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M
velocità massima.
Concentrazione di substrato molto bassa [S] << K
• M
La concentrazione [S] al denominatore diventa del tutto trascurabile quindi la velocità della
reazione catalizzata aumenta linearmente con la concentrazione di un substrato.
Concentrazione di substrato molto alta [S] >> K
• M
In questo caso il valore trascurabile è la costante K perciò la velocità della reazione, quando la
M
concentrazione di substrato è molto elevata, è essenzialmente indipendente dal valore [S] e
pertanto può essere considerata costante ad un valore prossimo a V .
max
[S])
Concentrazione di substrato pari a K (K =
• M M
Dimostrando matematicamente questo caso si ha la certezza che la velocità v sia pari ad
1/2 della velocità massima. La costante K rappresenta dunque la concentrazione di
M
substrato per cui l’enzima lavora a metà della velocità massima.
Sostanze in grado di modificare la cinetica enzimatica sono, per esempio, gli inibitori, importanti
per svariati motivi. Gli inibitori sono in grado di legarsi chimicamente agli enzimi diminuendone
l’attività.
Questa inibizione è utile per tenere sotto controllo la cellula, combatto malattie infettivi e servono
per inibire enzimi specifici di batteri e virus patogeni.
Gli inibitori posso essere reversibili (competitivi e non competitivi) oppure irreversibili.
Un inibitore irreversibile si lega all’enzima in modo covalente determinando una perdita
irreversibile dell’attività enzimatica. Sono in genere tossici per le cellule come i gas nervini e alcuni
insetticidi che si legano all’acetilcolinesterasi, enzima essenziale per la trasmissione di impulsi
nervosi.
Al contrario un inibitore reversibile si lega ad un enzima in modo non covalente, dissociabile. Le
due forme più comuni di inibitori reversibili sono dette competitive e non competitive.
Gli inibitori competitivi si lega direttamente al sito attivo dell’enzima competendo dunque con il
substrato. Questo riduce l’attività degli enzimi. Gli inibitori non competitivi invece si lega all’enzima
in un punto differente dal sito attivo. Questi inibitori possono cambiare la conformazione della
proteina e, di conseguenza, può inibire il legame substrato-sito attivo o ridurne enormemente
l’attività catalitica.
E’ importante per la cellula poter controllare il funzionamento di un enzima: l’attività catalitica deve
infatti essere continuamente controllata ed adeguata alle varie esigenze. Due dei meccanismi più
importanti per la regolazione enzimatica sono: la regolazione allosterica e la modificazione
covalente. Molti enzimi possiedono siti allosterici (dal greco “altra forma”) distinti dai siti attivi:
quando una sostanza si lega al sito allosterico, il sito attivo cambia conformazione e, di
conseguenza, l’attività enzimatica varia. La maggior parte degli enzimi allestirei sono proteine
multimeriche di grandi dimensioni con un sito attivo e uno allosterico su ciascuna subunità. Un
esempio di attivazione allosterica è la proteina KINASI A (PKA), normalmente inattiva a causa
della presenza di una proteina regolatrice legata al sito allosterico. E’ attivata dall’AMP ciclico
(cAMP), un importante messaggero cellulare, che legandosi alla proteine regolatrice la stacca dal
sito allosterico. La PKA attiva può fosforilare i suoi substrati.
Altri enzimi sono soggetti a controlli attraverso modificazioni covalenti: in questo tipo di regolazione
l’attività enzimatica è influenzata dall’aggiunta o rimozione di specifici gruppi chimici tramite
appositi legami covalenti. Una delle modificazioni covalenti più comuni riguarda l’aggiunta
reversibile di un gruppo fosfato. L’aggiunta di un gruppo fosfato è detta fosforilazione e avviene,
normalmente, per trasferimento di un gruppo P dall’ATP. Gli enzimi che catalizzano questa
reazione sono dette proteine chinasi (fosforilano). Le proteine fosfatasi (defosforilano) catalizzano
la reazione opposta, la defosforilazione, ovvero la rimozione di un gruppo fosfato da una proteina
fosforilata.
Un altro tipo di attivazione covalente degli enzimi si basa sulla rimozione irreversibile di una parte
della catena peptidica da parte di un enzima proteolitico (che degrada le proteine). Un esempio è
fornito dalla tripsina, rilasciata dal pancreas sotto forma inattiva di tripsinogeno. Il tripsinogeno è
attivato in tripsina (rimozione di 6 a.a. contigui) nel duodeno dall’enterochinasi.
Il lisozima
Il lisozima è un enzima presente nelle secrezioni, come la saliva e le lacrime (fanno
eccezione quelle dei bovini). E’ anche presente fortemente nell’albume dell’uovo. Agisce da
antibiotico naturale. Si associa alla catena polisaccaridica, formano il tipico complesso
enzima-substrato. Il lisozima è in grado di romperei legame covalente e forma un
complesso che si dissocia velocemente. Il lisozima idrolizza le catene polisaccaridiche della
parete cellulare batterica e agisce inserendo una molecola d’acqua tra due zuccheri vicini.
Attualmente il lisozima viene spesso utilizzato come conservante nell’industria.
LE MEMBRANE: STRUTTURA e FUNZIONE
Una caratteristica fondamentale di tutte le cellule è la presenza di membrane plastiche che
delimitano i loro contorni e i diversi compartimenti interni.
