Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
CORO
STROFE I
Così, Zeus, tu hai abbandonato ai Greci
proprio il tuo tempio a Troia e il tuo altare profumato
e le fiamme delle offerte
e il fumo della mirra che si spande nell’aria
e la rupe sacra della città... e dell’Ida,
dell’Ida le valli coperte di boschi e fiorite d’edera,
bagnate dai ruscelli che scendono dai ghiacciai,
e la vetta colpita per prima dal sole,
la luminosa casa a te sacra!
ANTISTROFE II
Finiti i sacrifici fatti in tuo onore...
i canti sacri nella notte...
le feste preparate per gli dei...
e le statue d’oro, e i dolci in forma di luna,
dodici di numero, immagini del nostro paese...
Io voglio, io voglio sapere
se tu che sei potente
inaccessibile sul tuo trono celeste...
tu pensi a tutto questo
mentre la mia città è distrutta,
incenerita dall’impeto del fuoco...
STROFE II
Caro... caro mio sposo... tu sei morto...
e ti aggiri senza pace...
senza che io ti abbia lavato con l’acqua...
senza che ti abbia potuto seppellire...
e una nave veloce, spiegando le vele...
mi porterà in Grecia...
tra alte mura di pietra.
Alle porte della città
un gruppo di bambini
piange avvinghiandosi alle madri...
Una ragazza grida “Mamma mi portano via da sola...
lontano dai tuoi occhi...
mi portano sopra una nave nera...
forse all’isola sacra di Salamina...
forse alla punta della terra che guarda i due mari...
dove hanno le porte le case di Pelope...”.
ANTISTROFE II
Oh! Io spero! Io spero!
quando la nave di Menelao starà in mezzo al mare
che il il fulmine il dio lo scagli con tutte e due le mani
proprio in mezzo alla nave,
perché lui mi porta via dalla mia città,
dalla mia terra, serva in Grecia,
mentre la figlia di Zeus, quella Elena,
starà a specchiarsi come una signora!
Oh! Io spero! Io spero!
che lui non riesca mai a raggiungere Sparta,
né la casa di suo padre,
e la città dov’è il tempio di Atena,
perché ha ripreso quella disgraziata,
vergogna della Grecia potente,
triste rovina della nostra terra!
EPODO
Ahi! Ahi! Disgrazie nuove si mutano in nuove disgrazie
per questa terra!
Guardate donne di Troia il corpo di Astianatte...
Lo portano i Greci che lo hanno ucciso...
lo hanno gettato dalle torri senza pietà!...
ESODO – QUARTO EPISODIO
TALTIBIO – Ecuba, una sola nave è rimasta qui
ed è pronta a trasportare quello che resta
delle prede del figlio di Achille,
e lui stesso, Neottolemo, è già partito
perché ha saputo di nuove sventure
per Peleo, Acasto lo ha cacciato dalla sua terra.
Perciò se ne è andato più presto di quanto avrebbe voluto,
e con lui è partita Andromaca.
Mi ha fatto versare molte lacrime mentre si allontanava sulla nave,
perché piangeva la sua terra e mandava ancora un saluto
alla tomba di Ettore. Lei ha scongiurato di seppellire questo corpo
che era del figlio del tuo Ettore ed è morto precipitando dalle mura.
E ha pregato che questo scudo di bronzo, che una volta
spargeva il terrore fra i Greci quando il padre se ne copriva il petto,
non fosse portato nel suo regno, appeso nella stanza dove Andromaca,
madre di questo morto, si sarebbe dovuta congiungere con lui,
e le avrebbe ricordato un dolore,
ma di seppellire il bambino sullo scudo
invece che in una bara di legno e di pietra,
e di affidarlo alle tue braccia,
perché tu seppellisca il morto con pepli e corone
come meglio potrai nelle condizioni in cui ti trovi.
Andromaca è partita e la fretta del suo padrone
le ha impedito di dar sepoltura al bambino. Noi, sì,
quando tu avrai adornato il corpo, noi dopo averlo ricoperto di terra,
allora leveremo l’ancora.
Fai dunque al più presto quello che ti è stato chiesto.
Una sola cosa ho già fatto io, te l’ho risparmiata:
sono entrato nel fiume e ho lavato il corpo,
ho fatto scorrere l’acqua sulle ferite
e ora vado a scavare una fossa per lui,
così che unendo quanto tu farai con quello che io faccio,
sia possibile spingere al più presto la nave verso casa.
Mettete a terra lo scudo rotondo di Ettore,
ECUBA –
io lo rivedo con tristezza.
Greci, voi vi inorgoglite per l’uso delle armi
piuttosto che usare la mente con saggezza.
Perché avete avuto paura di un bambino?
Perché avete commesso ancora un nuovo delitto?
Perché forse lui avrebbe riscattato la caduta di Troia?
Non valete dunque proprio niente,
perché quando Ettore aveva fortuna in battaglia,
noi eravamo annientati da un’altra innumerevole schiera di soldati:
adesso la città è stata presa, i Troiani distrutti,
e voi avete paura di un bambino così?
Io non approvo questa paura, perché non passa attraverso la ragione.
Oh caro, caro, che brutta morte hai avuto!
Se almeno tu fossi morto per la tua città,
dopo aver raggiunto la giovinezza,
le nozze e il potere che rende pari agli dei,
saresti stato felice, se la felicità sta in queste cose:
questi beni tu li hai visti e conosciuti,
ma non hai potuto farli tuoi, figlio mio,
e pur avendoli in casa, non hai potuto usarli.
Poverino, queste mura hanno rovinato il tuo capo ricciuto
che tua madre copriva di baci: adesso dalle ossa
frantumate esce il sangue, e non voglio dire cose più tristi.
