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Processo di guarigione e riparazione delle ferite

Due distinti fenomeni partecipano al processo di guarigione: la rigenerazione e la reintegrazione connettivale. La prima indica il ripristino delle cellule funzionali del tessuto danneggiato grazie alla loro proliferazione, mentre la seconda consiste nella sostituzione delle cellule funzionali danneggiate con tessuto connettivo.

Il grado di recupero funzionale (restitutio ad integrum) del tessuto leso dipende quindi dal rapporto rigenerazione/reintegrazione connettivale che, a sua volta, dipende dall'entità del danno e dal potenziale rigenerativo delle cellule danneggiate. In genere, quasi sempre il processo riparativo si accompagna ad un certo grado di reintegrazione connettivale e perdita di funzionalità (FIBROSI).

Da quanto detto si evince che le conseguenze del processo riparativo, oltre che dall'estensione della lesione, dipendono anche dal tipo di tessuto/organo danneggiato e quindi dal tipo di cellule che lo compongono.

La riparazione delle ferite

Derma-epidermiche

Durante la riparazione delle ferite dermo-epidermiche si possono distinguere diverse fasi la cui durata dipende dall'estensione della ferita, e quindi dalla quantità di tessuto da riparare, e da una sua eventuale infezione microbica.

La guarigione di una ferita dermo-epidermica non infetta a margini giustapposti avviene per prima intenzione.

  • Entro pochi minuti, il ristretto spazio presente tra i margini della ferita si riempie di sangue coagulato contenente fibrina e fibronectina, che fungono da collante tenendo ravvicinati i margini stessi. La parte più superficiale del coagulo va incontro a disidratazione formando la crosta (escara) che ha lo scopo di prevenire una possibile infezione microbica.
  • Entro poche ore si osserva l'attivazione dei cheratinociti sopravvissuti ai bordi della ferita che migrano e si fanno strada al di sotto dell'escara. Questo è sufficiente nel caso di ferite limitate. Nella maggior parte dei casi
però è necessaria anche la proliferazione dei cheratinociti stessi e ciò avviene principalmente a carico delle cellule dello strato basale dell'epidermide.
Entro 24-48 ore la rigenerazione epiteliale è completa visto che è stato prodotto un sottile strato cellulare non cheratinizzato. Contemporaneamente il coagulo viene invaso da leucociti che procedono alla digestione del coagulo grazie al rilascio di proteasi ed enzimi litici.
A partire dal terzo giorno inizia il processo di neovascolarizzazione, stimolato da diversi fattori angiogenetici, prodotti principalmente dai leucociti infiltranti la ferita, stimolati dall'ipossia che si instaura all'interno del coagulo. Le cellule endoteliali dei capillari ai margini della lesione vengono così stimolate a proliferare e migrare verso il letto della ferita. È questa intensa vascolarizzazione a determinare l'aspetto rosato e granulare della ferita che gli fa guadagnare.

La definizione di tessuto di granulazione. Già in questa fase si osserva la proliferazione dei fibroblasti e la deposizione di collagene ai margini della ferita.

Entro una settimana lo spessore e il grado di cheratinizzazione dello strato epidermico sono aumentati e alla sua base inizia la deposizione di una nuova, ma ancora discontinua, membrana basale. È in questa fase che i fibroblasti raggiungono il loro picco e depositano proteoglicani e fibre collagene di tipo I.

A partire dalla seconda settimana, quando ormai l'epidermide e la membrana basale sono completamente maturati, si osserva la regressione della rete vascolare e la progressiva scomparsa dell'infiltrato leucocitario e fibroblastico, per apoptosi.

Alla fine del primo mese il tessuto cicatriziale è maturo: la cicatrice cioè è costituita esclusivamente da tessuto connettivo ricoperto dall'epidermide con perdita irrimediabile degli annessi cutanei.

Nei mesi successivi,

la cicatrice raggiunge il massimo grado di resistenza alla tensione, che rimane comunque inferiore del 20-30% rispetto a quella della cute intatta, grazie ai legami che si stabiliscono tra le fibrille di collageno.

Può accadere che alcuni di questi processi non siano adeguatamente controllati e ne derivino pertanto guarigioni abnormi. Un mancato controllo della riepitelizzazione, ad esempio, determina un'eccessiva proliferazione dei cheratinociti e dà luogo alla formazione delle cisti epidermoidi. In altri casi, invece, si ha un'eccessiva deposizione di collagene per cui si forma una cicatrice ipertrofica che, nei casi più gravi, può evolvere nei cheloidi, cicatrici che invadono il tessuto circostante la ferita.

Vi sono poi condizioni in cui il processo di guarigione è rallentato. Questo avviene ad esempio quando si ha un'eccessiva mobilità della zona lesa conseguente alla localizzazione anatomica della ferita o nei pazienti con

Diverse collagenopatie come la sindrome di Ehlers-Danlos e l'epidermolisi bollosa. Con questo termine si indicano molte malattie genetiche aventi come sintomo comune la fragilità della cute, che causa la formazione, spontanea o in seguito a traumi lievi, di bolle a contenuto sieroso. Queste possono avere sede intraepidermica (è coinvolto il gene per le citocheratine 5 e 14), alla giunzione dermo-epidermica (gene per la laminina) o intradermica (gene per il collageno VII).

