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Estratto del documento

[A

con l’1 Gennaio e finisce con il 31 Dicembre; non sono mai stati omogenei i calendari medievali

Appunti di Alberto Longhi, Matr. 837296

(anche oggi è così per i calendari come quello mussulmano, quello ebraico o quello cinese per

esempio). Questo significa che se un copista veneto, per esempio, dice di aver finito di copiare il

Gennaio 1420, vuol dire che l’anno è il 1421 (si pensi al calendario veneto, in cui l’anno

codice il 4

comincia l’1 Marzo). Alle volte l’anno comincia anche ab incarnatione Domini (25 Marzo -questo

Se oltre all’anno ci

vale soprattutto per i Fiorentini-) o anche a nativitate Domini (25 Dicembre).

fosse anche il giorno del mese, allora con l’aiuto dei calendari perpetui si può avere la conferma che

quel giorno fosse davvero tale.]

Oggi non si usa più l’indizione: era molto frequente nei manoscritti greci; si tratta di un ciclo di

quindici anni perpetuo e la prima indizione si fa risalire al 313 p. Ch. n.: per poter capire in che

indizione è stato copiato un manoscritto, bisogna prendere l’anno che il copista indica, aggiungervi

tre (si aggiunge tre perché, facendo i calcoli a ritroso, ci si accorge che il primo anno possibile di

indizione sarebbe il 3 p. Ch. n.) e dividere poi per quindici e il resto della divisione è l’indizione

(quando risulta zero, vuol dire che l’indizione è la quindicesima); se non torna l’anno del copista

indicato con quella precisa indizione, vuol dire che il copista ha sbagliato a scrivere l’anno.

A tutto questo bisogna anche aggiungere la comprensione dell’anno zero per ogni calendario; si

prenda il caso orientale: per i Bizantini la datazione partiva dalla presunta Creazione del Mondo,

dall’1 Settembre 5508 a. Ch. n.; quindi, se in un ipotetico codice bizantino si trova scritto che è

stato ricopiato nell’anno 6802, facendo la sottrazione si arriva a comprendere che l’anno di

copiatura del manoscritto è il 1294 (se copiato tra Gennaio e Agosto, però, è del 1295).

Nel caso in cui il copista riporti soltanto l’indizione, è chiaro che la datazione diventa più difficile e

si deve fare un certo numero di calcoli.

Con l’indicazione della data finisce, più o meno, la parte introduttiva alla descrizione vera e propria

del manoscritto, e comincia quindi la vera e propria descrizione, che normalmente occupa oggi due

parti: la descrizione interna è quella dei testi conservati nel manoscritto, mentre la descrizione

esterna è tutto il resto che non sia il testo conservato.

Fino a non molto tempo fa, la gran parte della descrizione consisteva nella descrizione interna:

normalmente lo scopo fondamentale è infatti descrivere il testo contenuto nel manoscritto; era tutto

finalizzato alla conoscenza dei testi. Oggi l’ottica invece è diversa: certo, il testo è la parte più

importante, ma è un elemento che insieme agli altri deve contribuire a spiegare il manoscritto; si

tratta quindi di una descrizione molto più articolata, perché tiene conto variamente di tutti gli aspetti

costitutivi del manoscritti: questo ha anche obbligato molto di più la descrizione del manoscritto

(prima era fatta da persone esperte di testi e destinata a persone che dovevano studiare il testo).

Quindi la descrizione deve tenere conto di tutti gli elementi: quindi, il dover rispondere a queste

esigenze che fino a non molto tempo fa non c’erano ha reso molto più difficile la descrizione del

delle descrizioni e dall’altro una

manoscritto, e ha provocato da un lato una drastica riduzione

specializzazione della descrizione del manoscritto.

La cosa più complicata e più difficile è che gli studiosi tendono a lavorare e a descrivere i testi

verso cui sono più ferrati; ed è anche difficile insegnare come catalogare un manoscritto: alcune

cose si possono sì insegnare, ma capire che testo si abbia davanti non si può insegnare. Resta

sempre problematico un testo per il suo contenuto: può succedere che una parte significativa sia

quella che veramente interessi, e quindi molti studiosi tendono a non fare il catalogo dei manoscritti

conservati in quella biblioteca ma quelli dell’argomento su cui sono, appunto, più ferrati; per

esempio, uno che è esperto di Cicerone compie un buon lavoro su quei manoscritti recanti testi

ciceroniani tralasciando poi testi che trattano di argomenti come l’Alchimia (o viceversa). Questa

proliferazione di «cataloghi speciali» arriva a recare un danno alla catalogazione generale.

Appunti di Alberto Longhi, Matr. 837296

23/9/2013

La descrizione interna è la descrizione di tutti i testi contenuti nel manoscritto: significa fornire

quegli elementi che servano per riconoscere quel testo, sia che si tratti di un testo conosciuto sia che

si tratti di un testo sconosciuto. Gli elementi identificativi per il riconoscimento di un testo sono,

banalmente, l’autore e il titolo: anche un testo anonimo ha un autore e un titolo; bisogna

dimenticarsi di quello che succede nel libro a stampa (nessuno infatti si sognerebbe di mettere in

dubbio il titolo del romanzo manzoniano per esempio): già su Dante comincia ad essere

problematica la cosa, perché già il titolo della Commedia non si sa in senso proprio, e si procede per

per poter tagliare la testa al toro,

induzione (bisognerebbe avere l’autografo ma non essendoci il

Il problema di titolazione dell’opera è una cosa “oziosa”, ma non è un

problema è più difficoltoso).

problema da svalutare: tenendo sempre conto dell’esempio dantesco, ci si potrebbe chiedere se il

titolo avesse una o due M, se l’accento andasse sulla E o sulla I, e così via; si può quindi vedere

come già in un’opera molto nota vi possano essere anche problemi di titolo: bisogna quindi andare a

verificare il titolo che correntemente è noto, utilizzato, indicato.

