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CAP L OCCHIO DEL UATTROCENTO P
1.
Il processo che porta un’immagine a riflettersi nell’occhio umano è comune ad ognuno di noi. Ma ciascuno di
noi ha alle spalle esperienze differenti e quindi ha conoscenze e capacità interpretative leggermente diverse.
Ognuno elabora i dati dell’occhio servendosi di strumenti differenti e quindi interpretare in maniera
leggermente diversa una stessa immagine.
ES. supponiamo che a un uomo venga mostrata l’immagine 1: c’è chi potrebbe vedere una cosa rotonda con
un paio di proiezioni allungate a forma di L su ogni lato; chi una forma circolare sovrapposta ad una
rettangolare interrotta…
M. Baxandall, Pittura ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento
4 1 - Santo Brasca, Itinerario... di Gerusalemme, xilografia
(Milano 1481, p. 58v)
Il fatto di tendere a dare un’interpretazione piuttosto che un’altra può dipendere da molte cose, in
particolare dal contesto e dalla capacità interpretativa possedute. Così, se leggiamo la didascalia
dell’immagine saremo portati a “leggerla” come una pianta, sempre che possediamo la conoscenza del
modo in cui una pianta vada interpretata, e ci aiuteremo con le nostre precedenti esperienze di edifici: a
questo punto un italiano del XV sec interpreterebbe probabilmente il cerchio come una cupola e le ale
rettangolari come sale, mentre un cinese del XV sec sarebbe portato a leggervi una corte centrale circolare
sul modello del nuovo Tempio del Cielo a Pechino.
Nell’interpretazione di una immagine entrano in gioco una serie di schemi, categorie e metodi di
1)
deduzione; l’abitudine a usare una certa gamma di convenzioni rappresentative; l’esperienza (ricavata
2) 3)
dall’ambiente) di fatti che consentono di visualizzare in modo plausibile ciò di cui abbiamo un’informazione
incompleta.
2.
La convenzione rappresentativa consisteva nel fatto che il pittore facesse la sua superficie piatta in modo
da richiamare il più possibile un mondo tridimensionale e gli veniva attribuito il merito di avere tale
L’uomo del Quattrocento si impegnava a fondo nel guardare un dipinto, anche se ciò può apparire
capacità.
curioso. Sapeva che in un buon dipinto ci doveva essere abilità e spesso era convinto che il dare un giudizio su
di essa e talvolta anche l’esprimerlo verbalmente fosse compito del fruitore colto.
ES. nel più famoso trattato del XV sec sull’educazione, il di si
Pier Paolo Vergerio,
De ingenuis moribus etc.
afferma che un uomo che avesse un minimo di rispetto intellettuale di sé non poteva restare passivo ma
era tenuto ad esprimersi.
La capacità umana di riconoscere un certo tipo di forma o rapporto di forme influisce sull’attenzione che
Buona parte che noi chiamiamo “gusto” consiste nella
l’uomo dedica all’osservazione di un quadro.
corrispondenza fra l’analisi richiesta da un dipinto e la capacità di analisi del fruitore.
La nostra cultura è abbastanza vicina a quella del Quattrocento da permetterci di accettarne buona parte del
patrimonio e di non avere la netta sensazione di fraintenderne i dipinti.
ES. se guardando la tavola dell’Annunciazione di (1445) si prescindesse
Domenico Veneziano
dalla supposizione che gli elementi architettonici siano con ogni probabilità rettangolari e regolari
a) dalla conoscenza della storia dell’Annunciazione, sarebbe molto difficile riconoscere e leggere
b)
l’immagine correttamente. Ciò non significa che l’artista raccontasse male la sua storia ma che faceva
assegnamento sul fatto che il fruitore riconoscesse il soggetto con un’immediatezza sufficiente da
permettergli di accentuarlo, modificarlo e adattarlo in modo abbastanza spregiudicato.
M. Baxandall, Pittura ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento 5
3. il fruitore del Rinascimento era
L’unico sistema per esprimere pubblicamente dei giudizi è quello verbale:
quindi spinto a trovare dei termini adatti a definire l’interesse di un oggetto e ad abbinare dei concetti allo
stile pittorico.
A differenza di oggi, in cui possediamo un’ampia terminologia e serie di concetti specifici riguardanti la qualità
dei dipinti, nel XV sec la maggior parte della gente per cui il pittore lavorava possedeva una ½ dozzina di
queste categorie relative alla qualità dei quadri (“scorcio”, “azzurro ultramarino a 2 fiorini l’oncia”, forse
“panneggio”…). Inoltre il numero di coloro che possedevano tali competenze era limitato, si trattava infatti di
mercanti e professionisti che operavano in qualità di membri delle confraternite o individualmente, principi e
cortigiani, superiori degli ordini religiosi. E anche all’interno delle classi committenti c’erano delle differenze
basate sui gruppi: ad esempio i medici, abituati ad osservare i corpi umani, erano più attenti alle proporzioni.
Il fruitore deve utilizzare nella lettura di un dipinto le capacità visive di cui dispone, e dato che di queste
sono pochissime di solito quelle specifiche della pittura, egli è incline a usare quelle capacità che sono più
apprezzate dalla società in cui vive. Il pittore è sensibile a tutto questo e deve fare i conti con la capacità
visiva del suo pubblico.
