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Il materiale semiconduttore viene precedentemente contaminato da atomi di boro e fosforo, detti “droganti”
che hanno lo scopo di creare una differenza di potenziale all’interno della cella, che sarà poi quella che
effettivamente genererà energia: i due agenti droganti a contatto col silicio vanno a costituire due strati a
differente carica, rispettivamente la prima positiva e la seconda negativa. Nella zona intermedia detta strato
di giunzione “p-n” si va a generare un campo elettrico (e quindi una tensione) dovuto proprio alla differenza
di potenziale fra gli strati p ed n. Le cariche positive e negative generate dal bombardamento dei fotoni
costituenti la luce solare vengono separate dal campo. Queste cariche producono una circolazione di corrette
quando il dispositivo viene connesso ad un carico, che altro non è che un diodo. Ma non tutti i fotoni della
luce solare vanno bene. Quelli utili per la produzione di energia tramite questo sistema sono quelli che
possiedono una determinata quantità di energia (HV). Questa è la ragione per cui l’orientamento dei pannelli
solari è importante: i pannelli fotovoltaici a silicio sfruttano principalmente la radiazione diretta, e per questo
sono puntati a sud.
Tuttavia non è solo una questione di orientamento: la gran parte del comportamento e del rendimento delle
celle fotovoltaiche è dato dal materiale con cui sono principalmente costituite le celle ed è proprio in base al
materiale che esse si classificano. I pannelli più diffusi sono quelli in silicio monocristallino e policristallino,
che hanno rendimenti rispettivamente dal 17 al 22% e da 14 al 18%.
Negli ultimi decenni la ricerca ha portato avanti la sperimentazione di sistemi alternativi al pannello siliceo
che presenta, oltre che un rendimento ancora abbastanza basso, elevati costi di produzione (e quindi elevati
costi per l’utente finale) e un notevole impatto ambientale nel suo processo di produzione, dovendo utilizzare
sostanze tossiche e di difficile smaltimento. Allo stesso modo, alla fine della vita utile della cella, è di difficile
smaltimento anch’essa. Fra i risultati ottenuti, oltre alle celle ibride cristalline/amorfe e le celle organiche,
c’è il sistema biofotovoltaico che sfrutta il principio naturale della fotosintesi per ottenere l’energia da sole.
Questo processo naturale è di gran lunga il principale processo biologicamente importante che ha lo scopo
di trasformare la luce solare, da cui dipende la vita sulla terra. E’ necessario quindi una spiegazione di tale
principio. 2
3) FOTOSINTESI CLOROFILLIANA
La fotosintesi clorofilliana è un processo chimico per mezzo del quale le piante verdi e altri organismi
fotoautrofi producono sostanze organiche (principalmente carboidrati) a partire dal primo reagente,
l'anidride carbonica atmosferica e l'acqua metabolica, in presenza di luce solare. Durante la fotosintesi, con
la mediazione della clorofilla, la luce solare permette di convertire 6 molecole di CO2 e 6 molecole d'H2O in
una molecola di glucosio (C6H12O6), zucchero fondamentale per la vita della pianta. Come sottoprodotto
della reazione si producono 6 molecole di O2, che la pianta libera nell'atmosfera come scarti attraverso gli
stomi che si trovano nella foglia.
Il processo fotosintetico si divide in due fasi, una alla luce solare e una “al buio”: nella prima, l’energia solare
viene raccolta e immagazzinata sotto forma di ATP e NADPH, nella seconda, coinvolgendo il Ciclo di Calvin,
vengono formati i legami covalenti e quindi gli zuccheri.
Essa si svolge all’interno dei cloroplasti, organuli presenti sulla superficie delle foglie verdi, e in particolare
nei tilacoidi, regioni all’interno dei sistemi sopracitati in cui trovano posto dei particolari pigmenti, detti
complessi antenna, dalla forma conica, che sono il luogo di arrivo dei fotoni che bombardano la pianta alla
luce del sole. Essi funzionano a coppie, il primo detto fotosistema II, il secondo fotosistema I. Giunti sul primo
complesso, che altro non è che anelli di molecole, quest’ultimi sono eccitati dai fotoni che rimbalzano verso
l’interno del sistema aumentando al tempo stesso la carica degli elettroni di valenza posti ai confini delle
molecole: una volta arrivati in fondo quindi, fino al pigmento fotosintetico ossidante denominato P680, o
clorofilla A, abbiamo due particelle cariche negative che si staccano arrivando ad un primo accettore. Gli
elettroni infatti, oltre che in forma di particella subatomica, possono essere trasferiti come atomi di idrogeno
o ioni idruro (con un elettrone in più).
Fig. 3 - Processo di fotosintesi negli organismi vegetali
3
Per evitare la morte della cellula, che si trova privata di due elettroni, l’acqua interviene con un processo di
fotolisi, garantendo il rimpiazzo delle particelle e rilasciando in atmosfera ossigeno e ioni idrogeno. A questo
punto, gli elettroni che avevano lasciato il primo accettore, viaggiano su una catena di trasporto di elettroni,
composta da plastocninone (Pq), citocromi e plastocianina (Pc). In questo tratto, l’energia del flusso viene
utlizzata per la costruzione di ATP nel ciclo di Calvin. Essi giungono dunque su un secondo complesso antenna,
il fotosistema I, mentre questo è anch’ esso bombardato di luce solare e sta per rilasciare, dal suo principale
pigmento fotosintetico, il P700 o clorofilla B, un altro elettrone carico. Questa molecola è molto ossidante e
facilmente quindi cattura gli elettroni in arrivo. Lo scopo di avere questi tre elettroni è il seguente: due
lasceranno il fotosistema fino ad un secondo accettore, mentre uno farà per il P700 quello che l’acqua ha
svolto per il P680: l’evoluzione nei millenni ha ritenuto più economico e più veloce fornire al secondo
complesso un elettrone attraverso il primo pigmento anziché per elettrolisi, che si manifesta solo all’inizio.
