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TESSUTI

Produzione delle fibre tessili

Le fibre tessili più usate in europa sono la lana ovina e il lino, mentre più rari la fibra d’ortica e di

canapa, quella caprina e il pelo di castoro.

Le fibre vegetali venivano coltivate presso piccoli appezzamenti vicino alle abitazioni o nelle zone

degli orti, in quanto la produzione tessile era generalmente a unico uso domestico. La lana sembra

avere, invece, una produzione non solo domestica già nel medioevo e possiamo dedurre

l’esistenza di una produzione destinata al commercio dalla presenza di corti signorili specializzate

nell’allevamento degli ovini, le cui rendite erano riscosse a peso. Si trattava però probabilmente di

un semilavorato in lana ancora da tessere.

La lana era un materiale presente in tutta europa, le pecore erano allevate ovunque ed erano

multifunzionali: fornivano carne, lana, latte e pelle. Non esistevano però ancora razze destinate ad

una sola produzione.

La canapa è usata più raramente e mai viene citata sotto forma di tessuto, ma più per produrre

cordame. Da essa si ottenevano anche un’olio o un farmaco stupefacente.

La coltivazione di lino avveniva nel periodo romano in Egitto e in Gallia in coltivazioni estese, in

epoca medievale invece doveva essere prevalentemente di coltivazione orticola e non vi erano

canoni o imposte sui prodotti coltivati intorno alla casa. E’ un vegetale che richiede una terra

soffice, ben arata, grassa e ben irrigata, oltre che una concimazione azotata. Non sopporta il

freddo e può essere seminata una sola volta l’anno, in primavera e raccolta in estate. La crescita

del lino comporta inoltre un progressivo irrigidimento della fibra, per questo bisognava tare attenti

al momento della raccolta, per non renderla troppo legnosa o acerba. Con il lino veniva poi

ottenuto l’olio dai suoi semi.

L’ortica veniva spesso utilizzata, sin dall’età del bronzo, poichè a seconda della sua lavorazione

poteva somigliare sia al lino che alla lana.

Più raramente si trovano altre fibre come il tessuto di ginestra, di bisso (ottenuto da una

conchiglia), di cotone e seta, come merci di importazione, o animali come il mohair, il cashmere, il

cammello e l’agora.

Preparazione della fibra

Vi sono alcuni accorgimenti che permettono di ottenere fibre diverse dalla stessa pianta vegetale:

più la terra è concimata più la fibra è robusta, più la semina è stretta più le piante cresceranno in

altezza, creando una fibra lunga (non si tagliano, ma strappano con la radice per non spezzare la

fibra e sfruttarla interamente).

Una volta raccolte le piante esse devono subire una serie di operazioni per trasformarle in tessuto:

Macerazione —> la fibra viene fatta seccare e poi battuta o sgranata a mano per eliminare i

1. semi. Quindi gli steli vengono raccolti in mannelli o fasci. A questo punto vi sono tre metodi di

macerazione, con i quali avviene una fermentazione batterica che prepara lo stelo per

separare la parte legnosa da quella della fibra, o tiglio:

- ALLA RUGIADA. I mannelli venivano posti in una grossa fossa, riempita di strati di essi

e paglia, per ottenere una temperatura favorevole alla fermentazione batterica. Il tempo

di durata di tale macerazione dipendeva dalle condizioni climatiche e durava dalle 3 alle

6 settimane. Questa operazione non era inquinante, ma fortemente maleodorante.

- IN ACQUA STAGNANTE. I mannelli venivano posti, appesantiti da grosse pietre, in

stagni naturali o apposite vasche artificiali piene di acqua arricchita con scarti dell’orto

durante tutto l’anno per mantenere vivo il brodo di batteri. La macerazione durava circa

una settimana e bisognava non durasse troppo o avrebbe portato al distaccamento del

tiglio dalla fibra.

- IN ACQUA CORRENTE. I mannelli erano mesi in corsi d’acqua poveri di vegetazione

circostante. Durava circa quattro settimane, era molto inquinante e poco utilizzata. 39

Gramolatura —> le fibre raccolte venivano fatte successivamente seccare per poi essere

2. sottoposte alla gramolatura per separare la parte lignea dalla fibra.

Si poteva o battere gli steli con un bastone o con una apposito attrezzo in legno a forma di

spatola, detto scotola, in modo da spezzare la parte legnosa e poi sfilacciarla via con le dita o

raschiandola con un coltello.

Altrimenti si poteva usare la maciulla, cioè uno strumento formato da tre assi disposte di

taglio, una vicina all’altra, le due esterne fisse e quelle interne imperniate ad una estremità, in

modo da agire come un movimento a cesoia sui fasci tenuti di traverso sulle assi. Poi con lo

scardasso, una sorta di spazzola formata da una striscia di cuoio chiodata fissata ad una

tavola di legno, si poteva staccare la parte di legno spezzata dalla fibra.

Infine la fibra viene lavorata con dei pettini in legno a denti fitti, in modo da allineare le fibre ed

eliminare quelle troppo corte o spezzate. Lo scarto viene poi arrotolato grossolanamente per

ottenere lucignoli che, unti di grasso, venivano trasformati in stoppini.

La fibra animale veniva lavorata con una lavorazione differente a seconda si volesse ottenere del

filato o del feltro.

L’animale veniva tosato con delle cesoie a molla, oppure si raccoglieva il vello che man mano

cadeva a terra, o ancora bastava pettinare il manto con le dita. Si toglievano poi, a mano o

battendo con un bastone, le particelle di terra, sterco e paglia. La lana veniva lavata in una

soluzione sgrassante, come l’orina animale, per togliere il grasso naturale del pelo, e poi lavata in

acqua corrente.