Quando la ferita è lacero-contusa, invece che non infetta e a margini giustapposti, si ha la guarigione per seconda intenzione. I processi sono gli stessi della guarigione per prima intenzione; ciò che cambia sono soprattutto l'intensità e la durata delle varie tappe, maggiori nella guarigione per seconda intenzione per la maggior quantità di coagulo, per i detriti necrotici e per gli eventuali batteri da eliminare che intensificano il processo infiammatorio.

Distinguere nettamente i due processi di guarigione è la contrazione della ferita che avviene solo nel caso della ferita lacero-contusa, ad opera di miofibroblasti. Sono queste cellule derivate dal differenziamento di fibroblasti, che assumono le caratteristiche strutturali e funzionali proprie delle cellule muscolari lisce e che riducendo l'area della ferita rendono più veloce il processo di guarigione.

Durante il processo della riparazione di una ferita dermo-epidermica, la composizione della matrice extra-cellulare si modifica radicalmente. La laminina in condizioni fisiologiche rappresenta la proteina più abbondante delle lamine basali dopo il collagene IV, con il quale si associa, e aderisce ai cheratinociti, adesione questa fondamentale per il mantenimento dell'integrità dell'epidermide. In una ferita dermo-epidermica, la perdita di laminina e la sua sostituzione con fibronectina contribuisce all'attivazione dei cheratinociti e alla conseguente ripitelizzazione.

Durante gli stadi finali di questo processo, la rimozione del coagulo ricco di fibronectina e la contemporanea ri-deposizione di laminina riportano i cheratinociti ad uno stato di quiescenza. Il collagene è localizzato a livello dermo-epidermico dove svolge funzioni meccaniche, lega i vari componenti della matrice extracellulare e interagisce, tramite i recettori integrinici, con i diversi tipi cellulari. In condizioni fisiologiche, il collagene di tipo I è espresso nella cute alla quale assicura un'alta resistenza alla tensione, il collagene di tipo IV è espresso a livello della membrana basale dell'epitelio mentre il collagene di tipo VII stabilizza la giunzione dermo-epidermica. Nel corso della riparazione di una ferita dermo-epidermica i tipi e la relativa quantità dei collageni presenti nella lesione cambiano. Si ha la scomparsa del collagene IV e VII che si accompagna all'attivazione dei cheratinociti; a partire dal terzo giorno si osserva.

una imponente deposizione di collagene II che favorisce la neovascolarizzazione; infine, nelle seguenti settimane, i fibroblasti depositano il collagene di tipo I che rappresenta il maggior costituente della cicatrice matura.

Nella matrice extracellulare della cute intatta, poi, sono presenti elevate quantità di fibre elastiche che, costituite dall'elastina strettamente associata alla fibrillina, conferiscono alla cute la capacità di modificare la sua struttura. Purtroppo queste fibre elastiche non vengono ripristinate durante il processo di guarigione per cui la cicatrice risulta priva di elasticità e quindi più vulnerabile a traumi successivi.

Le cellule che partecipano al processo della riparazione delle ferite interagiscono con questi componenti della matrice extracellulare tramite specifici recettori di membrana denominati integrine.

La riparazione delle fratture ossee

Il tessuto osseo maturo consiste di una matrice extracellulare definita osteoide,

La struttura dell'osso è formata da collagene, proteoglicani e cristalli di calcio depositati sotto forma di idrossiapatite. In condizioni fisiologiche, l'integrità morfo-funzionale dell'osso è assicurata dalla continua sintesi e calcificazione dell'osteoide operata dagli osteoblasti e dal suo continuo riassorbimento operato dagli osteoclasti. Il numero di queste cellule nell'osso è mantenuto costante: gli osteoblasti derivano dalla proliferazione e dal differenziamento delle cellule osteogeniche, precursori residenti nelle regioni più esterne (periostio) e più interne (endostio) dell'osso. Gli osteoclasti, invece, si differenziano in situ da precursori midollari. L'attività degli osteoblasti e degli osteoclasti è regolata dagli osteociti, la terza categoria cellulare residente nell'osso, che tra l'altro, producendo una fosfatasi alcalina ed enzimi litici, prende parte al rimodellamento dell'osso. La più

Comune alterazione dell'osso è rappresentata dalla frattura. Analogamente a quanto descritto per la ferita dermo-epidermica, in una frattura in cui i margini siano a contatto si osserva una guarigione per prima intenzione mentre in fratture scomposte o dove ci sia una cospicua perdita di tessuto osseo si attiva il processo di guarigione per seconda intenzione.

In entrambi i casi, comunque, all'atto della frattura si assiste alla lacerazione della membrana del periostio riccamente innervato e vascolarizzato ed alla rottura del letto vascolare dell'endostio. Si ha pertanto emorragia con attivazione di processi infiammatori e coagulativi. Durante la prima settimana gli eventi infiammatori rimangono predominanti; i macrofagi infiltranti rimuovono il coagulo ed i detriti del tessuto osseo danneggiato. Si ha neovascolarizzazione e formazione di un tessuto di granulazione. Dopo la prima settimana numerosi condroblasti depositano tessuto cartilagineo che andrà poi

incontro a fenomeni di calcificazione. Si forma così il callo fibroso che va ad occupare lo spazio presente tra le terminazioni dell'osso fratturato. A partire dalla quinta settimana, per azione degli osteoblasti, il callo fibroso si è quasi completamente calcificato.
Dettagli
A.A. 2012-2013
6 pagine
SSD Scienze biologiche BIO/13 Biologia applicata

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher nunziagranieri di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Biologia e genetica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Cagliari o del prof Zavattari Patrizia.