vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
ELLISON E PETER SMITHSON,
THE ECOMIST BUILDING, LONDRA 1959
Gli Smithson ricevettero dalla Rivista “The Economist” l’incarico di
realizzare nuovi uffici da collocarsi vicino al settecentesco Boodle’s
Club, un luogo di incontro per gentleman in St James Street a Londra.
L’istituzione sembrava richiedere un modo pacato.
Tre torri separate di diversa altezza, collocando la più grande conte-
nente gli uffici, sul retro del sito. In questo modo si creava una piccola
piazza tagliata da una via sinuosa. Il secondo blocco di dimensione
intermedia era collocato sull’angolo della via principale organizzato
per ospitare alcuni negozi e una banca: Un terzo blocco più piccolo
contenente appartamenti era situato sullo stesso lato del Boodle’s
Club.
La forma era smussata agli angoli per caratterizzare l’immagine e per
ammorbidire la relazione con gli edifici vicini.
Strisce di travertino inserite sul telaio strutturale conferivano alla sede
dell’economist un carattere celebrativo. Il carattere del percorso era
cerimoniale e il tema della piazza era chiaramente italiano.
EDUARDO CATALANO, CIVIC CENTRE CUMBER-
LAND 1956
Continuando sul filone neo-brutalista in Inghilterra, unendo i temi del
tardo Le Corbusier e la non-finitura dei materiali,abbiamo il centro civico
di Cumberland. C’è una diversificazione dei percorsi, con quelli pedonali
sopraelevati, diversificazione degli ingressi, con accenno a Le Corbusier ma
anche ai futuristi.
JAMES STIRLING, FACOLTA’ DI
INGEGNERIA LEICESTER UNIVERSITY 1959-63
Torre sorretta da sostegni disassati , che si ergeva al di sopra delle ag-
gettanti forme degli auditorium ed era collegata ad un blocco ribassato,
in cui erano ospitati i laboratori di ingegneria con vetrate industriali
da profilo a risega, inclinate di 45 gradi. Reminescenze dello schema
industriale legate al costruttivismo, ma anche all’estetica delle navi da
guerra di Le Corbusier. Era comprensibile che venisse evocato il termine
“revival futurista”.
JAMES STIRLING, FACOLTA’ DI SCIENZE STORICHE, CAMBRIDGE 1964-6
Collocazione della sala lettura in una struttura coperta da un tetto semi piramidale vetrato, appoggiato a un blocco a forma di L,
in cui si trovavano aule per seminari uffici e aree di ricreazione. L’ampia serie di funzioni pubbliche venne collocata ai livelli bassi.
La pianta radiale della sala lettura era una risposta a una richiesta centrale del progetto, che ci fosse un unico punto di controllo
da cui poter sorvegliare la sala lettura. Stirling riadattò il principio del panottico di Jeremy Bentham (usato in un carcere).
La copertura di vetro presentava un doppio strato in cui veniva incorporato un cuscino ambientale contro le escursioni termiche,
ede ra sostenuto da un sistema di travature in acciaio con lucernari orientabili.
JAMES STIRLING, FLOREY BUILDING, OXFORD COLLEGE, 1966-71
Residenza studenstesca le cui stqanze degli studenti circondavano una corte semiaperta rivolta verso i campi e gli alberi, pa-
reti completamente vetrate si estendevano dal pavimento al soffitto, ventilate da prese d’aria e protette dal sole tramite tende
avvolgibili inserite nel vetro. I lati esterni dell’edificio erano ampiamente rivestiti dalle tipiche piastrelle rosse di Stirling, mentre
l’edificio intero appoggiava su una struttura in cemento a forma di A. La principale funzione collettiva, una sala per la colazione,
era collocata nel punto focale al centro della corte, sormontata da un camino dalla forma di ventola girevole.
L’immagine della scatola di vetro sorretta da supporti in cemento che guardava verso la natura richiama il Pavillion Suisse di Le
Corbusier. Complesso Ham Common, Richmond 1955-58
Anche qui è tutto sfalsato, non c’è concessione a leziosità tipiche del cottage, ma l’idea
dell’abitazione familiare viene sviluppata con le strutture a vista, i serramenti di tipo indu-
striale. L’unica concessione poetica è il tamponamento inmattoni a vista non intonacati. È
una scelta forse brutalista, ma richiama anche l’ambiente rurale.
ARCHIGRAM
Corrente dell’avanguardi architettonica inglese degli anni 60. Fondato intorno a un nucleo di cui facevano parte Peter Cook,
Warren Chalk, Ron Herron, Dennis Crompton, Michale Webb, David Greene.
Il manifesto di fondazione “Archigram 1” composto nel 1961 spiegava molte delle loro fascinazioni come la tecnologia a clip,
l’ambiente usa e getta, le capsule spaziali, l’immaginario prodotto dal consumo di massa, l’interesse per i robot.
Negli archigram si riscontrava un atteggiamento che rifiutava i nobili principi e la venerazione della natura, accoglievano volen-
tieri le possibilità edonistiche del consumismo moderno. (Vi era indubbiamente un parallelo con i dipinti pop dei primi anni 60).
La loro aspirazione consisteva nel ritrarre e simbolizzare una nuova realtà (“stiamo tendando di fare case simili a macchine”).
Considerevole qualità futurista, e il gruppo era certamente interessato alle considerazioni di Sant’Elia della città del futuro come
macchina dinamica. La loro interpretazione della realtà si ritrovava per lo più nel mondo di carta dei collage e dei disegni, idoneo
alla filosofia anti-architettonica che svilupparono alla fine degli anni 60.
