risalgono al 1790. Servendosi di un
prisma di cristallo, Newton aveva scoperto che la luce bianca è
scomponibile in raggi ai cui differenti indici di rifrazione
corrispondono, nella percezione soggettiva, i diversi colori; il poeta
riteneva invece che la teoria di Newton “in virtù della
considerazione di cui gode ha ostacolato fortemente una libera
visione delle manifestazioni dei colori […] i suoi autentici
presupposti devono essere chiariti e gli antichi errori rimossi, se la
teoria dei colori deve cessare di rimanere indietro come è accaduto
fino ad ora rispetto a molte parti della teoria della natura meglio
elaborate”. [1]
Goethe infatti sostiene che la luce è un fenomeno semplice e i
colori derivano dalla contrapposizione polare tra chiaro e scuro, cioè
tra bianco e nero. Per quanto infondata, la teoria goethiana dei
colori si inserisce nella generale tendenza romantica a spiegare i
fenomeni naturali come effetti della polarità, cioè a ricondurre,
secondo un metodo induttivo, la molteplicità delle manifestazioni
ad un'unica legge fondamentale della natura: “si chiudano gli occhi,
si presti attento ascolto e dal più leggero soffio fino al più selvaggio
rumore, dal più elementare suono fino al più complesso accordo […]
sarà sempre la natura a parlare a rivelare la propria presenza, la
propria forza,la propria vita e le proprie connessioni, così che un
cieco, a cui l’infinitamente visibile fosse negato, in ciò che è udibile
potrà cogliere un infinitamente vivente” [2]
Un linguaggio universale della natura che sembra anticipare
Corrispondenze di Baudelaire; per il tedesco la Natura ci appare
come essa si fa percepire ai nostri sensi, e non un caos informe ma
neppure un meccanismo feroce e inspiegabile di leopardiana
concezione.
Terra di tale ispirazione fu l’Italia dove, a stretto contatto con artisti
e pittori, sentì la necessità di avere idee e concetti chiari che lo
aiutassero nella colorazione dei quadri (si dedicò infatti anche alla
pittura) Come ricorda Giulio Argan nell’introduzione al saggio “In
Italia il paesaggio nitido e colorito lo appassionava ancor più dei
capolavori antichi”. Giunse ben presto alla convinzione "che i colori,
in quanto fenomeni fisici, dovevano essere studiati partendo dalla
natura, se si vuole ottenere qualche conclusione in relazione
all'arte".[3]
La rivoluzionaria teoria goethiana sui colori rifiutava quella
newtoniana, basata sulle quantità e su quanto è misurabile,
lasciando fuori l'essenziale del colore, vale a dire la specifica