Il vello lavato e asciugato poteva subire le operazioni successive, comuni con la fibra animale

Cardatura —> veniva utilizzata una coppia di cardi in ferro, che tramite i loro denti, che

3. venivano scaldati, separavano le fibre sfregando l’uno contro l’altro, ottenendo un batuffolo,

le cui fibre erano intrecciate in varie direzioni.

Pettinatura —> alternativa alla cardatura, usata per le fibre più lunghe, che avrebbero

costituito tessuti di maggiore qualità. Anche questi pettini avevano denti in metallo, riscaldati

su braci con supporti lignei, ma più distanti delle spazzole. Si otteneva un batuffolo con fibre

disposte tutte nella stessa direzione.

Filatura

Il batuffolo di fibra veniva ora posto su una rocca, costituita da un bastone in legno alla cui

estremità superiore veniva posto il batuffolo, poi tenuto da delle sporgenze aperte oppure da un

laccetto di cuoio. La rocca veniva tenuta in mano o attaccata alla cintura, in modo da lasciare

libera la mano del tessitore. La fibra tenuta dalla rocca veniva poi arrotolata sul fuso, che veniva

fatto girare su se stesso per formare il filato. Spesso si umidificava il filo, se vegetale, in modo da

far si che si torcesse meglio.

La filatura era l’operazione che occupava più tempo, il 75% del lavoro totale.

Le seguiva il passaggio della fibra filata su un aspo, o bobina, allo scopo di preparare l’ordito.

L’aspo era formato da dei bastoni di legno disposti a croce, o T, intorno a cui veniva avvolto il filo,

mentre la bobina era un pezzo di legno con le estremità allargate per trattenere il filo, più spesso

però erano usate per conservare il filo.

Le fibre venivano poi bagnate con una soluzione inamidante di colla animale diluita in acqua

tiepida. 40

Tessitura

Esistevano due tipi di telai, verticali e orizzontali. Il telaio verticale poteva essere di tre modelli:

Telaio a pesi —> costituito da due assi verticali piantate a terra, e una orizzontale sulla quale

• era posto l’ordito, tenuto teso da dei pesi di pietra, nella estremità inferiore. La trama viene

compattata verso l’alo con strumenti in osso o spade, non taglienti. Spesso si preferiva partire

da una striscia di tessuto già impostato, creata con un telaio a tavolette.

Telaio a tavolette —> ha la stessa struttura del telaio precedente, ma possiede un insieme di

• tavolette in legno forate, di forma quadrata o esagonale, in cui passano i fili di ordito. Al posto

delle tavolette poteva anche essere usato un pettine fisso. Queste tavolette intrecciavano il

filo di trama con l’ordito venendo voltate su loro stesse. Si otteneva così una striscia di tessuto

larga quanto il numero di tavolette e lunga quanto l’ordito.

Telaio a due subbi —> appare in Egitto già dal V secolo a.C., ma viene diffuso in Europa

• solo in epoca tardoantica. La differenze dal telaio a pesi consiste nel fatto che l’ordito è tenuto

teso dal subbio, permettendo di lavorare dall’alto verso il basso e di usare un pettine per

battere la trama, ottenendo un tessuto meno irregolare.

Caratteristica comune dei telai verticali sono le bacchette dei licci, cioè dei bastoni mobili a cui

sono collegati tramite dei cordini, detti licci, i fili dell’ordito. Questi bastoni permettevano di

sollevare alcuni dei fili sotto cui deve passare la navetta con il filo di trama.

Finitura

Il tessuto era controllato in modo da individuare possibili falle o strappi, e poi sottoposto alla

follatura, cioè immerso all’interno di sostanze sgrassanti, come saponi di soda o orina fermentata,

che tendevano però ad infeltrire, e poi sciacquati e posti ad asciugare.

Nel caso della lana il tessuto veniva pettinato, in modo da alzare il pelo e poi, tramite cesoie a

molla, veniva tagliato, rasato, quello troppo lungo.

Nel caso dei tessuti in fibra vegetale invece, essi venivano lisciati tramite grosse pietre o lisciatoi in

pasta vitrea.

Tintura

Si tratta di una operazione che veniva certamente svolta all’aperto, a causa del forte odore.

Probabilmente vi erano grandi stabilimenti tintorii (presenti tutt’ora in nord Africa).

Il processo era diviso in due momenti: prima si estraeva il colorante da piante o altre fonti, poi si

procedeva alla colorazione.

Per estrarre il colore dalla piante queste venivano fatte bollire, ma altrettanto frequente era la

macerazione in urina fermentata o latte di calce. Ottenuto l’estratto, lo si faceva bollire con la

matassa o con tessuto da tingere. Se si trattava di un colore non ottenibile con un solo passaggio,

si procedeva con l’impiumo, cioè la tintura in successione dello stesso tessuto, con coloranti che si

potevano combinare creando il colore richiesto.

Le materie prime dalle quali si ottenevano i colori più comuni sono soprattutto di origine vegetale e

animale, mentre i coloranti minerali sono poco utilizzati per i tessuti.

Tra quelli di origine animale , che venivano essiccati, ricordiamo il porpora del murice, un mollusco

del Vicino Oriente, il kermes, deriva dalla cocciniglia (insetto parassita delle querce) ottenendo un

rosso cremisi, e il vermiculus, un rosso vermiglio.

Tra i colori vegetali vi è l’indaco, dall’omonima pianta, la reseda, una pianta spontanea di colore

giallo, il guado, per un

Dettagli
A.A. 2017-2018
42 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ANT/08 Archeologia cristiana e medievale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher nontiscordardimepm2096 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Archeologia medievale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Lebole Chiara Maria.