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COSTI DI ENTRATA, STRUTTURA DEL MERCATO E BENESSERE
In base al modello di concorrenza perfetta qualunque numero di imprese e distribuzione della
grandezza della stesse è possibile, a condizione che ciascuna impresa sia sufficientemente
piccola da far si che l’ipotesi di comportamento pricetaking sia appropriata. Un equilibrio con
libertà di entrata è caratterizzato da un insieme di imprese attive tale che: nessuna impresa
attiva desidera uscire dal mercato, nessuna impresa non operativa desidera entrare nel mercato.
Il numero delle imprese è funzione crescente della dimensione del mercato ed è funzione
decrescente dei costi fissi e variabili. La relazione intercorrente tra numero delle imprese e
dimensione del mercato è approssimativamente quadratica: per raddoppiare il numero delle
imprese la dimensione del mercato deve crescere di quattro volte e viceversa. Se il prezzo di
mercato fosse costante rispetto al numero delle imprese, allora la relazione tra dimensione del
mercato e numero di imprese sarebbe esattamente proporzionale: raddoppiando la dimensione
del mercato, avremmo che il numero delle imprese di equilibrio raddoppierebbe. Tuttavia
quando il numero delle imprese aumenta, il mercato diventa più competitivo e quindi il
margine di profitto unitario diminuisce; conseguentemente diminuisce anche il profitto lordo
per unità di prodotto, il che a sua volta limita il numero delle imprese che possono operare nel
mercato. Riassumendo quando la competizione di prezzo diventa più intensa il numero di
imprese attive in equilibrio cresce meno che proporzionalmente al crescere della dimensione
del mercato. Uno dei fattori che determinano la struttura del mercato è la struttura dei costi
delle imprese. La scala minima efficiente corrisponde a quel valore per cui il costo medio
dell’impresa è vicino al suo livello minimo. La struttura del mercato varia al variare della scala
minima efficiente: se la scala minima efficiente aumenta di un fattore pari a due, allora il
numero delle imprese diminuisce di un fattore pari a . In realtà se sia la dimensione del
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mercato che la scala minima efficiente aumentano nella stessa proporzione, il numero di
imprese di equilibrio rimane costante. Un altro modo per misurare di quanto i rendimenti di
scala sono crescenti è tramite il rapporto tra costo medio e costo marginale (coefficiente di
economie di scala). Se tale rapporto è maggiore di uno ci sono economie di scala, mentre se è
minore di uno ci sono diseconomie di scala; il costo medio è maggiore del costo marginale se e
solo se il costo medio è decrescente (economie di scala o rendimenti di scala crescenti sono la
stessa cosa). Un mercato è concentrato se le economie di scala sono maggiori o se la scala
minima efficiente è più grande; in un mercato con costi elevati presenta nell’equilibrio con
libertà di entrata un numero di imprese più piccolo. Sia la scala minima efficiente che le
economie di scala sono esempi di barriere all’entrata. La concentrazione del mercato è tanto
più alta quanto più alte sono le barriere all’entrata. Se tutte le imprese hanno accesso alla stessa
tecnologia, hanno informazione perfetta rispetto alle caratteristiche del mercato e il processo di
entrata è coordinato (le imprese quindi se entrare o no in modo sequenziale, conoscendo le
decisioni prese dai potenziali entranti precedenti) è possibile prevedere esattamente il numero
delle imprese di equilibrio sulla base di un certo insieme di valori di parametri che
caratterizzano il mercato. L’equilibrio generato è simmetrico, cioè tutte le imprese hanno la
stessa dimensione. Si possono avere settori industriali, che apparentemente mostrano valori di
tali parametri più o meno uguali, ma in cui la struttura del mercato è molto diversa. In realtà,
però, non tutte le imprese hanno accesso alla stessa tecnologia e sono caratterizzate da
informazione imperfetta circa le condizioni del mercato. La struttura del mercato può essere
influenzata, ancora, da errori di coordinamento, oltre che da quelli già citati di previsione.
