vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
O SSITONIE SECONDARIE
Si hanno quando cade l’ultima sillaba e la penultima s itrova ad essere ultima
(illìc,istùc,adhùc,vidèn,satìn,addìc,addùc)
A POFONIA INDOEUROPEA
Detta anche ‘alternanza vocalica’, variazione del timbro vocalico che riguarda gli
elementi costitutivi della parola (radice, desinenze, suffissi)
Es greco: leipo, leloipa, e lipon
Questa apofonia distingue due timbri:
-e: timbro medio
-o: timbro forte
Due gradi:
•normale: di quantità breve: ĕ, ŏ
•allungato: di quantità lunga: ē, ō
Entrambi i gradi però potevano essere ridotti: in questo caso il grado normale tende a
fare scomparire la vocale, il grado lungo tende a ridurre di molto la vocale rendendola
quasi evanescente (vocale chiamata scevà, indicata con una e capovolta ə)
Avremo quindi altri due gradi:
•grado normale ridotto: grado zero
•grado allungato ridotto: grado zero oppure scevà
In realtà il latino non sfrutta tutte le possibilità offerte dal sistema delle alternanze
(alcuni esempi pĕndo/pŏndo, tĕgo/tŏga, equĕ/equŏs)
A
POFONIA LATINA
È un fenomeno che si verifica solo nel latino e che riguarda soltanto le vocali brevi.
Es
•Făcio: confĭcio
•Mĕdius: dimĭdius
•Lŏcus: Ilĭco
•Equĕs: equĭtis
•Legĕ. Legĭte.
Questa apofonia rappresenta un mutamento del timbro vocalico, che si verifica
quando una vocale breve, che si trova va originariamente in posizione iniziale o finale,
viene a trovarsi in posizione intermedia per composizione, derivazione, flessione.
Non è una vera e propria legge, sia perché il fenomeno non è generalizzato sia perché
questo cambiamento di timbro si verifica soltanto quando c’è una sillaba aperta.
Quando invece c’è una sillaba chiusa allora il timbro non si riduce a i ma molto spesso
in ĕ:
esfăctus: confĕctus
•ănnus: biĕnnium
•cĕrno: discĕrno
L’evoluzione verso usi realizza invece partendo da o: es mŏntem>promŭnturium
Diversi sono i casi in cui anche in sillaba chiusa da a si passa ad i: tăngo>attĭngo
Spesso agisce il condizionamento dei fonemi vicini.
In generale possiamo dire che l’apofonia latina tende a portare i timbri più chiari (a,e)
verso i timbri più scuri (i,u).
Si tratta di un indebolimento che in alcuni casi conduce fino alla sincope, alla
scomparsa totale della vocale interessata: calidus>caldus; valide>valde;
solidus>soldus.
L’apofonia latina non incide sui valori semantici e grammaticali di una parola. Mentre
l’apofonia indoeuropea è funzionale e investe il piano morfologico-semantico
(determina, ad esempio, il passaggio da infectum a perfectum) quella latina è
meccanica ed è solamente fonetica. Questa apofonia meccanica risale sicuramente
ad un’epoca preletteraria e questo assunto ha determinato un ripensamento generale
delle regole dell’accento in epoca preletteraria: in sintesi molti studiosi (non tutti)
concordano sull’ipotesi che in epoca preletteraria l’accento fosse protosillabico, ovvero
che l’accento avesse la sua sede fissa nella prima sillaba, indipendentemente dalla
lunghezza della parola e dalla quantità.
A ( )
BBREVIAMENTO GIAMBICO BREVES BREVIANTES
Bisillabi di struttura giambicăă̄ tendono a trasformarsi in pirrìchĭi
Es: mălē>mălĕ;mŏdō>mŏdŏ.