Gli ultimi due elettroni, giunti sul secondo accettore grazie alla ferrodosina (Fd), andranno a fornire energia
per la costruzione di NADPH riduttivo nel ciclo di Calvin.
4
4) SISTEMI BIOFOTOVOLTAICI
4.1) PRINCIPIO GENERALE
Il biofotovoltaico è un sistema di generazione dell’energia che utilizza organismi autotrofi, o parti di esso, per
produrre energia a partire dalla radiazione solare, in presenza di ossigeno. I dispositivi fotovoltaici biologici
sono un tipo di sistema elettrochimico biologico e talvolta sono anche chiamati "celle solari viventi". Una
reazione relativamente ad alto potenziale ha luogo al catodo , e la differenza di potenziale risultante guida la
corrente attraverso un circuito esterno.
Essendo celle a combustibile microbico, i sistemi biofotovoltaici sono suddivisi in anodo e catodo. Il materiale
fotosintetico biologico, o fotosistema, sensibile alla luce solare, viene inserito nella cella anodica del sistema.
Questi microrganismi sottoposti alla radiazione sono in grado di procedere alla fotolisi dell’acqua similmente
a quanto avviene sulla membrana tilacoide delle foglie e una frazione degli elettroni rilasciati in ambiente
extracellulare dall’ossidazione dell’H2O possono essere utilizzati per ridurre l’anodo. Infatti, la riduzione
dell’elettrodo viene eseguita dal materiale biologico fotosintetico e l radiazione solare costituisce l’unico
innesco della reazione. Analogamente alle celle a combustibile microbico, i
sistemi fotovoltaici biologici che impiegano organismi
interi hanno il vantaggio rispetto alle celle a
combustibile e ai sistemi fotovoltaici convenzionali di
essere in grado di autoassemblarsi e autoripararsi (cioè
l' organismo fotosintetico è in grado di riprodursi). La
capacità dell'organismo di immagazzinare energia
consente la generazione di energia da sistemi
fotovoltaici biologici al buio, aggirando l'offerta di rete
e problemi di domanda in caso di assenza di radiazione
solare nelle giornate di cattivo tempo che devono
affrontare invece i sistemi a fotovoltaico
Fig. 4 - Funzionamento di un sistema biofotovoltaico convenzionale. Uno svantaggio dell'utilizzo di
materiale fotosintetico ossigenato nei sistemi bioelettrochimici è che la produzione di ossigeno nella camera
anodica ha un effetto dannoso sulla tensione della cella.
4.2) CLASSIFICAZIONE
I sistemi biofotovoltaici si classificano in generale per il tipo di materiale biologico utilizzato per la reazioni di
fotolisi. In generale si possono suddividere in:
1) Fotosistemi isolati - Sistemi in cui il materiale biologico è costituito dal solo complesso che opera
l’ossidazione. Essi sono stabilizzati su una superficie conduttiva e offrono la miglior comunicazione
con l’anodo. Tuttavia, essendo solo una minima parte dell’organismo biologico, senza gli organismi
cellulari atti alla riparazione, sono dotati di una vita utile davvero breve (poche ore)
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2) Fotosistemi subcellulari – Sistemi dotati di frazioni subcellulari degli organismi fotosistetici: la
porzione biologica è maggiore e comprende sia i fotosistemi II che i fotosistemi I, ovvero un’intera
porzione di membrana del tilacoide. Inoltre, gli elettroni sono trasferiti all’anodo con un potenziale
elettrico maggiore. Hanno inoltre una vita più lunga dei sistemi precedenti
3) Interi organismi – Utilizzati in quanto hanno la vita utile più duratura, osservata anche in diversi mesi.
Tuttavia, la presenza di membrane cellulari isolanti rende necessario degli accorgimenti, come
l’inserimento di mediatori che facilitano la riduzione, l’utilizzo di organismi come i cianobatteri in
virtù della disposizione geometrica delle loro membrane che facilita il trasferimento di elettroni e
catalizzatori di materiali differenti che semplificano la permeabilità delle barriere cellulari.
Di seguito viene riportato il risultato di una ricerca del 2012 eseguita al MIT che utilizza un approccio
differente con risultati notevolmente diversi.
4.3) IL PROTOTIPO DEL MIT
Lo studio effettuato dal team di ricerca al Massachusetts Institute of Technology diretto dal fisico Andreas
Mershin riprende le sperimentazioni fatte più di quindici anni fa dal ricercatore Shuguang Zhang, che fu il
primo a sperimentare sui sistemi biofotovoltaici. Nella ricerca, titolata “Self-assembled photosystem-I
biophotovoltaics on nanostructured TiO and ZnO” , ovvero: “Biofotovoltaico a Fotosistema 1 autoriparante
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su nanostrutture a biossido di titanio e ossido di zinzo” (Andreas Mershin, Kazuya Matsumoto, Liselotte
Kaiser, Daoyong Yu, Michael Vaughn, Md. K. Nazeeruddin, Barry D. Bruce, Michael Graetzel & Shuguang
Zhang), viene tentato un approccio differente, non più sfruttando la fotolisi dell’acqua: alla fine del processo
di fotosintesi, gli elettroni caricati vengono trasportati dalla ferrodossina per poter essere sottoposti al
processo del ciclo di Calvin e formare NADPH che, essendo una mole