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Estratto del documento

Durante il regime sono tanti i concorsi di architettura promossi per rafforzare la politica delle opere pubbliche e maturare la

definizione di uno stile architettonico fascista, dato dall’incontro tra la modernità e la memoria del glorioso passato italico. Tra i

tanti architetti ha buon gioco Piacentini, che progetta la Città universitaria di Roma (1932-35), collaborando con altri progettisti

come Giuseppe Pagano, Giò Ponti, Giovanni Michelucci e altri. Piacentini, che fu soprannominato l’architetto capo del regime, nelle

sue opere mostra una costante adesione alle forme del moderno, che però è sempre permeata a riferimenti alla tradizione italiana,

come nel Palazzo di giustizia di Milano (1933-41) o proposte di taglio urbano come la Piazza della Vittoria a Brescia (1929-31).

Con la proclamazione dell’impero nel 1936, si va sempre di più verso un’immagine architettonica che celebri il potere dittatoriale

attraverso monumentalità, esasperazione dei simboli e culto della personalità di Mussolini. L’occasione per concretizzare questa

monumentalità è data anche dalla fondazione di nuove città come Aprilia, Pontinia, Littoria (ora Latina), Mussolinia (ora Arborea),

Guidonia, Sabaudia e Carbonia o come il secondo tratto di Via Roma a Torino (Piacentini, 1933) o il Palazzo del Littorio a Roma (ora

palazzo della Farnesina, 1933-34).

Se Piacentini è il simbolo della dittatura fascista, Giuseppe Terragni invece è il rappresentate emblematico della prima stagione del

Razionalismo italiano in cui si cerca una certa confluenza tra le proposte del

Movimento Moderno e la carica di rinnovamento sociale, culturale e politico

proposta dai primi anni del governo fascista. Laureato al Politecnico di Milano,

Terragni inizialmente entra a far parte del Gruppo 7 e poi apre il suo studio

personale a Como, sua città d’origine. Terragni si ispira sicuramente agli scritti

dei moderni stranieri come Gropius, Rietveld e, in particolare, Le Corbusier, che

sente più vicino per le atmosfere mediterranee comuni. Inizialmente si impone

all’attenzione con un edificio di appartamenti a Como, il Novocomum (1927-

29), considerato il primo esempio di architettura razionalista italiana: nessuna

decorazione, svuotati gli angoli tra il prospetto principale e quelli laterali, in cui

sono inseriti dei cilindri vetrati per un’altezza di 4 piani, chiusi dalla soletta dell’ultimo piano che ricompone l’angolo retto. Diretta

ispirazione è per il progetto del Club operaio Suyev di Golosov a Mosca, ma anche la scomposizione enunciata dal De Stijl,

l’esaltazione dell’architettura di vetro degli espressionisti, che raggiunge la sintonia con le dichiarazioni di Mussolini che definisce il

fascismo “una casa di vetro”, che Terragni concretizzerà con la Casa del Fascio di Como (1932). La casa del Fascio è importata

secondo rigide armonie geometriche legate alle regole del rapporto aureo e alla figura del cubo: l’altezza è metà del lato.

Nell’edificio ci sono vari rimandi alla tradizione delle case patrizie romane, alla centralità delle ville del Palladio, ma è anche

esempio di estrema modernità e funzionalità che non esclude però il senso di monumentalità, evocato attraverso il rivestimento in

marmo bianco e la sopraelevazione su un lieve basamento. La trasparenza è data dalla facciata principale in cui sono posti gli

ingressi vetrati e la copertura in vetro cemento, che illumina l’ampio vano della sala centrale. Altri progetti: Asilo Sant’Elia (1934-

35), Casa Rustici a Milano (1933-35) e il progetto per il concorso del palazzo del Littorio a Roma (1933-34), per il Palazzo dei

ricevimenti e dei congressi dell’E42 (1937), per il Danteum a Roma (1938) e la Casa Giuliani-Frigerio (Como, 1939-40) che diventa

sintesi tra ricerca formale e applicazione pratica del suo percorso. Dopo la guerra Terragni però si accorge che il Fascismo era nel II

periodo diventato portatore di distruzione e dolore e non rinnovamento.

Oltre a Piacenti e Terragni, sono però tanti gli architetti che hanno collaborato

all’architettura fascista. Esempi sono il Dispensario Antitubercolare di Alessandria di

Gardella (1935-38), in cui si interpretano forme moderne mediate da riferimenti locali

come il grigliato in laterizio, e la Casa del Fascio di Asti (Alosio, 1934) con pianta a

forma di M come Mussolini interpreta le forme di influenza espressionista nel rispetto

del contesto e dei materiali locali. Altro edificio degno di nota è la Villa Malaparte a

Capri (1938-40) di Adalberto Libera e Curzio Malaparte, che si presenta come un

parallelepipedo spoglio incastonato nella roccia del paesaggio mediterraneo, che

propone un riflessione sul dialogo architettura-natura.

Nello stesso periodo si istituisce anche la ricostruzione della città del Vaticano in seguito ai Patti Lateranensi (1929) che pongono

fine alla “questione romana”. Papa Pio XI per definire il disegno urbano della nuova parte della città del Vaticano chiama

l’architetto torinese Giuseppe Momo, che propone riprese della classicità e del rinascimento

romano nel palazzo del Governatorato, nella stazione ferroviaria, nel seminario, negli edifici della

radio e delle poste, ed altri interventi di restauro e i nuovi ingressi ai Musei Vaticani (1929-32) che

influenzeranno perfino Wright nella costruzione del Guggenheim Museum di New York. Significativa

anche la collaborazione Momo-Piacentini per la definizione di Via della Conciliazione, opera

simbolica dell’unione chiesa-fascismo che sventra il tessuto tardomedievale della spina di Borgo per

aprirsi sull’asse prospettico di San Pietro.