Moltisostengonochequestofenomenosiaresponsabiledell’abbreviamentodi–ă, come
tema della prima declinazione(rŏsā>rŏsă)
S EMIVOCALI O SEMICONSONANTI
i e u non sono sempre delle vocali ma possono funzionare come fonemi consonantici.
Accade la stessa cosa in italiano, in parole come ieri, uomo.
In particolare i, u sono consonantici (e in questo caso si indicano graficamente ḽṷ) nei
seguenti casi:
•i è consonantico quando è in posizione iniziale prevocalica (iam, iecur) o in posizione
mediana prevocalica (maior); ciò ad eccezione di alcuni grecismi (Iulus)
•u è consonantico nelle stesse condizioni di i. Tra consonante e vocale può talvolta
essere ṷ (paruus, inuideo, aluus) oppure u (assiduitas, tenuis, fui)
I
L ROTACISMO
Il fenomeno prende il nome dal rho greco. In sostanza r compare al posto di s soltanto
in posizione intervocalica: la s sorda si sonorizzò e poi si mutò in r.
Questo fenomeno si verificò intorno al IV sec. a.C.; lo deduciamo da diverse
testimonianze, anche di Cicerone. Sappiamo che fu Appio Claudio Cieco (censore nel
312a.c. console nel 307 e nel 296) a sostituire la grafia Valesii, Fusii con Valerii, Furii.
Siccome i nomi propri tendono a trasformarsi più lentamente tra le parole di una
lingua, dobbiamo allora supporre che il rotacismo fosse già un fenomeno diffuso.
-
M CADUCA
La m tende a scomparire quando si trova a fine parola davanti a vocale (lo conferma la
metrica)mentre mantiene la propria consistenza prima di una consonante.
Questa tendenza è piuttosto diffusa, comunque, al punto che nelle lingue romanze i
nomi latini sono stati ripresi nella forma all’accusativo senza m.
V ERBI DERIVATI
1)Frequentativi (iterativi/intensivi)
2)Incoativi
3)Desiderativi
4)Causativi (o fattivi)
Frequentativi (iterativi/intensivi):
sono dei verbi in -ă-derivanti dal tema del participio perfetto (o del supino)
Es.
-Pulsare < pulsus < pello
-Dictare < dictum < dico
-Dormītare < dormītum < dormio
I verbi frequentativi sono originariamente dei verbi durativi. Questa durata spesso si
esprime con varie accezioni:
-iterazione (cursito, iacto, pulso)
-intensità (presso, quasso, rapto)
-conato (capto“cerco di prendere”, consulto “cerco di decidere”, vendito “cerco di
vendere”)
-intermittenza/consuetudine (cenito, cubito, ventito, visito, lectito, scriptito)
-attenuazione (raramente) (dormito “sonnecchio”, lusito “giocherello”
-alcune volte il derivato può specializzarsi in un’accezione diversa (dico “dico”/ dicto
“detto”, medeor “penso”/ medito “medito”)
Incoativi (incoho “incomincio”):
verbi della III coniugazione, caratterizzati dal suffisso –sco, che dovrebbero indicare
l’inizio di un processo verbale. In realtà questi verbi indicano un progressivo
cambiamento di stato, sono dei verbi che indicano ‘dinamismo’.
•Es.
•Albesco < albeo
•Pallesco < palleo
•Floresco < floreo
Quando però la progressione si concentra in un solo momento, allora il valore da
progressivo diventa ingressivo (da durativo a momentaneo) e di solito viene marcato
dall’aggiunta di un preverbio.
•Es: rubeo “sono rosso”>rubesco“divento rosso”>erubesco“arrossire”(detto di un
volto umano)
Erubesco oltre ad avere valore ingressivo, ha anche valore egressivo (terminativo)
perché indica la completa realizzazione di un processo iniziato prima.
Altri esempi di ingressivi: obstupesco, convalesco, obticesco.
Ci sono alcuni incoativi con temi diversi da–ē-,come hiasco, contremisco, resipisco etc.
