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APPUNTI E SCHEMI DI PSICOLOGIA SOCIALE

5 - ATTTEGGIAMENTI: CONTENUTO, STRUTTURA E FUNZIONI

Gli atteggiamenti sono valutazioni globali e relativamente stabili su oggetti, persone o idee. Li distinguiamo per

VALENZA (o direzione) per definirli positivi, negativi o neutri, e per FORZA, per stimarne l’intensità.

Tutto può essere oggetto di atteggiamento, e secondo il modello multicomponenziale, ogni atteggiamento è

costituito dalle componenti cognitiva, emotiva e comportamentale.

- > La componente cognitiva di un atteggiamento è la sua relativa valutazione in termini di vantaggio o

svantaggio rispetto ad un oggetto o un’idea. Ciò che è valutato è la convenienza o meno di una certa cosa.

Nello specifico, l’approccio aspettative-valore di Fishbein e Ajzen formulizza l’atteggiamento verso un oggetto

come la somma dei prodotti aspettative x (moltiplicato) valori. Per ogni affermazione relativa ad una certa cosa,

si moltiplicano i punteggi assegnati relativi alle aspettative (variabili da 0 a 1) per quelli relativi ai valori (variabili

da -3 a +3) e i risultati emersi da ogni enunciato sono poi a loro volta sommati per ottenere il punteggio finale.

-> La componente emotiva (affettiva) di un atteggiamento fa riferimento ai sentimenti ed alle emozioni che

proviamo verso un oggetto. E’ un qualcosa di estremamente soggettivo, che non ha fondamenti razionali.

Siamo facilmente influenzabili relativamente a questa componente. Forme di condizionamento classico,

messaggi subliminali e familiarità con gli oggetti influenzano molto la nostra percezione personale, che resta

tuttavia una forma identitaria da non banalizzare o sottovalutare.

-> La componente comportamentale fa riferimento ai nostri comportamenti passati nei confronti di un oggetto.

Incentiviamo questa componente, secondo la teoria della percezione di sé di Bem, quando non sappiamo bene

cosa proviamo verso un certo atteggiamento, o quando la nostra opinione è blanda o ambigua.

Riflettere sui nostri comportamenti per capire come la pensiamo è utile, ma è stato dimostrato che molto

spesso il ricordo è influenzato dalla nostra tendenza a ricordare di più eventi positivi o negativi, caratteristica del

tutto variabile da soggetto a soggetto. E’ questo che motiva il ricorso al concetto di percezione di sé anche in

termini di autostima e autodifesa, quando si parla della componente comportamentale e degli studi di Bem.

LA STRUTTURA DEGLI ATTEGGIAMENTI

Gli atteggiamenti, oltre alle loro componenti, hanno anch’essi un’organizzazione. Secondo la prospettiva

unidimensionale, essi sono immagazzinati in memoria ai poli opposti di una singola dimensione, e le persone

tendono a fare riferimento a uno dei poli della dimensione oppure a un punto tra i due. Di fatto, o sono negativi

o sono positivi, e al limite sono visti come molto negativi o molto positivi. Secondo la prospettiva

bidimensionale, invece, gli elementi positivi e negativi sono immagazzinati lungo due dimensioni indipendenti.

Una riflette se l’atteggiamento ha pochi o molti elementi positivi, e una se ha pochi o molti elementi negativi.

Tra le due prospettive, sembra avere maggiormente riscontro quella bidimensionale. Essa contempla infatti

ambivalenze d’atteggiamento (“mi piace perché.., non mi piace perché..”), che l’uomo spesso dimostra di avere.

LE FUNZIONI DEGLI ATTEGGIAMENTI

Secondo la teoria di Smith, Bruner, White, gli atteggiamenti svolgono prevalentemente 3 funzioni:

- VALUTAZIONE DELL’OGGETTO (cosa avvicinare, cosa evitare)

- ADATTAMENTO SOCIALE (cosa è buono nel nostro contesto per adattarci ad esso)

- ESTERNALIZZAZIONE (difesa del sé, dell’autostima)

Per Katz, invece, sono 4:

- CONOSCENZA (organizzazione della conoscenza)

- UTILITA’ (come la valutazione dell’oggetto)

- DIFESA DEL SE’ (come l’esternalizzazione)

- ESPRESSIONE DI VALORI (espressione dei valori personali dell’individuo)

Ulteriori classificazioni sono inoltre state fare per distinguere gli atteggiamenti strumentali, utilitaristici, legati

alla promozione dell’interesse personale, da quelli valoriali, ossia relativi all’immagine di sé e ai valori personali.

Gli atteggiamenti sono catalogabili per diversi parametri, ma sicuramente grande rilevanza assume la forza

dell’atteggiamento. Sono considerati atteggiamenti “forti” quelli percepiti con maggiore certezza o quelli più

estremi o accessibili in memoria. Tuttavia non tutti gli atteggiamenti sono espliciti come possiamo credere!

Aldilà di queste considerazioni, quindi, 4 sono secondo Krosnick e Petty le caratteristiche che fanno “forte” un

atteggiamento: esse sono la sua persistenza nel tempo, la sua resistenza al cambiamento, la probabilità che ha

di influenzare l’elaborazione delle informazioni, la probabilità di guidare il comportamento dell’individuo.

LA MISURA DEGLI ATTEGGIAMENTI

Misurare gli atteggiamenti è possibile, sia attraverso metodi espliciti che attraverso metodi impliciti.

- Metodi espliciti

Sono misure esplicite degli atteggiamenti quelle in cui si chiede al diretto interessato di riferire un particolare

atteggiamento. Sono esempio di questo genere di misura, la scala di Likert ed il differenziale semantico.

