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De provinciis consularibus nel 56 a.C a favore della proroga dell’ imperium di Cesare nelle

Gallie. Cicerone sente il bisogno di giustificare quello che i senatori avversi a Cesare e ai

populares consideravano un voltafaccia e afferma che la preoccupazione per i superiori interessi

dello Stato, a cui il trimvirato sta provvedendo con la sua impresa grandiosa, deve passar sopra a

ogni altra considerazione.

Le Philippicae Le Philippicae sono quattordici discorsi, che Cicerone pronuciò tra il 44 e il 43 a.C.,

con l’intento di far dichiarare Antonio nemico pubblico; la seconda, la più violenta di tutte, la fece

circolare come pamphlet: l’oratore finge di pronunciarla alla presenza di Antonio durante una

seduta del Senato a cui in realtà non partecipò. Chiamate nell’antichità anche Antoniane, devono il

nome di Philippicae all’accostamento, fatto da Cicerone stesso in una lettera a Bruto, alle

celeberrime di Demostene contro Filippo di Macedonia.

I caratteri delle orazioni ciceroniane

Docere, delectare, movere Nelle orazioni, Cicerone si dimostra perfettamente padrone dei mezzi

espressivi e capace dis fruttare con consumata abilità ogni elemento e ogni circostanza

nell’interesse della causa. Grazie alla chiarezza espositiva,alla competenza giuridica e

all’eccezionale abilità dialettica, che gli permette di argomentare con logica serrata e stringente,

egli assolve egregiamente le tre funzioni che nelle opere retoriche assegna all’oratore:

Docere: informare chiaramente e dimostrare la sua tesi nel modo più convincente dal punto

 di vista razionale;

Delcatare: dilettare il pubblico, ricorrendo alle doti di narratore vivacissimo e di ritrattista

 psicologicamente acuto e penetrante, all’arguzia e all’ironia;

Movere o flectere: trascinare gli uditori al consenso suscitando commozione, sdegno, ira,

 compassione, ricorrendo agli effetti “patetici”” in particolare nelle perorazioni, dove possono

svolgere un ruolo decisivo per l’esito della causa.

Duttilità stilistica e concinnitas Lo stile di Cicerone oratore è estremamente vario, duttile,

multiforme: tende alla solennità e alla magniloquenza, sconfinando talora nella ridondanza e

nell’ampollosità, ma è capace anche, all’occorrenza, di brevità, stringatezza, essenzialità. I più

tipici procedimenti stilistici ciceroniani si attuano prevalentemente nell’ambito dell’organizzazione

sintattica del discorso, cioè nella disposizione delle parole nella frase e delle frasi del periodo,

articolato in modo complesso, con abbondanza di proposizioni subordinate, ed è costituito

secondo criteri di coesione e do compattezza, su una rete di corrispondenze equilibrate e

simmetriche: è la concinnitas, ottenuta con il parallelismo e l’equivalenza fonico-ritmica dei

membri, con l’abbondanza dei nessi sinonimici e con tutte le figure della ripetizione.

Le opere retoriche

3.

Cicerone trattò la retorica la scienza e la tecnica di persuasione in numerose opere, scritte in

periodi diversi della sua vita. Illustreremo le principali: De oratore, Brutus e Orator.

Il De oratore Il De oratore, in tre libri, fu composto nel 55 a.C. ed è un dialogo di tipo platonico-

aristotelico: un’opera, cioè, in cui l’autore affida il compito di trattare l’argomento a vari

interlocutore, inseriti in una “cornice drammatica”, ossia presentati in uno scenario fittizio, ma

storicamente definito

Il perfetto oratore Nel I libro Cicerone, per bocca di Lucio Licinio Crasso, uno dei personaggi del

dialogo, espone e sviluppa ampiamente la tesi di fondo dell’opera, enunciata fin dalla prefazione.

Cicerone prende posizione contro la concezione tecnicista di questi retori greci che pretendono di

formare il perfetto oratore solo per mezzo di regole e di esercizi, ma anche quella che siano

sufficienti le doti naturali. Egli afferma l’ideale di un oratore impegnato a fondo nella vita pubblica,

ma fornito al tempo stesso di una ricchissima cultura che gli consenta di parlare con competenza

ed efficacia su qualsiasi argomento. Cicerone afferma la necessità e l’importanza per l’oratore di

una buona cultura filosofica, subordina sostanzialmente anche la filosofia e l’eloquenza, vista

come facoltà e capacità che abbraccia ogni competenza e ogni dottrina.

Le parti della retorica Nel II libro si passa alla trattazione delle “parti” della retorica: l’inventio (la

ricerca degli elementi da svolgere), la dispositio (l’ordine secondo cui essi devono essere disposti

nel discorso) e la memoria (le tecniche per memorizzare). La parte relativa all’inventio contiene un

interessante excursus, sul comico e sui suoi meccanismi. Il III libro svolge i precetti relativi

all’elocutio, cioè allo stile e presenta un’ampia e particolareggiata esposizione delle figure

retoriche. I capitolo finali sono dedicati alla quinta e ultima “parte” della retorica, l’actio, cioè il modo

in cui l’oratore deve “porgere” il discorso (dizione, tono della voce, gesti).

Un modello di stile Il De oratore scritto con maggior cura formale: l’autore ha voluto dare, anche

sotto questo aspetto, n esempio della grande eloquenza che è l’oggetto della sua trattazione. Per

questi suoi pregi artistici l’opera è stata utilizzata per secoli come modello per eccellenza e dunque

di perfetto stile latino. Nove anni dopo, sotto la dittatura di Cesare, Cicerone riprese gli argomenti

del De oratore in altre due opere, il Brutus e l’ Orator, composte entrambe nel 46 a.C.