Negli anni 60 le loro immagini architettoniche vennero assorbite dagli architetti, e opere come il Centre Pompidou a Parigi di
Renzo Piano e Richard Rogers sarebbero state inconcepibili senza l’eredità lasciata dagli Archigram.
PLUG-IN CITY, PETER COOK 1964
Nel 1964 Peter Cook sintetizzò la maggior parte dei temi in
una scomposta megastruttura: la Plug-in City.
E’ una mega struttura senza edifici, una massa compatta di
elementi di forma similare (le abitazioni sono a forma di celle
o componenti standardizzati). La macchina non solo viene
accettata di buon gusto, ma anche acquisita e rielaborata. Anzi,
viene innalzata al livello dell’essere umano, che tuttavia preser-
va una posizione di “superiorità”, grazie alla capacità di pensie-
ro, del ragionamento e, soprattutto, dell’”analisi e risoluzione
dell’imprevisto”.
La Plug-in City viene pubblicata sul primo numero di Archi-
gram. Assoluta corrispondenza con il futurismo.
Abbiamo unità abitative, servizi, flussi di circolazione. Inizia ad
esserci un’idea di insediamento alternativo, con funzioni tutte
integrate tra di loro.
“Una struttura modulare su larga scala, con vie d’accesso e servizi essenziali, edificabile su qualsiasi terreno. In questra struttura
verranno inserite unità buone per tutti gli usi, e programmate in anticipo per l’obsolescenza. Le unità saranno collocate e sosti-
tuite per mezzo di gru che correranno lungo una rotaia all’apice della struttura. L’interno conterrà mezzi meccanici ed elettronici
intesi per rimpiazzare il lavoro odierno. La stuttura base sarà costituita da un’intelaiatura diagonale di tubi di 2,75 metri di
diametro, che si incroceranno a intervalli di 44 metri. Anche i pavimenti saranno sospesi”.
La popolazione avrebbe vissuto in capsule che le gru sopraelevate avrebbero collocato ovunque si volesse: inoltre, le gru sareb-
bero servite anche a smistare i beni necessari alla sommità dei tubi.
L’unità abitativa base di Plug-In City avrebbe dovuto essere la Capsula, ideata da Warren Chalk nel 1964. Incuneato e impilato
in una struttura a torre. L’intera torre sarebbe stata organizzata per collocare gli elementi tramite una gru, e gli elementi obsoleti
sarebbero stati aggiornati col progredire della tecnologia.
WALKING CITY, RON HERRON 1964
Progettata da Ron Herron nel 1964, la così detta città a piedi è costituita da edifici intelligenti o robot in formato gigante, di per
sé baccelli contenitori vita, che potrebbe vagare per la città. La forma derivante dalla combinazione di insetti e di macchine è stata
un’interpretazione letterale da Le Corbusier, aforisma di una casa come una macchina in cui vivere. I baccelli sono indipendenti,
contengono parassiti che potrebbero entrare o uscire in stazioni dove questi occupanti vengono cambiati o dove si ricostituiscono
le risorse disponibili. Il cittadino è quindi un nomade non totalmente differente dall’attuale automobile. Il contesto era concepito
in un mondo futuro dopo un conflitto nucleare.
L’influenza che la cinematografia ha su questo progetto è evidente. Si immaginano ameboidi dotati di “gambe” che invadono
Manhattan. Si vuole parlare di una società nomadica.
INSTANT CITY, 1968
Instant City è una fiera della tecnologia mobile che si sviluppa nei quartieri degradati, nella squallida città volante (come un pal-
loncino) con strutture provvisorie. L’effetto è una deliberata sopra stimolazione per produrre una cultura di massa, con un abbrac-
cio di pubblicità estetica. L’intero sforzo alla fine è destinato a passare lasciando indietro l’aggancio con la tecnologia avanzata.
Futurismo portato al parossismo. La pubblicità inizia a far parte dell’immaginario comune. Utilizzo molto spinto della
tecnologia, come mezzo capace di migliorare la società. David Green, Living-pod, 1966
Living-pod è un progetto di David Green pubblicato in “Archigram 7”
nel 1966. L’idea è quella di una capsula-abitazione prefabbricata e
trasportabile con all’interno tutto il necessario. Un abitacolo mobile
che può essere agganciato a una struttura urbana come Plug-in o
installato in uno spazio aperto: una casa-apparecchio da portarsi
dietro in una città-macchina alla quale allacciarsi.
In questo progetto, come in Plug-in City, la città viene dunque conce-
pita come un insieme di funzioni non più soddisfatte da una forma,
ma da un insieme di servizi meccanici ed elettronici, che permettono
all’uomo di spostarsi e alimentarsi con la propria casa-kit.
Michael Webb, Cushicle, 1966
E’ un’invenzione che permette all’uomo di trasportare un ambiente
completo sulla propria schiena. Si gonfia quando ce n’è bisogno.
È un’unità nomade completa e interamente equipaggiata”. Cushi-
cle è composto da una armatura (una sorta di telaio che serve da
supporto ai diversi accessori) e da un involucro gonfiabile al quale
si aggiungono membrane supplementari che servono da schermi
di visione. L’unità fornisce tutti i comfort abitativi, incluse radio,
televisione e persino un casco con microfono, e soddisfa i principali
bisogni come l’accesso ad acqua, cibo e riscaldamento; «con l’in-
stallazione di nodi di servizio e apparecchi supplementari, l’unità
Cushicle autonoma potrà essere sviluppata in modo da divenire
pa