Mediante la scala di Likert, introdotta nel 1932, il soggetto indica il suo grado di accordo o disaccordo rispetto

ad un atteggiamento utilizzando “gradi” generalmente in numero dispari (di solito 5 o 7). Talvolta le domande

non sono poste assegnando ad 1 il valore di totale disaccordo e all’ultimo quello di totale accordo per evitare i

response set, ossia la tendenza a fornire risposte sempre in accordo o in disaccordo, sulla scia delle precedenti).

Molto simile alla scala di Likert è il differenziale semantico. Stavolta però la domanda non è unica rispetto al

singolo atteggiamento, ma costituita da una serie di item che anziché misurare accordo o disaccordo, misurano

particolari attributi indicanti, in coppia, l’uno positività e l’altro negatività (es. bello-brutto, buono-cattivo).

Critiche ai metodi espliciti consistono nel fatto che spesso il soggetto è inconsapevole dei suoi atteggiamenti o le

domande sono mal poste. Inoltre forte è il rischio di riscontrare menzogne (risposte socialmente desiderabili).

- Metodi impliciti

Sono misure implicite degli atteggiamenti quelle attraverso i quali l’atteggiamento è valutato senza chiedere

direttamente al partecipante cosa pensa in merito. Tra queste, spiccano il priming valutativo e l’IAT.

Il priming valutativo parte dall’assunto di Fazio per il quale l’atteggiamento è un’associazione in memoria tra

l’oggetto e una valutazione sintetica rispetto ad esso, e più è forte l’atteggiamento, più veloce è il suo recupero.

Durante i test, presentando per pochi millisecondi il vero “obiettivo” della misura come prime, e poi sullo

schermo aggettivi per i quali era apparentemente richiesta la definizione della valenza (es. “bello” è positivo o

negativo?), si è compreso che risposte in coerenza con l’atteggiamento reale del soggetto verso il prime erano

date più velocemente rispetto a risposte non in coerenza con esso (es. cavolo come prime; “buono” definito

“positivo” più lentamente di “cattivo”, definito “negativo”, definito più velocemente .. se il cavolo non ci piace..).

Meccanismi simili ha l’Implicit Association Test (IAT). Lo IAT consta di 5 fasi, e si basa su diversi confronti tra una

coppia di oggetti di atteggiamento (es. “uomini” e “donne”) e aggettivi ad essi alternativamente correlati (es.

“positivo” o “negativo”).

Questa volta l’elemento “distrattore” e allo stesso tempo “misuratore” non è però il dover definire l’aggettivo,

ma il dover stabilire se è vi è effettivamente corrispondenza tra quanto visualizzato ed il compito dato nella

singola fase (es. “premi K se leggi un nome femminile o un atteggiamento negativo”). Sarà sempre la velocità di

risposta misurata nelle varie prove a stabilire il grado di accordo tra atteggiamento e termini presentati.

Anche le misure implicite non sono esenti da critiche; tra esse, si segnalano le eccessive non-corrispondenze tra

dati ottenuti mediante tecniche esplicite con quelli ottenute mediante tecniche implicite (“misurano davvero gli

stessi costrutti?”), e le possibili contaminazioni legate alle modalità con le quali test come lo IAT funzionano.

APPLICAZIONI DEGLI STUDI SUGLI ATTEGGIAMENTI

Gli atteggiamenti come fattori predittivi dei comportamenti

Oltre al senso comune, anche la ricerca sociale ha dimostrato che gli atteggiamenti sono effettivamente

predittivi dei comportamenti.

Aldilà dei primi studi, come quelli di LaPierre, mediamente infarciti di errori che ne hanno minato l’attendibilità,

Aijzen e Fishbein hanno effettivamente dimostrato che gli atteggiamenti possono essere predittivi se nella

misura degli atteggiamenti e in quella dei comportamenti vi è corrispondenza, coerenza secondo 4 parametri:

azione (atteggiamento = comportamento), bersaglio (target), contesto e tempo.

Aldilà delle corrispondenze elencate, molto di ciò che è relativo a questo legame passa anche attraverso il

concetto di forza dell’atteggiamento: come il senso comune suggerirebbe, è provato che atteggiamenti forti

predicono il comportamento con maggiore probabilità di atteggiamenti deboli.

Tuttavia è importante capire che questa predizione è assai meno che esatta: l’ambito del comportamento fa sì

che esso sia meno o più prevedibile che in altri casi (ad es. è più facile misurare la corrispondenza

atteggiamento-comportamento relativamente ad un voto elettorale, rispetto all’ambito “donazione sangue”), e

tutto ciò è da scremare anche in virtù del fatto che il soggetto il cui atteggiamento è misurato potrebbe mentire.

Non ultimo, anche le differenze individuali giocano un ruolo fondamentale: è provato che persone con alto

automonitoraggio, ossia la tendenza all’autoregolazione dei propri comportamenti in virtù delle situazioni

vissute e del contesto, sono meno tendenti alla coerenza atteggiamento misurato-comportamento rispetto a

quelle che hanno un basso automonitoraggio, e sono pertanto più portate a seguire con coerenza i propri valori.

Modelli delle relazioni atteggiamento-comportamento

Diversi sono i modelli postulati per descrivere la relazione atteggiamento-comportamento. Tra essi, la teoria

dell’azione ragionata di Fishbein e Aijzen, il modello MODE di Fazio, ed il modello composito.

La teoria dell’azione ragionata e del comportamento pianif

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A.A. 2014-2015
4 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/05 Psicologia sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher faraday92 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia sociale I e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Gabriele D'Annunzio di Chieti e Pescara o del prof Di Battista Silvia.