Il Brutus: una storia dell’eloquenza romana Il Brutus in forma di dialogo, ha come interlocutore

Cicerone stesso, che svolge in prima persona il discorso principale, e gli amici Attico e Marco

Giunio Bruto, a cui l’opera è intitolata e dedicata. Dopo un sintetico excursus sull’oratoria greca,

Cicerone sviluppa una grandiosa storia di quella romana, illustrando le caratteristiche di circa

duecento oratori. Nell’ultima parte del dialogo l’autore rievoca gli inizi della propria carriera oratoria,

e presenta implicitamente se stesso come punto d’arrivo di un luogo e faticoso processo di

affinamento e perfezionamento come meta e culmine di un ‘evoluzione secolare. Cicerone fa

questo in un momento in cui non solo non è più il principe del Foro, ma in cui si sta anche

affermando, specialmente tra i giovani, il neoatticismo, cioè la preferenza per un modo di

esprimersi molto diverso dal suo, assai più semplice ed essenziale, meno artificioso e

magniloquente.

L’Orator: la teoria dello stile oratorio Ancora a Bruto è dedicato l’ Orator, che non è un dialogo

ma un’esposizione continuata, fatta in prima persona dall’autore. Vi è ripresa la teoria dello stile

oratorio già svolta nel III libro del De oratore. Le parti più nuovi e interessanti sono l’illustrazione

delle differenze tra lo stile oratorio e quello dei filosofi, degli storici e dei poeti; la distinzione dei tre

stili: umile, medio e sublime; l’ampia trattazione della prosa ritmica, con particolare riguardo alle

clausole, ossia alle sequenze prosodiche che è consigliabile adottare di preferenza nella chiusa

dei periodi e delle frasi.

Le opere politiche

4.

Nel 54 a.C Cicerone compose un’opera vasta e ambiziosa di filosofia politica in cui discusse, alla

luce del pensiero filosofico greco, ma con notevolissimi apporti personale, i problemi che più gli

stavano a cure: l’organizzazione dello Stato, la miglior forma di governo, le istituzioni politiche

romane.

Il De republica Il De republica è un dialogo di sei libri, che si ispira fin dal titolo alla famosa opera

di Platone chiamata correntemente Repubblica. Cicerone, con il pragmatismo che lo

contraddistingue, non si propose di delineare, come aveva fatto il filosofo greco, la forma perfetta

di uno Stato ideale, bensì di affrontare i problemi politico-istituzionali concretamente e

storicamente, ponendosi da un punto di vista specificamente romano. Protagonista del dialogo è

Publio Cornelio Scipione Emiliano, l’uomo politico più ammirato da Cicerone, che proiettò su di lui,

in questa e in altre opera, i propri valori e le proprie aspirazioni.

Il contenuto del’opera Nel I libro Scipione dà la sua definizione dello Stato: esso è “cosa del

popolo” e il popolo viene definito “l’aggregazione di un gruppo di persone unite da un accordo sui

reciproci diritti e da interessi comuni”. Presenta poi e discute le tre forme di governo, monarchia,

aristocrazia, democraia e le loro rispettive degenerazioni, tirannide, oligarchia, demagogia. Dopo

aver affermato il primato della monarchia su altre forme di costituzione semplici, Scipione sostiene

che la costituzione migliore di tutte è quella “mista”: esempio eccellente è la forma di governo

romana, il cui potere monarchico è rappresentato da consoli, quello aristocratico dal Senato, quello

democratico dal popolo. Nel II libro sono delineati l’origine e gli sviluppi della Stato romano, da

Romolo ai tempi recenti. Il III libro trattava della virtù politica per eccellenza, la giustizia. Il libro IV,

dedicato alla formazione del buon cittadino, e il V, in cui era delineata la figura del governatore

perfetto.

Il Sommium Scipionis Del libro IV si conserva solo il finale, ossia il Sommium Scipionis. Scipione

Emiliano vi racconta un sogno in cui gli era apparso l’avo adottivo, Scipione l’Africano; questi, dopo

avergli predetto le future imprese gloriose e la morte prematura, gli aveva mostrato lo spettacolo

grandioso delle sfere celesti, rivelandogli che l’immortalità e una dimora in cielo, nella via Lattea,

sono il premio riservato dagli Dei alle anime dei grandi uomini politici, benefattori della patria.

Il De legibus: una storia delle istituzioni romane L’altro trattato di politica, composto nel 52-51

a.C. e intitolato De legibus, doveva essere un complemento del De republica. Si conservano tre

libri, ma l’opera doveva essere più ampia. Gli interlocutori del dialogo cono Cicerone stesso, suo

fratello Quinti e l’amico Attico. Vengon illustrate l’origine naturale del diritto e le sue forme; si

passa poi all’esame e al commento di numerosissime leggi romane, per cui l’opera viene a essere

un vero e proprio trattato di storia delle istituzioni e del diritto pubblico, civile e religioso di Roma.

La difesa della res publica oligarchica Si affiancherà più tardi il De officiis trattato filosofico con

forti implicazioni politiche. Queste tre opere, pur molto diverse nella struttura e negli argomenti,

sono accumunate dall’intento dell’autore di utilizzare gli strumenti concettuali offerti dalla filosofia

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
9 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/04 Lingua e letteratura latina

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Pia0113 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Civiltà latina e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi della Basilicata o del prof Crocella Aldo.