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DIFFUSIONE DELLA CULTURA FIGURATIVA TOSCANA ED ESITI

DELL'ARTE ITALIANA DEL 300

Arte nell'Italia meridionale e settentrionale:

Napoli: la corte angioina costituisce il motore fondamentale dell'attività figurativa, a Napoli non si

forma, se non molto più tardi, una scuola locale, le commissioni sono appaltate a botteghe esterne al

regno dapprima transalpine poi centro-italiche, in accordo col mutare degli orientamenti culturali e

delle alleanze politiche e della corte di orientamento francese, finché Roberto D'Angiò non inserisce

il napoletano nell'alveo della cultura italiana.

Rimini: rappresenta un caso diverso, il passaggio di Giotto nel 1303 rianima le botteghe locali in

seguito aperte ad influenze transalpine e padane.

Bologna: propone una situazione di grande interesse, oltre a mostrarsi il baluardo della più fiera

resistenza al giottismo, pittori e miniatori rifiutano l'ordine, la monumentalità e la razionalità del

fiorentino, a cui si contrappone un mix di realismo e drammaticità, con influenze transalpine.

Verso la metà del sec le punte più aspre della figuratività bolognese, esemplificate dai dipinti di

Vitale lasciano il posto a un gusto disteso e cordiale di cui si fa interprete Tommaso da Modena.

Milano: nel primo 300 si assiste all'innesto, su una cultura figurativa attardata da nostalgie

romaniche delle forme moderne di Giotto e di altri artisti toscani, che pongono le basi per il

formarsi di una cultura lombardo-veneta dove rientrano pittori e scultori della corte viscontea di

quella scaligera di Verona e di quella carrarese di Padova.

Venezia: ripropone l'antico problema della difficile saldatura tra le tendenze figurative continentali e

la cultura lagunare volta verso l'Oriente bizantino.

A complicare il quadro di questa multiforme Italia, concorre un nuovo fenomeno come

l'esportazione delle proposte figurative all'estero s'intensificano gli scambi con Spagna, Francia,

Austria, Ungheria, e dei numerosi pittori che si stabiliscono ad Avignone.

Sia Bologna che Avignone sbarrano la strada a Giotto e ai suoi allievi proponendo una cultura

alternativa.

IL REGNO DI NAPOLI

Il regno di Napoli passato dal dominio svevo a quello angioino nel 1266, retto da Carlo I e Carlo II

D'Angiò nella seconda metà del XIII sec da Roberto D'Angiò detto il saggio nella prima metà del

300.

I monarchi angioini timorosi di ogni autonoma iniziativa locale, affidano le leve principali del

potere politico a baroni francesi di loro fiducia, il potere economico a banchieri fiorentini, non

diversamente accade per l'arte.

A Napoli non si forma un autonoma scuola locale poiché le principali commissioni sono affidate ad

artisti esterni, nel tardo 200, regnante Carlo II, dominano tendenze francesi e catalane com'è il caso

del Salterio Maciejowski (fig 269) da una commissione dell'angioino dipende anche il Busto

reliquiario di San Gennaro (fig 270) la cui esecuzione è affidata nel 1304 agli orefici francesi

stipendiati dalla corte Etienne Godefroy, Milet D'Auxerre, Guillaume de Verdelay, naturalistico

nella resa fisionomica e raffinato nelle decorazioni della stola cosparsa di placche recanti lo stemma

araldico dei gigli angioini.

L'arte centro-italiana irrompe nel corco del primo decennio del 300 dopo l'ascesa al trono di

Roberto D'Angiò, 2 chiese erette a Napoli all'inizio del sec, Santa Maria D'Ungheria e Santa Chiara

eretta dal 1310 testimoniano un attenzione per i modelli toscani.

La prima gotica a navata unica è complicata dalla presenza del coro delle monache una sorta di

soppalco che copre parte della navata nella seconda (fig 271) la navata ad aula punta ad un unitaria

spazialità tipicamente francescana.