Ricordiamo almeno cinque funzioni delle membrane: sicuramente il ruolo più evidente è quello di
delimitare i contorni (membrana plasmatica) della cellula e dei vari organelli interni (membrana
intracellulare), i quali hanno tra di loro differente composizione e differenti funzioni, e di costituire la
barriera di permeabilità ovvero regolare lo scambio di molecole tra il dentro e il fuori; il trasporto di
soluti come gli zuccheri, per fornire energia, gli amminoacidi, per creare macromolecole, e gli ioni
2+
per generare potenziali elettrici, regolare il pH, il Ca e la composizione ionica dei liquidi intra ed
extracellulari; la risposta a segnali esterni, ovvero la loro trasduzione attraverso particolari recettori
presenti sulla membrana che legano molecole complementari (ligandi) provocando reazioni interne
alla cellula; interazioni cellula-cellula e trasduzione di energia cioè la conversione di una forma di
energia in un’altra (es. fotosintesi nei cloroplasti) e trasferimento di energia dai carboidrati e dai
grassi all’ATP (mitocondri).
La storia della membrana cellulare
Fino ai primi anni ’50, periodo in cui la microscopia elettronica è stata applicata allo studio
della struttura cellulare, nessuno aveva visto la membrana bensì, già da molto tempo prima,
prove indirette avevano fatto presumere ai biologi la sua esistenza. Dal momento che le
cellule contengono tipi di membrana molto differenti è stata una sfida straordinaria riuscire a
determinare le caratteristiche comuni. L’immenso sforzo ha portato alla formulazione del
modello a mosaico fluido, attualmente in atto ma che, nel corso degli anni, potrà subire enormi
modifiche dal momento che gli strati lipidici si stanno rivelando più complessi di quanto si
potesse immaginare.
1890 —> Charles Overton lavorando con cellule vegetali osservò che le sostanze solubili nei
lipidi penetravano nelle cellule più facilmente rispetto a quelle solubili in acqua. Da questo
Overton capì che i lipidi erano presenti sulla superficie cellulare come una sorta di
rivestimento.
Un secondo passo in avanti fu compiuto da Langmuir il quale studiò il comportamento dei
fosfolipidi purificati disciogliendoli nel benzene e stratificando campioni della soluzione
benzene-lipide su una superficie acquosa. Langmuir sapeva che i fosfolipidi sono molecole
anfipatiche quindi realizzò che i fosfolipidi si dispongono sull’acqua in modo tale che le teste
polari siano a contatto con l’acqua mentre le code idrofobiche si allontanano da quest’ultima.
Nel 1925 due fisiologi tedeschi, Gortere e Grendel, partendo dagli studi di Langmuir, fecero
degli studi per rispondere a una domanda che riguarda la superficie dei globuli rossi del
sangue, gli eritrociti, su cui essi stavano lavorando. Le ricerche di Overton avevano dimostrato
la presenza di un rivestimento lipidico sulla superficie delle cellule ma quanti strati lipidici ci
sono? I due fisiologi fecero un esperimento per misurare la superficie occupata dai lipidi che
formano la membrana cellulare: utilizzarono gli eritrociti privi di emoglobina. Estrassero
dunque i lipidi da un numero noto di eritrociti (ghosts) e misurarono la superficie occupata dai
lipidi dopo che erano stati sparsi sulla superficie dell’acqua. Calcolarono che l’area coperta dal
film lipidico sull’acqua era all’incirca due volte l’area della superficie totale stimata dell’eritrocita
quindi conclusero che la membrana plasmatica era formata da due strati lipidici.
Ma un doppio strato lipidico, seppur fondamentale, non bastava per spiegare tutte le
caratteristiche delle membrane come la tensione superficiale, la permeabilità dei soluti e la
resistenza elettrica. Nel 1935 Davson e Danielli suggerirono che le proteine erano presenti
nelle membrane e, in particolare, essere rivestivano su entrambi i lati gli strati lipidici seguendo
il seguente modello: proteine, lipidi, proteine (modello a sandwich). Nel 1954 si fece un
ulteriore passo in avanti in quanto si capì che le proteine idrofile potessero penetrare nella
membrana in maniera tale da dare origine a pori polari. [importanza delle proteine]
Negli anni ’50 con l’avvento del microscopio elettronico i biologi riuscirono a vedere la
presenza sperimentale della membrana plasmatica intorno alla cellula. Si ottiene una struttura
trilaminare (o tristratificato) a “binario ferroviario”: J. David Robertson propose quindi che tutte
le membrane cellulari avessero in comune una struttura fondamentale (membrana unitaria).
Infine nel 1972 si arrivò al culmine dell’organizzazione della membrana con il modello a
mosaico fluido che tuttora domina la nostra visione, elaborato da Singer e Nicolson.
Le membrane plasmatiche hanno uno spessore di 70-100 Å corrispondente a 7-10 nm e una
struttura trilaminare composta da: lipidi (fosfolipidi, glicolipidi e steroli), proteine (integrali e
periferiche) e carboidrati (catene glucidiche). E’ presente una forte asimmetria e dinamicità tra lo
strato esterno e quello interno. Il modello di membrana considerato attualmente valido risale al
1972 (Singer e Nicolson) ovvero il modello a mosaico fluido. Tale modello considera la membrana
come un mosaico di proteine incluse in modo discontinuo in un doppio strato lipidico fluido, entità
globulari separate che si collegano alla membrana in base alla loro affinità con la porzione interna