Ci sono alcuni incoativi denominativi, cioè che derivano direttamente da un nome,
senza l’intermediazione di un verbo (deverbativo). Es:
irascor<ira,iuvenesco<iuvenis,duresco<durus,raresco<rarus
Desiderativi.
Si tratta di due formazioni in -(s)sĕre e in –ŭrīre, che esprimono valore volitivo o
conativo. Sono verbi non molto frequenti.
Es.
-capesso (voglio prender), facesso (voglio fare), lacesso (da lacio, cerco di attirare,
provoco), ex petesso (voglio ottenere).
-cenaturio (voglio cenare), empturio (voglio comprare), esurio (voglio mangiare).
Causativi (o fattivi).
Chiamaticosìperchécausanoofannocompierel’azioneespressadallaradice.Nonsonoverbi
derivatimaspessosonodeitemiin–ē-, come moneo (faccio ricordare), noceo (faccio
danno), doceo (faccio imparare).
Per rendere il concetto di ‘far fare’ in latino ci sono tre possibilità:
•composti con facio : calefacio, madefacio, stupefaccio,
•verbidivariosignificato(fugo‘mettereinfuga’,advŏco‘facciovenire’,excĭto‘faccioalzare’,s
opio‘facciodormire’)
•perifrasi varie: curo con gerundivo,iubeo con infinito, facio/efficio ut etc.
I
L PERFECTUM
Il perfetto è una forma sincretica, ovvero una forma che racchiude due forme verbali
indoeuropee, il perfetto e l’aoristo. Esso indica l’azione giunta a compimento e si
oppone all’infectum, che indica l’azione incompiuta. Questa opposizione di aspetto poi
si trasformò in un’opposizione di tempo.
I perfetti latini sono di 5 tipi: in ui (vi), sigmatico, a raddoppiamento, ad alternanza
vocalica, senza caratterizzazione. I primi due sono i più produttivi, mentre gli altri due
sono meno presenti e spesso in concorrenze conforme sigmatiche o in ui.
Perfetto in –vi, -ui: è la formazione più tipica del latino.
La forma semivocalica–vi(ṷi)si trova sempre dopo verbi con vocale lunga: vocavi,
audivi, laudavi.
La forma vocalica–ui si trova quando la vocale tematica del verbo è breve: monui,
domui, docui.
Molti verbi, per analogia, hanno iniziato a presentare anche la forma in–ui.
La ṷ del suffisso poteva cadere dopo vocale lunga, dando contrazione vocalica e quindi
forme sincopate, che poi si diffonderanno nelle lingue romanze:
•audīvit > audĭit > audìt < “udì”
•amavisti > amasti
•audivisset > audisset
Perfetto sigmatico: come dice il nome, è il perfetto che esce in–si. Corrisponde
all’aoristo sigmatico greco e riguarda molti verbi con radice in consonante: velare
(dico>dixi), dentale (ludo>lusi), labiale (serpo>serpsi), nasale (maneo>mansi)
Perfetto ad alternanza vocalica. Anche in questo caso si tratta di una forma
indoeuropea. L’alternanza può essere solo quantitativa oppure quantitativa e
qualitativa insieme.
•Quantitativa: ĕmo>ēmi, lĕgo>lēgi, vĕnio>vēni, vĭdeo>vīdi, fŭgio>fūgi
•Quantitativa/qualitativa: ăgo>ēgi, căpio>cēpi, făcio>fēci, iăcio>iēci
Perfetto a raddoppiamento: è la continuazione del perfetto indoeuropeo. Es. memini.
•La vocale del raddoppiamento era ĕ (cecini, fefelli, tetigi) ma poi si sono verificati
diversi casi di assimilazione alla vocale radicale (cucurri, momordi, pupŭgi, tutŭdi).
Molte testimonianze (tra cui Gellio) però confermano che anche in questi casi il
raddoppiamento originario era in e (pepugi, memordi