Nel 1303 giunge a Napoli il romano Pietro Cavallini, i cui affreschi nel Duomo e in San Domenico

sono l'esempio della prima introduzione della ritrovata monumentalità e spazialità latina nell'Italia

del sud.

La sua opera ha una vasta risonanza in città, come dimostrano i numerosi cicli pittorici non sempre

di eccelso livello, eseguiti in Santa Maria Donnaregina tra il II e il III decennio del sec.

Legato al Cavallini è un interessante pittore del centro Italia presente a Napoli tra il 1315 e il 1322

Lello da Orvieto che nel 132o esegue il modernissimo Ritratto Funerario del Vescovo D'Ormont (fig

272) che risente del gusto di Simone Martini ma indirizzato verso un idea del ritratto come genere

autonomo.

La prima apertura verso la moderna arte 300 è dunque mediata da artisti romani, la seconda da

artisti senesi da Simone Martini a Tino di Camaino che dal 1324-37 svolge a Napoli un intensa

attività, decisiva è comunque la presenza di Giotto tra il 1338 e il 1333 attivo a Santa chiara e nella

reggia di Catelnuovo aiutato da cosiddetto parente Stefano e da Mao di Banco.

Al clima culturale della corte di Roberto il Saggio dove risiede anche il Boccaccio, Giotto partecipa

dipingendo nella Sala Magna di Catelnuovo un ciclo di Eroi dell'antichità purtroppo interamente

perduto. Finalmente grazie a Giotto che introduce nella sua bottega alcuni artisti locali si forma un

pittore un napoletano come Roberto D'Oderisio attivo già negli anni 30 del secolo nella provincia

salernitana e lungo la costiera amalfitana e ricordato ancora in vita nel 1382.

Nella Giovanile Crocefissione su tavola del Museo di Capodimonte dove sembra ricalcare il Parente

di Giotto, ma più duro nei trapassi cromatici più schematico e incisivo nei profili, ottiene un

impiego ufficiale nella corte di Napoli ma il suo momento più florido coincide con l'ascesa al trono

di Giovanna D'Angiò, una monarca screditata che chiede alle arti di mascherare con una splendida

facciata, con abbaglianti visioni di aristocratica eleganza una realtà sociale e politica di

disgregazione.

Nascono in questo clima i capolavori di Oderisio: gli affreschi dei Sacramenti (fig 273) nella Chiesa

dell'Incoronata e alcune tavole tra cui un dittico della Pietà ora diviso tra Londra e New York (fig

274) di grande forza espressiva tra i più alti prodotti della pittura italiana.

CENTRI DELL'ITALIA SETTENTRIONALE NELLA PRIMA META' DEL

300

Anche Rimini e Bologna sono teatro nel primo 300 di importanti avvenimenti artistici che trovano

eco nelle altre città della Romagna e dell'Emilia.

A Rimini, nasce una scuola giottesca scaturita dal passaggio dell'artista sulla via di Padova, nel

1303, perduti gli affreschi dipinti da Giotto nella chiesa di S.Francesco sopravvive il prezioso

Crocifisso su tavola (fig 275) che riprende con tinte intenerite lo schema della Croce in Santa Maria

Novella a Firenze.

Nel 1307 Giuliano da Rimini esegue un dossale (Madonna e Santi) in cui il giottismo sembra già

recepito, se pur in chiave arcaicizzante.

Più matura è la ripresa della tavola in San Francesco a Mercatello da parte di Giovanni da Rimini

nel Crocifisso (fig 276), che con la sua data inscritta (1309) segna un importante primo punto di

riferimento per ricostruire la storia dell'arte riminese.

Giovanni comprende a pieno la lezione Giottesca come indicano le Storie della Vergine affrescata in

una cappella della chiesa di Sant'Agostino a Rimini.