4. ovvero erano creati in funzione di fini
La maggior parte dei dipinti del XV sec sono dipinti religiosi,
istituzionali cui fornivano il contributo di una specifica attività intellettuale e spirituale; inoltre ricadevano
sotto la giurisdizione di una teoria ecclesiastica sulle immagini con regole consolidate da tempo.
Dal punto di vista della Chiesa le immagini dovevano avere
Qual era la funzione religiosa dei dipinti religiosi?
un triplice scopo: il di Giovanni di Genova (dizionario della fine del XIII sec) li riassume in questo
Catholicon
modo:
Item scire te volo quod triplex fiut ratio institutionis imaginum in ecclesia. ad
Prima
instructionem rudium, qui eis quasi quibusdam libris edoceri vedentur. ut
Secunda
incarnationis mysterium et sanctorum exempla magis in memoria nostra essent dum
quotidie oculis nostris representatur. ad excitandum devotionis affectum, qui ex visis
Tertia
efficacius excitatur quam ex auditis.
In questo modo i dipinti diventavano stimoli rispettivamente lucidi, vividi e immediatamente accessibili che
L’idolatria rappresentava pur sempre una
inducevano l’uomo a meditare sulla Bibbia e sulle vite dei santi.
preoccupazione costante per la teologia, ma essa non assunse mai le proporzioni di un pressante problema di
pubblico scandalo come avvenne in Germania. Soggetti con implicazioni eretiche, soggetti apocrifi, soggetti
resi meno chiari dal fatto di essere trattati in modo frivolo e indecoroso: tutti e tre questi errori continuavano
ad esistere.
5.
Per il pittore la traduzione in immagini di storie sacre era un compito professionale. La mente del pubblico non
era una tabula rasa su cui si potessero imprimere le rappresentazioni che il pittore dava di personaggi o di una
storia: ogni pittore doveva misurarsi con un’attiva consuetudine di visualizzazione interiore.
M. Baxandall, Pittura ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento
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Una meditazione che visualizzi così dettagliatamente le storie da arrivare quasi ad ambientarle nella propria
città e a utilizzare come personaggi i propri conoscenti è un tipo di esperienza che oggi manca alla maggior
parte di noi. Perciò il pittore di regola evitava di caratterizzare nei particolari le persone e i luoghi, ma
dipingeva tipi di persone comuni, fornendo una base a cui il fruitore potesse imporre il suo dettaglio
personale. Così, ad esempio, operava il Perugino.
Il pittore si rivolgeva a persone che tramite i sermoni venivano istruite pubblicamente sullo stesso
I sermoni avevano un ruolo importante per i pittori: sia il
argomento e in modo più formale e analitico.
predicatore che il dipinto facevano parte dell’apparato di una chiesa e ciascuno teneva conto dell’altro. I
sermoni erano una classificazione delle storie in termini molto emotivi, strettamente legati alla
personificazione fisica e quindi visiva dei misteri. Il predicatore e il pittore erano in sostanza l’uno
repetiteur
Il XV sec inoltre segnò l’ultima occasione per il predicatore popolare di tipo medievale: il V Concilio
dell’altro.
Laterano (1512-17) prese infatti delle misure per sopprimerli.
ES. fra Roberto predicando sull’Annunciazione distingue tre misteri principali: 1) la “Angelica 2) la
Missione”;
“Angelica 3) la “Angelica Ognuno di essi viene discusso in 5 capitoli
Salutatione”; Confabulatione”.
principali. Tra questi, è il terzo mistero a chiarire il sentimento quattrocentesco per quanto accaduto nel
momento cruciale che il pittore doveva rappresentare. Fra Roberto analizza il racconto di san Luca e delinea
la successione di 5 condizioni spirituali e mentali o stati d’animo attribuibili a Maria:
- [“Ave , o piena di grazia, il Signore è con te! Benedetta tu fra le donne”]
conturbatione
- [“Ecco che tu concepirai nel tuo ventre e partutrirai uno figliolo e chiamerai el suo nome Iesu”]
cogitatione
- [“Come può essere se io non conosco né intendo conoscere uomo alcuno?”]
interrogatione
- [“Eccomi ancilla del Signore. Sia facto in mi secondo la tua parola”]
humiliatione
- (in seguito al congedo di Gabriele, fa parte delle rappresentazioni della Vergine da sola, oggi
meritatione
definita “Annunziata”).
6.
L’elemento essenziale delle storie era la figura umana. Ciò che caratterizzava la figura non era tanto la sua
fisionomia, quanto il suo atteggiamento.
La figura del lasciava meno spazio di altre all’immaginazione personale perché il XV sec aveva la fortuna
Cristo
di essere convinto di possedere una testimonianza oculare del suo aspetto. Si trattava di un rapporto apocrifo
che un Lentulo, governatore della Giudea, avrebbe inviato al Senato romano. Solo pochi dipinti non
rispettavano questo modello: uomo di statura media, viso venerabile, capelli color nocciola dorata, lisci fino
alle orecchie e poi ricci e crespi. Spartiti in due davanti secondo l’uso dei nazzareni. Viso senza rughe, un poco
colorito, con una folta barba non troppo lunga dello stesso colore dei capelli e anch’essa bipartita. Occhi chiari
e lucenti. Allegro e grave al contempo.
La era rappresentata in maniera meno uniforme, nonostante i presunti ritratti di san Luca, e c’era una
Vergine
consolidata tradizione di controversie circa il suo aspetto.
Lo stesso si può dire dei sebbene molti avessero alcuni segni fisici come elementi identificativi.
santi,
M. Baxandall,