vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Il dibattito tra teorie archeologiche
Nonostante il fatto che proprio questi elementi dell'archeologia contestuale potessero fornire la chiave verso una possibile mediazione tra posizioni teoriche opposte, è indubbio che sin dai primi anni '80 il mondo archeologico si è spesso diviso nell'opposizione tra seguaci di teorie processuali, funzionaliste, materialiste, esplicative ed "etiche" da un lato e seguaci di teorie contestuali, idealiste, interpretative ed "emiche" dall'altro. Se dal punto di vista dell'elaborazione teorica è innegabile che le maggiori innovazioni si siano avute sul versante storico-interpretativo, più pronti ad esempio a farsi carico delle istanze epistemologiche avanzate dall'antropologia postmoderna (dalle quali, com'era da aspettarsi, sono emerse le corrispondenti archeologie "postmoderne", "femministe", "native", ecc.), è altrettanto innegabile che dal punto di vistametodologia archeologica tradizionale e l'adozione di nuovi approcci scientifici. L'archeologia interpretativa, che si concentra sull'interpretazione dei significati culturali e sociali dei reperti archeologici, è stata criticata per la mancanza di innovazione significativa. Al contrario, la tradizione archeologica processuale, in collaborazione con le scienze naturali e l'informatica, ha portato avanti importanti sviluppi. Negli anni '90, l'opposizione tra queste due posizioni teoriche si è ulteriormente accentuata. La tradizione "scientifica" ha trovato nuova linfa grazie agli approcci neo-darwinisti, che si concentrano sull'analisi della cultura materiale come espressione fenotipica degli esseri umani e sulle sue funzioni adattive, soggette a meccanismi universali dell'evoluzione come la trasmissione e la selezione. Verso la fine del secondo millennio, è diventato sempre più urgente cercare una mediazione tra queste due posizioni teoriche opposte, basata sulla dissoluzione della metodologia archeologica tradizionale e sull'adozione di nuovi approcci scientifici.dicotomiaesplicativo/interpretativo così come della parallela distinzione tra scienze umane e scienze naturali. (Cowgill 1993; Trigger 1991). I terreni su cui questa mediazione pare possibile sono essenzialmente due e corrispondono a quelli che potrebbero essere identificati come i due simboli-chiave dell’antropologia post-anni’80: la storia e le pratiche. Un costante richiamo all’unità disciplinare tra archeologia, storia ed antropologia e alla composizione delle dicotomie concettuali che hanno spesso reso difficile tale unità è costantemente venuto dal mondo degli etnostorici americani e in particolare dall’etnostorico/archeologo Bruce Trigger, che già nel 1980 scriveva che “In un epoca in cui i confine tra l’antropologia sociale o etnologia e la storia stanno diventando sempre più tenui e quando molti studiosi di entrambi i campi si percepiscono come impegnati nel raggiungimento di obiettivi scientifici comuni,gli archeologi non hanno più bisogno di asserire la falsa dicotomia tra storia e scienza per difendere le credenziali37. Hodder 1989: 25938. Si veda, ad esempio, Lyman e O'Brien 199839. scientifiche della loro disciplina". E ancora, due anni più tardi: "La presa in considerazione della dimensione storica permette una migliore comprensione della storia delle specifiche società e delle dinamiche del mutamento culturale, e quindi delle regolarità che caratterizzano il comportamento umano. Questo approccio oblitera non solo le distinzioni tra studi basati su dati archeologici40, etnostorici ed etnologici ma anche la distinzione tra etnologia e storia sociale". Secondo Trigger una possibile mediazione tra le posizioni teoriche processuali e post-processuali potrebbe emergere da una più approfondita considerazione del fatto che i comportamenti umani sono condizionati (e non determinati) sia da fattori esterni (oggettivi) che da fattoriinterni (storico-culturali), ambiti peraltro non del tutto scindibili già che proprio la tradizione culturale fornisce agli individui gran parte della conoscenza necessaria per affrontare la realtà sociale ed ecologica; in altre parole, come affermò Gordon Childe ormai molti anni orsono, gli esseri umani non si adattano al mondo come esso è, ma piuttosto al mondo così come loro lo percepiscono. Questo significa quindi che lo sviluppo delle metodologie scientifiche in archeologia deve essere accompagnato da una sempre più approfondita conoscenza di tipo storico, al punto che "il rigoroso sviluppo del direct historical approach è forse il compito più difficile e potenzialmente importante che oggi gli archeologi devono affrontare". Una simile, rinnovata, attenzione per la dimensione storica delle società umane da parte ha avuto anche l'effetto di suscitare un forte interesse per i lavori diantropologia dell'archeologia storica di Marshall Sahlins che, oltre a collaborare in modo continuativo con gli archeologi, nel suo Islands of History (1985) aveva cercato di superare la dicotomia tra 'struttura' ed 'evento' e di fornire così una adeguata interpretazione del mutamento culturale indagando proprio l'ambito delle pratiche culturali, luogo di mediazione tra i due termini della dicotomia. Un forte interesse per il concetto