Riassumendo, oltre che a fattori puramente tecnologici, la struttura di mercato di lungo periodo
in alcuni casi può essere determinata da particolari eventi storici che hanno caratterizzato
l’evoluzione passata del mercato. Quando la pubblicità è importante nella strategia
dell’impresa, i costi di entrata sono endogeni e in particolare dipendono dalla dimensione del
mercato. In tali casi l’effetto di una variazione di uno dei parametri può essere diverso rispetto
alla norma a causa della competizione tra le imprese, quando la dimensione del mercato
raddoppia, il numero delle imprese di equilibrio cresce ma meno del doppio (nel caso specifico
di competizione alla Cournot, il numero delle imprese di equilibrio può crescere in misura pari
alla radice quadrata di due quando la dimensione del mercato raddoppia). Un mercato più
grande spinge le imprese a realizzare maggiori investimenti, ma poiché sono costosi, i profitti
che le imprese possono dividersi cresce meno che proporzionalmente rispetto alla dimensione
del mercato. Quindi anche se l’intensità della competizione rimanesse costante, il numero delle
imprese crescerebbe meno che proporzionalmente rispetto alla dimensione del mercato. Se non
c’è competizione di prezzo, un raddoppio delle dimensioni del mercato implica che raddoppi il
numero delle imprese. Ogni situazione in cui le imprese devono realizzare investimenti per
catturare una certa quota di mercato (o l’intero mercato) probabilmente farà si che in una certa
misura i costi di entrata saranno endogeni; un altro esempio di costi di entrata endogeni è dato
dalle spese di investimento in Ricerca e Sviluppo. Quando i costi di entrata sono endogeni la
relazione tra dimensione di mercato e concentrazione risulta più debole, ma anche la relazione
fra concentrazione e dimensione del mercato risulta attenuata. Il numero di imprese di
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equilibrio è funzione del rapporto tra struttura e costi; usare dati relativi alla quota di mercato
aggiustata (per tener conto delle economie di scala in ciascun settore industriale) può essere
una strategia ragionevole. La relazione tra dimensione del mercato e struttura del mercato
dipenderà dalla particolare natura del processo di entrata e dalla forma della competizione
prevalente sul mercato. Il valore minimo della concentrazione corrisponde ad un certo valore
del rapporto dimensione del mercato/ scala minima efficiente, diminuisce in modo meno
marcato al crescere di questo ultimo, quando i costi di entrata sono endogeni. in un mercato
caratterizzato da basse economie di scala e un livello di progresso tecnico relativamente
trascurabile, l’entrata, da un punto di vista puramente tecnologico, dovrebbe essere facile. Il
numero di prodotti offerti, in un mercato caratterizzato da un monopolista e un potenziale
entrante, è maggiore di quello che il monopolista troverebbe conveniente offrire se non ci fosse
minaccia di entrata. Il lancio di nuove varietà è ottimale solo nella misura in cui scoraggia
l’entrata. Il modello di Hotelling può essere interpretato come un modello di differenziazione
del prodotto o ancora come un modello di scelta di collocazione nello spazio. Oltre alle
strategie volte ad indurre i concorrenti ad uscire dal mercato, un modo alternativo di eliminare i
concorrenti è quello di acquisirli o di fondersi con essi. Tali fusioni e acquisizioni
implicitamente implicano una “uscita” (quella delle imprese che si fondono o quella
dell’impresa acquisita) e una “entrata” (dell’impresa che viene creata dalla fusione); le ragioni
delle fusioni e delle acquisizioni sono varie:
- Sfruttare le sinergie tra due produttori di beni complementari
- Aumentare la forza contrattuale nei confronti dei rivenditori (per assicurarsi un
certo spazio sugli scaffali nel caso del lancio di un nuovo prodotto)
- Entrare in mercati stranieri evitando costi molto elevati che altrimenti si
sarebbero dovuti sostenere per lanciare nuovi prodotti
- Rafforzare la sua posizione nel mercato di un determinato prodotto Alla base di
numerosissime acquisizioni o fusioni vi sono motivazioni finanziarie o fiscali: come acquisire
un’impresa che opera in un diverso settore industriale consente di diversificare il portafoglio,
riducendo il rischio per l’impresa madre. Le fusioni orizzontali sono fusioni o acquisizioni tra
imprese che operano nello stesso settore industriale. Il prezzo di equilibrio nel modello di
Cournot è una funzione strettamente decrescente del numero delle imprese, infatti, di solito un
aumento della concentrazione fa aumentare il prezzo; la fusione dunque comporta un aumento
di prezzo e conseguentemente riduce il surplus dei consumatori. Se il numero di imprese in un
mercato è abbastanza elevato, in seguito alla fusione i profitti totali sono grosso modo simili a
quelli prima della fusione. Nel mondo reale le imprese si fondono orizzontalmente e dal
momento che mirano a massimizzare il loro valore, alcune fusioni orizzontali devono essere
necessariamente profittevoli (cioè devono far aumentare il valore totale delle imprese che si
fondono). I risparmi ipoteticamente riscontrabili dovrebbero derivare dalla possibilità di evitare
duplicazioni di costi fissi. Pertanto concludendo le fusioni comportano in linea di massimo un
aumento dei prezzi ed una riduzione dei costi;comunque non è necessario che si generino
sinergie in seguito ad una fusione, è comunque sufficiente una modifica del modo in cui le
imprese interagiscono nel mercato. In seguito ad una fusione, la produzione totale tende a
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diminuire, poiché è l’output aggregato prodotto dalle due che diminuisce. Ma non sempre ciò
accade, per le imprese estranee alla fusione la loro produzione aumenta. Le imprese che non
partecipano alla fusione traggono maggiori vantaggi dalla fusione stessa: infatti il numero dei
loro concorrenti si riduce senza dover fare alcuno sforzo; ma a volte può succedere che
l’impresa che si crea dalla nuova fusione sia molto efficiente (ossia il suo costo marginale sia
molto più basso di quello precedente la fusione) e faccia diminuire il profitto per le altre
imprese. Se il costo marginale diminuisce il margine di profitto unitario aumenta rendendo
meno conveniente ridurre l’output (non è detto che l’impresa nata dalla fusione voglia ridurre
la propria produzione). Le imprese estranee alla fusione potrebbero veder contrarsi la propria
quota di mercato e i proprio profitto diminuire. Concludendo una fusione può aumentare o
diminuire i profitti delle imprese non direttamente coinvolte, in funzione dell’ampiezza della
riduzione dei costi che essa genera. Le fusion