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Il disastro del Vajont e le responsabilità
SADE e di chi avrebbe dovuto decidere in merito, in caso non fosse accaduta nessuna disgrazia; questa credo sia la colpa principale di chi era responsabile del processo decisionale. E' da sottolineare anche il fatto che ci furono le opposizioni delle amministrazioni locali quando fu presentato il progetto per la costruzione della diga e quando ne fu terminata la costruzione, relativamente alla sicurezza e alle esigenze dei cittadini che furono espropriati delle terre per la costruzione di una strada perimetrale lungo le rive del lago, che tra l'altro sarebbe stata inutile in quanto nessuno degli abitanti di quelle zone possedeva una macchina; tali opposizioni furono però tacitate e trasformate in consenso con la persuasione e con la promessa di modernità.
Molte colpe sono da attribuirsi anche alla IV sezione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, che approvò e diede avvio alla costruzione del "Grande Vajont" pur mancando il numero minimo necessario.
In quanto molti suoi membri erano dispersi in seguito alla conclusione della Seconda guerra mondiale, e che aveva il compito di rilevare eventuali problemi ambientali in seguito all'ultimazione del progetto e di segnalare le eventuali difformità esecutive rispetto al progetto. Non segnalò nessuna delle problematiche della diga, anzi, insieme alla Commissione di Collaudo, fece finta che tutti i problemi segnalati dall'ingegnere Carlo Semenza e dalla popolazione dell'area coinvolta fossero risultato di "fantasie" e che in quanto tali erano sproporzionati al reale bisogno.
La SADE, responsabile della costruzione della diga, sapeva che prima o poi sarebbe caduta una frana nel lago del Vajont; infatti si preoccupa del pericolo (troppo tardi), ma non perché ha a cuore la vita di oltre duemila persone, ma perché una frana avrebbe potuto mandare fuori uso il lago, o ridurne notevolmente la portata e di conseguenza avrebbe portato grosse perdite economiche.
Ecco riassunte in poche righe le motivazioni che hanno spinto la SADE a iniziare la costruzione della diga senza l'autorizzazione ministeriale e collaudarla in fretta, ignorando le proteste e le preoccupazioni degli abitanti del luogo: ambizione e voglia di un'ingente remunerazione. Leggendo la storia della costruzione della diga una delle prime cose che si può notare è il modo scorretto in cui ha operato la SADE: non ha aspettato le necessarie autorizzazioni per i lavori di scavo, non ha ascoltato le proteste dei cittadini delle aree coinvolte, ha minimizzato tutti i segnali che hanno preceduto la tragedia del Vajont, pur essendo consapevole di ciò a cui si sarebbe andati incontro; la SADE avrebbe dovuto agire esattamente in maniera contraria, ma era spinta da qualcosa di più che dalla semplice intenzione di fornire energia alla regione veneta: la cupidigia. Il primo elemento che secondo me può essere ricondotto al modello tradizionale diamministrazione pubblica è la rigida divisione del lavoro, grazie a cui si stabilisce anche una gerarchia degli uffici, per esempio: in seguito agli studi compiuti dal geologo J.Hug, la Società Idroelettrica Veneta, che verrà rilevata successivamente dalla SADE, incarica l'ingegnere C.Semenza di redigere il progetto per la costruzione di una diga che servirà a coprire il fabbisogno di energia della popolazione veneta, e che dovrà essere approvato in seguito dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Sicuramente il personale, dagli operai agli ingegneri e agli studiosi, era dedicato solo alla costruzione della diga, altra caratteristica del modello. Il modello tradizionale dell'amministrazione pubblica prevede anche un sistema di regole generali che governino ogni azione e decisione: nel caso Vajont si nota la presenza di questo sistema, per esempio il progetto di costruzione della diga deve essere approvato dalla IV Sezione del Consiglio Superiore.
ma si osserva facilmente come questa regola non venga rispettata; infatti il progetto della diga viene presentato al Consiglio Superiore, ma viene approvato senza il numero minimo legale. Credo che anche l'impersonalità4