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Da sempre l’allestimento è architettura. Ma
alcune specificità lo caratterizzano, a partire
dalla provvisorietà che costringe i progettisti ad
accentuare, ma anche a essenzializzare i
caratteri formali dell’insieme per renderli
memorabili, così come anche adottare
materiali e sistemi costruttivi di facile
montaggio.
Questione nevralgica è il rapporto tra
l’allestimento e le opere esposte. La collocazione di allestimenti all’interno di spazi
preesistenti obbliga il progettista a un rapporto critico col contesto che può andare
dalla valorizzazione reciproca al suo semplice impiego come supporto strumentale
più o meno visibile, fino alla sua totale
negazione.
Prendo ora in considerazione
uno degli architetti più influenti
degli anni ’40.
FRANCO ALBINI.
È un caposcuola
dell’architettura razionale, ai
suoi tempi il maestro di questo
pensiero era Banfi e gli architetti
milanesi si erano formati sul
convincimento che la ragione è
fondamento di ogni cosa. Quindi
erano tutti certi che il punto di
partenza di un progetto fosse la
conoscenza del tema. Il tema in architettura è il tramite fra l’architettura e la realtà, il
tema è posto dalla realtà esterna, la casa, il teatro il museo ecc., riflettere su un
tema per conoscerlo, significa conoscere un aspetto della realtà, metterne in luce i
valori. «Questo aspetto rende felici, ma anche molto infelici quando ci impedisce di
agire su di essa secondo ragione». [Chi l’ha detto? Albini? Occorre mettere in
nota da dove è tratta la citazione...]
Albini viveva molto intensamente questa contraddizione, sentiva fortemente il limite
del non poter sempre vivere secondo ragione. Sono molte le sue opere di
allestimento, straordinarie e irraggiungibili per bellezza e perfezione.
Altro aspetto fondamentale è la questione tipologica. Gli architetti razionalisti non
credono che il “tipo” vada assunto così come viene proposto, tuttavia il processo di
definizione di un tipo edilizio opera una selezione nel tempo fra i caratteri essenziali
e quelli secondari degli edifici.
Albini si distingue sul tema della costruzione degli spazi interni, sua fondamentale
prerogativa: costruire uno spazio dentro a un altro spazio con una struttura
realizzata a tale scopo. Vuole mettere in risalto il motivo per cui viene realizzata una
costruzione e non il meccanismo della medesima. Questa è la filosofia che lo
accomuna ai grandi architetti del suo tempo che vedevano nel tema di progetto il
problema da risolvere, il quale, una volta risolto, non doveva lasciare traccia del
lavoro svolto per la sua risoluzione. C’è la convinzione che il fine dell’architettura
non è l’architettura stessa ma la conoscenza e la rappresentazione del motivo per
cui viene costruita.
Qui sta la grande differenza con Carlo Scarpa e la scuola di Venezia che si
compiace del modo di risolvere il problema costruttivo più che della ricerca del fine
della costruzione.
L’arte di Albini aveva sempre uno scopo, per questo utilizza forme semplici, che non
attirino l’attenzione in modo da evitare che essa venga distolta dal motivo per cui
sono state create.
Le narrazioni spaziali di Albini risolvono problemi reali e alludono a nuove forme
dell’abitare con forti valenze immaginative. Nei suoi progetti egli svela le vibrazioni
dei materiali, l’odore del silenzio, il colore delle passioni. Gli oggetti sorretti da
bianche aste metalliche interpretano i segni del tempo e aprono le vie della
creazione del nuovo.
Negli arredi e negli allestimenti temporanei compie geniali sortite su un terreno
proprio.
Nei suoi maggiori allestimenti si pone come obbiettivo la progettazione di uno spazio
interno elegantemente distaccato dalle incertezze del mondo. Il suo stile che nelle
case come nelle mostre e nei musei dispone di oggetti “spaesati all’interno di vivai
effimeri” [È una citazione? Se sì va tra «...» e va messo il rimando in nota a pie’
di pagina], è fin da subito privo di risvolti, forse perché il passaggio alla modernità
avviene in modo così decisivo da non ammettere più dubbi. Per questo verrà
definito dai suoi maestri un “razionalista artista” lasciando intendere l’affascinante
[se può evitarlo, non usi questo aggettivo così abusato...] percorso da lui
intrapreso, diretto oltre l’architettura, verso la vita dell’uomo moderno ricercando
l’equilibrio tra valori estetici e morali.
Albini, inoltre, affronta la distinzione tra museo e mostra; sottolineando la natura
temporanea della mostra senza specificarne il carattere, ma sforzandosi di definire
quale sia l’essenza del linguaggio da adottare per la sua progettazione: «La mostra
ha affinità con lo spettacolo e come esso necessita di un tema chiaro». [VEDI
SOPRA] Il parallelo con il teatro implica l’attenzione per le reazioni della critica e del
pubblico: per una mostra, il successo, è indice della sua utilità.
