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Si parla sempre di regioni, ma ciascun paradigma offre un modo diverso di concepire lo spazio.
Questo è il paesaggio, quarantotto definizioni: opera che raccoglie l’idea di paesaggio di quarantotto professionisti diversi. Con Petrarca
si dice sia nato il paesaggio moderno con l’ascensione al monte Ventoso, in quanto la sua descrizione si basa su una contemplazione
del tutto esente da obbligo (definizione di paesaggio moderno: non utile ma piacevole; motivo per cui il termine paesaggio non esiste
nella lingua sarda, profondamente pastorale e legata all’uso pratico del territorio). Il concetto di paesaggio è in realtà polisemico:
questo perché il termine ha un significante che evoca tanti significati. Nello specifico, il grado zero dell’esperienza paesaggistica è la
semplice veduta (serie di oggetti materiali che fanno capo alla percezione visiva, che è possibile indicare) esercitata a una giusta
distanza; all’opposto, il grado massimo indica qualcosa di smaterializzato, quindi un senso metaforico. In Vi piace la geografia? vengono
esposti e contrapposti i paesaggi della banalità e del dramma: l’autore identifica il paesaggio banale come quello visibile tutti i giorni,
in opposizione a quello sublime che chiunque immagina nel sentire il termine stesso “paesaggio”, mentre definisce drammatici quelli
periferici, caricati di significati aggiuntivi (edilizia popolare sgradevole, emarginazione sociale). Si è giunti ad individuare, nel corso dei
decenni, un processo di paesaggizzazione progressiva, che interessa una serie di argomenti prima del tutto estranei al concetto: da qui
si può parlare di foodscapes o etnoscapes, per indicare differenti fattori convergenti e sintetizzanti una specifica situazione. Questi
termini, apparentemente ossimorici, sono invece più pertinenti dell’abusata definizione di “paesaggio urbano”, giacché il termine
stesso paesaggio è nato per indicare una realtà extra-urbana. Roberto Gandino evidenzia quali sono tutte le discipline che si occupano
di paesaggio: geografia, ecologia, scienze naturali, turismo, psicologia e tante altre; in definitiva, quindi, non esiste “paesaggio” univoco.
La diffusione paesaggistica è un fenomeno recente, dato dalla dilatazione di senso del termine stesso. Più si parla di paesaggio, più c’è
altro da dire, ed è importante ricordare che esso non è una percezione solamente visiva: può essere olfattiva, per esempio, o sonora,
e questo – per uno stesso luogo – può cambiare nel tempo a secondo delle trasformazioni sociali ed eventuali riqualificazioni. Berque
afferma che esistono culture paesaggistiche e altre che non lo sono, che quindi non hanno concetti in merito né dizionario. Farinelli,
principale geografo italiano, parla di arguzia del paesaggio, affermando che esso indica la cosa (ciò che vedo) e l’immagine della cosa
(interpretazione della cosa: quando guardo la foto del paesaggio, guardo la foto in quanto tale e il paesaggio che essa appunto
rappresenta). In tal senso subentra anche il discorso della globalizzazione, che implica un’omogeneizzazione ma evidenzia la necessità
di differenze, e quello dell’ironia: si pensi, in questo caso, all’uso di dire il contrario della realtà con un tono di voce che sottolinei la
doppiezza di quanto detto. Va detto in ultimo che senza uomo non esisterebbe il paesaggio. Biasutti distingue in paesaggio sensibile e
paesaggio geografico: il primo è quello che l’occhio può abbracciare, il secondo definisce una categoria astratta (per esempio:
Medioevo non è un oggetto, ma va a comprendere un insieme di caratteristiche). Un limite di Biasutti è l’identificazione di paesaggio
e visibilità; Lucio Gambi ha criticato questa posizione, secondo cui i geografi giungevano a una disciplina poco stimolante e puramente
enumerativa di descrizioni d’oggetti. La geografia, invece, dovrebbe diventare una guida per interpretare il mondo e gestire le risorse
e il territorio, in contrapposizione all’impostazione che la materia ha nella scolastica. Gambi critica quindi i geografi, che descrivevano
la realtà in termini paesaggistici, indicando solamente il tangibile; questo, però, non è sufficiente: si pensi ad esempio alla Mafia, che
certamente non è un oggetto visibile ma influisce sulla costruzione del territorio. Il geografo italiano ritiene quindi che questo fattore
determini una parzialità inaccettabile, e afferma che la materia rimanga così esterna alla realtà. Limitarsi, per esempio, a descrivere
paesaggi o elencare dati, fa sì che la materia stessa abbia poco credito; Gambi, quindi, afferma che se il paesaggio è la categoria deve
essere il parametro d’indagine della realtà, questo approccio deve necessariamente essere abbandonato (esempio dello skyline di
Hong Kong, dove la cosa e l’immagine della cosa si sovrappongono in maniera emblematica e descrivono perfettamente i vari piani in
cui il paesaggio può essere inteso).