di pratica era già evidente nell'opera di Ian Hodder che, mutuando le impostazioni teoriche di Bourdieu (1972) e Giddens (1979), aveva visto nelle pratiche culturali il luogo centrale della riproduzione e del mutamento culturale, sottolineando come esse siano almeno in parte indipendenti dai significati 'parlati': evidentemente un approccio di questo tipo permetteva all'archeologia interpretativa di individuare un proprio campo di azione nel quale la 'lettura' deisignificati culturali non implicasse un'illusoria comprensione di ciò che "è nella mente"39 Trigger 1980: 673.40 Trigger 1982: 14. Si vedano anche Trigger 1989 e 1991.41 Trigger 1991: 562.42 Due esempi particolarmente significativi di uso congiunto di dati storici e archeologici in ambito mesoamericano sono stato il Proyecto Templo Mayor di Città del Messico, diretto dal 1978 da Eduardo Matos Moctezuma e ancora oggi attivo, e i lavori di Kent Flannery e Joyce Marcus nella valle di Oaxaca (Messico), per i quali si vedano Flannery e Marcus 1983 e Marcus e Flannery 1994, essendo quest'ultimo una esplicita ripresa del direct historical approach, significativamente attuata da un archeologo che era stato tra i principali protagonisti dell'archeologia processuale.43 Sahlins ha infatti a lungo collaborato con l'archeologo P.V. Kirch nello studio delle Isole Hawaii. Cfr. Kirch e Sahlins 1992.44 Hodder 1992 [1986]: 89-95. 11 delle persone". Peraltro,lo studio delle pratiche culturali mediante l'analisi della cultura materiale, conferisce all'archeologia una posizione privilegiata, proprio in virtù della discrepanza tra comportamenti "pensati" e comportamenti "praticati". Un concetto simile era peraltro già stato espresso da Bruce Trigger quando aveva affermato che "Gli etnologi hanno teso a minimizzare il valore dei dati archeologici poiché essi forniscono informazioni relative a una gamma di comportamenti molto più limitata rispetto a quella che gli etnografi possono osservare tra le popolazioni viventi. In particolare, l'archeologia ci informa su quel che la gente ha fatto e usato piuttosto che su quello che ha detto e pensato. Però, nonostante le loro limitazioni, i dati archeologici possono fornire significative quantità di informazioni su alcuni aspetti cruciali del comportamento umano [...]. Essi documentano inoltre modelli reali di.comportamento piuttosto che45 Questa distinzione tra comportamenti reali e comportamenti ideali, così come la posizione talvolta privilegiata dell'archeologia nell'osservazione dei primi, era già stata peraltro dimostrata in modo eclatante da William Rathje con il suo Tucson Garbage Project, iniziato nel 1973 e poi proseguito per molti anni in diverse città americane: l'analisi "archeologica" degli immondezzai di Tucson e la comparazione dei risultati con le dichiarazioni delle persone che quella immondizia avevano prodotto aveva mostrato infatti come esistesse una notevole discrepanza tra i comportamenti descritti a voce e quelli testimoniati invece dal registro materiale, soprattutto in46 merito a comportamenti "sensibili" come il consumo di alcolici. La centralità del concetto di pratica nella riflessione archeologica americana (e non solo) degli ultimi anni ha inoltre trovato un interessanteCorrispondenza nell'opera di un antropologo apparentemente lontano come Tim Ingold, le cui riflessioni (in particolare quelle relative al concetto di 'ambiente'), anch'esse in buona misura tese al superamento della dicotomia tra scienze naturali e scienze umane, non hanno forse ancora ricevuto l'attenzione che meriterebbero da parte del mondo archeologico americano, anche in virtù della sua concezione dell'affinità tra archeologia e antropologia, abbastanza inconsueta per un rappresentante dell'antropologia sociale britannica: "I nostri metodi differiscono, ma i nostri interessi per il tempo, il paesaggio e la persistenza e le tradizioni dei modi di vita umani sono identici".
È quindi attorno ai concetti, non certo nuovi ma estremamente produttivi, di storia e di pratica che si concentra la riflessione teorica dell'archeologia americana contemporanea, come evidente ad Trigger 1982: 13. Si veda Rathjie e
Murphy 1992.47 Ingold 2001: 45. È peraltro estremamente divertente e significativo leggere come nella formazione dell'antropologo inglese all'Università di Cambridge abbiano giocato un ruolo chiave i testi del neo-evoluzionismo americano: "L'antropologia culturale americana era tabù e tutto quel che sapeva di evoluzionismo era bandito dal curriculum. Un giorno, per pura curiosità, presi in mano uno strano libretto di Marshall Sahlins e Elman Service, Evolution and Culture. Ne fui eccitatissimo. Ma quando lo menzionai al mio tutor, mi rimproverò e mi disse che avrei fatto meglio a lasciar stare quella roba". Ma la messa all'indice non andò a buon fine, già che molti anni dopo, insegnando a Manchester, Ingold si prese la rivincita: "Mi rifeci sui miei insegnanti includendo il libro che mi era stato proibito - Evolution and Culture di Sahlins e Service - nel programma!" (Ingold 2001: 41, 44).
12esempio in un influente articolo pubblicato da Timothy Pauketat e significativamente intitolato "Practice and history in archaeology. An emerging paradigm" (2001), nel quale l'autore (uno dei