Oh mani, voi ripetete le forme delicate di quelle del padre,
ma mi state davanti senza vita! Oh cara bocca
che delle volte mandavi tanti strilli, sei morta; mi hai mentito
quando ti gettavi addosso a me e mi dicevi:
“Madre, io per te, sì, mi taglierò una grande ciocca
dei miei riccioli e condurrò sulla tua tomba un gruppo di compagni
per portarti un saluto affettuoso”.
Non sei tu a seppellirmi, ma io che sono vecchia,
senza più patria, senza figli, sppellisco te
che sei tanto più giovane! Ohimè! ti accarezzavo,
ti guardavo mentre dormivi, tutto finito!
Che cosa potrebbe scrivere un poeta
di te, sulla tua tomba un giorno?
Che i Greci hanno ucciso un bambino per paura?
Che vergogna per la Grecia!
Tu non hai avuto niente delle ricchezze di tuo padre,
avrai almeno questo scudo di bronzo, sarà questa la tua tomba.
Scudo che hai difeso il braccio robusto di Ettore,
hai lasciato che andasse in rovina proprio chi aveva cura di te!
Come mi è cara questa impronta del suo polso
sulla tua imbracciatura e sugli orli il sudore che a Ettore
nella fatica cadeva dalla fronte, quando se lo accostava al mento!
Portate, radunate qui gli ornamenti per questo povero morto,
come è possibile in queste circostanze, perché la nostra sorte
non ci dà tanti mezzi, ma tutto quello che abbiamo, lo avrai.
E’ sciocco chi tra gli uomini si rallegra
perché crede che gli vada sempre bene:
la fortuna per sua natura si sposta qua e là,
come un uomo insensato, e nessuno mai è sempre felice.
CORO – Ecco, queste donne ti portano,
per adornare in modo degno il bambino,
pepli e veli delle spoglie troiane..
ECUBA – Figlio, la madre di tuo padre
non ti mette quegli ornamenti che erano tuoi,
vinti un giorno fra i compagni nelle gare coi cavalli
né in quelle dell’arco, giochi che i Troiani amano senza eccedere;
tutto ti ha tolto Elena, anche la vita ti ha preso
e ha mandato in rovina la tua casa.
CORO – Ahi! Ahi! mi hai toccato il cuore, mi hai toccato...
Tu un giorno saresti stato per me il grande signore di questa città!
ECUBA – Ma gli ornamenti delle vesti troiane
che tu avresti dovuto indossare nel giorno del tuo matrimonio
con la più nobile delle donne dell’Asia, li depongo io
sul tuo corpo. E tu, caro scudo di Ettore,
tu che gli hai dato infinite vittorie, ricevi questa corona di fiori:
anche sepolto non morirai insieme a lui, è giusto onorare te
più che le armi del furbo e perfido Ulisse.
CORO – Ahi1 Ahi! Che amaro lamento!
La terra ti accoglie, figlio mio!
Piangi, intona gemendo, madre...
ECUBA – Ahi! Ahi!
CORO – ... il lamento dei morti!
ECUBA – Ohimè!
CORO – Oh sì, per i tuoi dolori insopportabili!
ECUBA – Io ti curerò le ferite fasciandole,
come uno che di medico ha il nome e non il potere...
A tutto il resto penserà tuo padre fra i morti...
CORO – Colpisci, colpisci il tuo capo!
Percuotilo con la mano...ahi...mè...ahi...mè...
ECUBA – O donne o care...
CORO – Ecuba, siamo con te! Che cosa vuoi dirci?
ECUBA – Volontà degli dei sono state le mie sofferenze,
e Troia fra ogni altra città hanno scelto per il loro odio,
invano abbiamo offerto animali per sacrificarli a loro.
Ma se un dio si fosse gettato sulla nostra terra,
e ci avesse distrutto da cima a fondo,
noi saremmo rimasti oscuri,
non saremmo stati esaltati dalle Muse,
non avremmo offerto materia di canto per gli uomini del futuro...
Andate, seppellite il morto nella misera tomba,
ha ormai gli ornamenti che è giusto mettere ai morti...
Ma io credo che a chi è morto poco importi se riceve ricchi onori,
questo è solo un motivo di superbia dei vivi...
CORO – Ahi! Ahi!
Povera madre che in te aveva riposto
le speranze più grandi della sua vita!
E tu che tutti giudicavano felice
perché eri nato da una famiglia nobile,
sei morto in modo così atroce!
Ahi! Ahi!
Ma chi vedo agitare dei tizzoni ardenti?
Qualche nuova disgrazia sta per cadere su Troia!
Soldati
TALTIBIO – che siete stati scelti per incendiare questa città,
appiccate il fuoco,
vi ordino di non avere incertezze,
così, dopo distrutta Troia, partiremo allegri verso casa!
Voi ragazze, quando i capi del nostro esercito daranno il via alle trombe,
dovete arrivare alle navi per salpare. E tu, vecchia, andrai con loro.
Questi soldati vengono a cercarti da parte di Ulisse,
a cui la sorte ti ha assegnato come schiava.
ECUBA – Ah! Questa è ormai l’ultima delle mie disgrazie,
io vado via dalla mia patria, la città è invasa dal fuoco.
Affrettati, mio vecchio piede, anche se con fatica,
voglio ancora salutare la mia infelice città.
Troia, una volta tu vivevi grandiosa fra i barbari,
presto perderai il tuo nome glorioso. Ti bruciano!
e ormai ci portano via schiave dalla nostra terra.
Ahimè! o dei! Ma perché invoco gli dei?
Anche prima li invocavo, e non mi hanno ascoltato.
Sù, corriamo verso l’incendio, la cosa più bella per me
è morire nel fuoco insiem