Occorre che l’invenzione espositiva attiri nel suo gioco il visitatore; deve suscitare attorno alle
opere l’atmosfera più adatta a valorizzarle, senza sopraffarle. L’architettura deve farsi mediatrice
tra pubblico e cose esposte. Per raggiungere questo risultato bisogna ricorrere a soluzioni spaziali
piuttosto che a soluzioni plastiche: bisogna creare spazi architettonici, o sottolineare quelli
esistenti, legandoli in una unità assoluta con le opere esposte. Sono proprio i vuoti che occorre
costruire, essendo aria e luce i materiali da costruzione. L’atmosfera non deve essere ferma,
stagnante ma vibrare, e il pubblico si deve trovare immerso e stimolato, senza che se ne accorga.
[VEDI SOPRA]
Negli allestimenti di Albini troviamo una serie di segni che definiscono le qualità
spaziali e temporali dell’architettura mediante il riconoscimento di una tradizione
intesa come “moto continuo di vita”. I diaframmi trasparenti, gli oggetti sospesi, le
scale tenute insieme da esili tiranti, le superfici materiche, i coni luminosi, sono
metafore per raccontare l’esistenza umana, tenacemente appesa al filo di un
rinnovamento. L’emozione estetica suscitata da un’opera d’arte o lo stupore di
fronte a una novità della tecnica sono intensificati da uno spazio che pone il
pubblico nella condizione di esprimere un parere sulle ragioni delle creazioni del
passato o del presente per svolgere un’azione sul futuro.
Gli allestimenti realizzati da Albini sono “ambienti negli ambienti”. L’architetto traccia
una griglia geometrica poi procede disponendo una serie di elementi costruiti che
sostengono gli oggetti da esporre. L’atmosfera è resa vibrante attraverso soluzioni
che caratterizzano i vuoti scandendone il ritmo fatto di aria e luce. Lo spazio utilizza
così come fondale una rigorosa geometria costruttiva, con riferimenti all’arte
astratta, ma la sua composizione procede per elementi impressionistici che porgono
al visitatore dipinti, sculture e oggetti d’arte industriale.
L’esordio nel campo dell’architettura per le esposizioni avviene alla Fiera
campionaria di Milano nel 1932, nel Padiglione del Masonite.
Nel 1933 costruisce il primo padiglione dell’Ina, risolto attraverso l’uso di
fotomontaggi e della tipografia in scala architettonica.
Lo stesso anno si apre a
Milano la V Esposizione
triennale internazionale
delle Arti decorative e
industriali moderne e
dell’architettura moderna,
nel nuovo palazzo dell’Arte.
Qui Albini collabora alla
realizzazione della Casa a
struttura d’acciaio ed
espone l’arredamento di
una Stanza di soggiorno
pensata per “l’uomo dei nostri tempi”. Nel 1935 l’Ina affida ancora
ad Albini la progettazione del
suo padiglione che può
essere considerato un punto
di partenza della personale
strada da lui intrapresa.
Alla VI Triennale del 1936
ritorna il gruppo di giovani
progettisti che Giuseppe
Pagano aveva raccolto nella
precedente edizione; questi
ordinano la Mostra
dell’Abitazione all’interno
della quale presentano
l’arredamento di tre alloggi
tipici. Inoltre Albini e Romano
allestiscono la Mostra dell’Antica oreficeria italiana. Gli oggetti devono essere
esposti nelle migliori condizioni di sicurezza, di visibilità e di luce, raggruppati più per
“simpatia” stilistica più che per severo ordine cronologico. L’allestimento si avvale di
ventiquattro vetrine di cristallo tenute sospese da bianche aste metalliche,
invenzione di un sistema espositivo che diventerà il motivo conduttore del lavoro di
Albini.
La morte di Edoardo Persico segna uno spartiacque per l’architettura italiana,
privata dal contributo di colui che più di ogni altro ne aveva spronato la curiosità per
le più avanzate esperienze europee. In questo periodo Albini firma numerosi progetti
e torna ad occuparsi con più attenzione di allestimenti.
- Allestimento della Mostra di Scipione (la personalità più tormentata degli anni
’30) e di disegni contemporanei, alla Pinacoteca di Brera (Milano) nel 1941. Le
opere dell’artista in mostra, ossessionate da una morbosa sensualità, vengono
sospese in un’atmosfera pronta ad accogliere «un’umanità senza più vincoli,
liberata nell’arte». [VEDI SOPRA] Una maglia quadrata di cavi d’acciaio
sostiene una serie di montanti di legno a forma di fuso appoggiati al
pavimento. Questi ultimi reggono, oltre alle lampade, tre tipi di supporti: fondali
di stoffa bianca con telai staccati per i quadri, doppie lastre di vetro per i
disegni e piani inclinati protetti da vetri con fondo a graticcio. Inoltre si trovano
altri due elementi: un nastro di carta da disegno, sopra al reticolo dei tiranti,
unisce visivamente le quattro sale della mostra e diffonde la luce dei riflettori in
tutto l’ambiente, mentre lunghi teli di carta da tappezzeria sono allineati a mo’
di quinte verticali lungo le pareti. Le tre opere più importanti di Scipione sono
collocate contro esedre di mattoni a vista, unico elemento di affinità con il
sofferto cromatismo dei dipinti. [Questa, forse come anche altri passaggi, è
una citazione dal libro di Bucci: mi sono raccomandato, a questo
proposito, di dirvi di distinguere sempre le parti del testo che sono
vostre da quelle che sono tratte da scritti di altri. Mi raccomando, se ci
sono brani che lei ha citato da libri, li segnali con i «....» e metta sempre
in nota il rimando del volume e della