Le diverse visioni di un’architettura fascista sembrano trovare un punto d’incontro nell’Esposizione universale di Roma del 1942

coordinata da Piacentini, voluta da Mussolini anche per festeggiare 20 anni di Regime. Il progetto, che assume il titolo di Olimpiade

della civiltà, si sviluppa nell’area detta “tre fontane”(attuale EUR=Esposizione Universale Roma) e

impone un piano classicista e fortemente retorico che si imposta su due assi perpendicolari lungo i

quali sorgono piazze ed edifici monumentali realizzati da progettisti scelti dopo dei concorsi, durante

i quali vengono esclusi Terragno, Gardella e anche BBPR (Belgiojoso, Banfi, Peressuti, Rogers). Il

progetto però viene interrotto nel 1943 con il volgersi negativo per l’Italia della guerra. Il Palazzo

della civiltà italiana, detto Colosseo quadrato, (Giovanni Guerrini, Mario Romano e Ernesto Bruno La

Padula; 1938-43 e ultimato dopo la II guerra mondiale), intende celebrare la grandezza dell’antica

Roma e del duce attraverso un uso simbolico del numero dei piani e degli archi in facciata, che

richiamano il Colosseo. Così l’edificio diventa la testimonianza concreta del fallimento di un intero

paese e dell’idea architettonica che lo celebrava.

G er m a n ia

In Germania, in confronto all’Italia, con la presa al potere di Hitler nel 1933 si verifica una vera e propria messa al bando delle idee

moderniste con una serie di restrizioni che coinvolgono le arti e l’architettura con l’intento di legarle alle componenti di carattere

nazionalista e razzista alla base dell’ideologia nazista. Hitler insiste sulla necessità di recuperare la tradizione nazional-popolare

della Germania contro ogni internazionalizzazione, che è vista solo come indebolimento della patria. L’attacco di Hitler è rivolto alla

modernità delle Avanguardie e del Movimento Moderno, che annovera in Germania molti protagonisti. Nel 1934 Joseph Goebbels,

ministro della propaganda, emana le direttive per la vera cultura

nazionalsocialista che mettono al bando le avanguardie e impongono

il totale controllo dei media. Monaco, città d’origine del movimento,

viene scelta come capitale dell’arte tedesca e Hitler incarica

l’architetto Paul Ludwig Troost (1878-1934) di costruire la Casa della

cultura tedesca (1933-37), progettata con un ampio uso di elementi

neobarocchi e neoclassici. Con la chiusura della Bauhaus nel 1933

iniziano numerose iniziative antimoderne, come l’inaugurazione a

Monaco nel 1937 della mostra itinerante Entartete Kunst (Arte

degenerata) in cui vengono prese in giro 600 opere da considerare

indegne di artisti come Van Gogh, Klee, Chagall, Kandinkij e Otto Dix.

Tutte le opere di artisti etichettati come degenerati vengono tolte dai

musei, vendute, bruciate o trafugate da alti funzionari che ne avevano

capito il valore come Hermann Göring, numero due del III Reich.

Per definire la tipica casa nazionale il regime si rifa alla tradizione

agricola dei villaggi tedeschi e propone case dalle coperture con falde

molto inclinate e murature molto legate alla terra, che esplicitano la

natura ariana dell’uomo tedesco non mescolabile con modelli

abitativi estranei. Il nazismo per questo stile trova un sostenitore in

Heinrich Tessenow (1872-1950), che dichiara nelle sue lezioni al

Politecnico di Berlino l’importanza dello stile del popolo che non deve

omologarsi agli stili di altre nazioni; soprattutto si concentra sulla

necessità di salvaguardare gli aspetti rurali delle abitazioni rispetto

alla confusione tra vecchio e nuovo delle città.

Allievo di Tessenow è Albert Speer, giovane architetto proveniente da una famiglia alto-borghese di Mannheim che aveva studiato

a Karlsruhe, Monaco e Berlino. Nel 1931 si iscrive al Partito Nazista e dopo un lavoro privato per Goebbels, il ministro gli dà

l’incarico di progettare l’allestimento della grande manifestazione per il primo Maggio 1933 a Berlino presso il Tempelhofer Feld:

una scenografia simmetrica con un notevole numero di bandiere su pennoni di oltre 30 m il cui fulcro centrale è dato dalla tribuna

di Hitler. Con morte improvvisa di Troost nel 1934, Speer diventa l’architetto ufficiale del nazismo anche per il suo stretto rapporto

con Hitler, appassionato di architettura. La stima del Führer si consolida quando Speer viene ingaggiato per la sistemazione

dell’area dello Zeppelinfeld (Norimberga, 1934-37), che era il luogo scelto per ospitare ogni anno i raduni nazionali nazisti. Il

progetto di Speer presenta la sostituzione della tribuna in legno con una in pietra dalle dimensioni eccezionali e l’aspetto ispirato

all’altare di Pergamo. Speer riesce a conquistare Hitler anche con la sua teoria delle rovine, secondo cui un edificio costruito in

pietra o materiali tradizionali e di dimensioni monumentali sarebbe rimasto a testimoniare la grandezza dell’impero tedesco, anche

dopo un’ipotetica fine. Hitler, nonostante l’ipotesi di una fine del regime, ordina la costruzione di tutti gli edifici importanti

seguendo questa teoria.

Speer organizza anche la I adunata nazista nella nuova area della tribuna monumentale e orchestra tramite più di 130 proiettori

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Dettagli
A.A. 2015-2016
5 pagine
SSD Ingegneria civile e Architettura ICAR/18 Storia dell'architettura

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher gian.luca.mazza di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'architettura contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Politecnico di Torino o del prof Montanari Guido.