La Presenza al tempio (Fig 277) per quanto molto rovinata come del resto tutto il ciclo, appare

segnata anch'essa da influenze giottesche, ancora Sant'Agostino nelle Storie di San Giovanni

Evangelista del coro del 1315-20 dell'Anonimo Maestro del Coro di Sant'Agostino mostra che il

messaggio giottesco può essere spinto verso una ricerca realistica dei particolari in un contesto di

passionalità.

Nel Terremoto di Efeso (fig 278) la frana degli edifici sembra quasi una metafora della

disgregazione della cultura giottesco che entro pochi anni ritroveremo nelle botteghe bolognesi.

Non meno drammatici, anche se più maturi e controllati, sono gli esiti di Pietro da Rimini un pittore

più colto rispetto agli altri riminesi, lavora a Padova ampliando la sua conoscenza dell'arte di Giotto

e sembra conoscere gli affreschi di P.Lorenzetti (fig 225) nella Basilica Inferiore di Assisi.

L'impeto sentimentale che irrompe dalla tavoletta con la Deposizione (fig 279) oltrepassa i limiti

della pittura toscana mostrando affinità con le ricerche padane di immediatezza e verità, dopo un

esordio Giottesco la pittura riminese si apre dunque a varie influenze.

Un altro interessante anonimo pittore che verso il 1330 affresca l'abside di San Pietro in Sylvis a

Bagnacavallo (Ravenna) allinea al di sotto di un immane Cristo in maestà di remota ascendenza

tardo-antica e ai lati di una composta Crocefissione, 2 file di Apostoli (fig 280) si tratta di figure

elegantemente atteggiate e plasticamente tornite, naturali nei gesti e cordiali nelle fisionomie.

Il Maestro di San Pietro in Sylvis rappresenta un lato mondano e raffinato dell'arte riminese ma

della sua inclinazione transalpina per adesso non è stato possibile rilevare l'origine né il seguito.

Gli artisti bolognesi hanno conoscenze diretta delle novità artistiche toscane nel tardo 200 giunge a

Bologna una Maestà di Cimabue, nel quarto decennio un polittico dipinto da Giotto e dai suoi

allievi, un pittore bolognese Dalmasio si alterna tra Bologna e Firenze dove lavora nelle principali

chiese.

Ma lo stile toscano si scontra a Bologna si scontra con la cultura figurativa internazionale scaturita

dalla presenza della rinomata università, la scuola pittorica bolognese che si sviluppa nel corso del

terzo decennio del 300 presenta caratteristiche tipicamente gotiche e transalpine che la pongono agli

antipodi con i modi solenni e controllata dei giotteschi.

Al forte realismo dei particolari si accostano spericolate costruzioni e ambientazioni visionarie

caratterizzati da salti di scala delle figure.

Conferma l'apertura internazionale della cultura bolognese il ricchissimo ciclo delle Storie di Cristo

(fig 281) non dipinto ma ricamato su un piviale (paramento liturgico) franco-inglese della fine del

XIII sec, già nella chiesa di San Domenico ora al Museo Civico di Bologna, le Storie di Cristo sono

narrate sinteticamente, dato l'esiguo spazio, ma con grande vivacità, con modi tipici dell'arte del

nord.

La perdita di numerosi dipinti e di quasi tutti i cicli di affreschi nelle chiese bolognesi impedisce

una ricostruzione chiara delle vicende artistiche della città, nel trittico della Crocifissione, ora al

Louvre (Fig 283) che un inscrizione sul retro certifica la data al 1333 per la chiesa di San Vitale si

legge un chiaro influsso francese sia nella carpenteria, si tratta infatti di un trittico a sportelli molto

comune in Francia e raro in Italia sia nella costipazione figurativa della tavola centrale, grottesca

nella esasperata tragicità

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
37 pagine
3 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/01 Storia dell'arte medievale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher val.fi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Forme e Funzioni dell'Arte Medievale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Benati Daniele.