Naturalmente il problema si pone anche per il nome dell’autore: se si pensa al Medioevo (il periodo

in cui più facilmente un autore si trova in un manoscritto -nel Medioevo il cognome non esiste

spesso c’è il nome con la provenienza o la

come lo si intende oggi la maggior parte delle volte:

professione-). Non è facile né ovvio avere la certezza di come si chiamasse quel personaggio in

questione (anche dal punto di vista della grafia molto semplicemente, alle volte). Gli autori classici

non hanno problemi, ma la lingua che normalmente si usa anche nel Medioevo è il Latino.

Quando si ha a che fare con un autore greco/latino (o anche medievale), la forma universalmente

accettata è il Latino a cui a grappolo sono legate tutte le possibili varianti del nome; qualunque

forma si digiti di un autore come Omero, per esempio, si rimanda a Homerus. Le forme del nome

sono abbastanza ovvie, semplici: non si prestano a dubbi particolari; nel caso degli autori classici,

c’è una grande tradizione di catalogazione dei nomi e delle opere in Latino: uno strumento utile può

essere il Dizionario delle opere classiche di Volpi.

In questa fase della descrizione bisogna sempre confrontarsi con dei repertori generali/particolari

dare al lettore la possibilità di riconoscere l’autore e il titolo

che qualcuno ha già fatto: bisogna

dell’opera sulla base di evidenze sia interne sia esterne; la prima cosa che si ha nel manoscritto è la

ripartizione: il titolo ingloba spesso anche il nome dell’autore, a cui segue poi il testo.

Alle volte il titolo può anche essere che sia sbagliato: non si può capire a priori il titolo se non in

alcuni casi ben noti.

Si ha un titolo, quello che c’è nel manoscritto: la prima cosa che si deve fare è verificare cosa si ha

davanti; è il punto di partenza, e allora si deve capire e pensare che cosa è successo.

[Oggi non si fanno più catalogazioni generali di biblioteca: se si è esperti di una frazione di quella

biblioteca non va comunque bene, perché su tutto il resto bisogna passare più tempo a pensare

perché ovviamente non si tratta del suo campo.]

Il miglior catalogatore di manoscritti è quello che è in grado di trovare quello che gli serve,

l’indicazione giusta, cosa ha davanti e cosa lo può aiutare a capire e risolvere. Quando si sa dove

andare a mettere le mani, allora si è risolto il problema: se non si sa dove andare a trovare quello

che serve, si corre il rischio di non andare a trovare la cosa giusta; il problema è rendersi conto cosa

si ha davanti e si deve andare a descrivere: quando per esempio si trova «Cicerone, De officiis», a

quel punto si tratta solo di inserire bene tutto.

Appunti di Alberto Longhi, Matr. 837296

Il problema sono tutti gli altri, di cui non è detto che il catalogatore sia edotto, perché nel

manoscritto si trova qualsiasi cosa, qualsiasi testo. Molti orientano la descrizione del manoscritto

sulla base del contenuto dei manoscritti.

Si hanno due cose iniziali, il titolo e il testo: si ha quindi già l’indicazione più o meno buona (nella

un punto d’appoggio da cui partire.

maggior parte dei casi), Per cercare delle informazioni in più, si

repertori dedicati all’àmbito specifico che si sta analizzando

va a vedere se esistono in merito dei repertorio dovrebbe fornire non solo i dati sull’autore,

nella descrizione interna del manoscritto: il

che opere ha scritto, ma anche che edizioni ci sono di quest’opera, il che vuol dire dare

un’informazione in più al lettore (talvolta la cosa è superflua, mentre in altri no); bisogna sempre

dare al lettore l’indicazione completa per far comprendere al lettore a quale altra edizione moderna

corrisponde il dato elencato.

Un dato da eliminare fin da subito è il concetto di «ovvietà/notorietà»: non è detto che quello che è

ovvio/noto al catalogatore sia altrettanto ovvio/noto a qualsiasi altra persona che legga la

descrizione che viene fatta; è quindi un concetto relativo, che non deve essere riportato in base a

quello che il catalogatore sa: le indicazioni che uno dà non devono rapportarsi a quello che egli sa,

perché devono essere sempre uguali, omogenee.

Si ha poi il testo a disposizione che dà delle indicazioni, delle parole, in particolare si possono dare

indicazioni sussidiarie che facciano capire al lettore che non ha il testo sotto mano: si può dire come

comincia e come finisce un determinato testo, perché c’è una vecchia tradizione già medievale di

mettere in una descrizione le prime/ultime due o tre parole di un testo in quanto identificano meglio

quale sia il testo; è chiaro però che, per esempio, a ness

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I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alberto.longhi55 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Codicologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Ca' Foscari di Venezia o del prof Eleuteri Paolo.