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ROTTURA DUTTILE
Per quanto riguarda la rottura duttile di un monocristallo essa avverrà a 45° se si attiva un solo
piano di scorrimento, altrimenti si ha il fenomeno della strizione.
Nei materiali policristallini si ha la frattura a coppa e cono: si ha strizione e la frattura è
perpendicolare alla direzione di applicazione del carico. Quando si applica il carico si verifica la
separazione di particelle dalla matrice con formazione di cavità che, crescendo, si uniscono tra loro
formando una fessura. All’estremità della fessura si ha concentrazione del carico perché in
presenza di intaglio. Si originano allora bande di scorrimento di taglio a 45° dagli estremi della
fessura. Ha origine in questo modo una fessura totale a zig-zag che porta alla rottura. La tensione
critica per la nucleazione di una cavità dipende dal numero delle particelle e dalle loro dimensioni.
Più è piccola la particela maggiore è l’energia e quindi la tensione necessaria a formare la cavità.
L’inclusione di calcio e terre rare rende le inclusioni tondeggianti e quindi più resistenti all’innesco
della rottura.
Se il materiale ha un elevato coefficiente di incrudimento le tensioni vengono distribuite e si evita la
localizzazione delle tensioni e quindi il fenomeno della strizione.
ROTTURA FRAGILE
A basse temperature i sistemi di scorrimento non si attivano e l’energia viene usata non per
deformare ma per creare nuove superfici, ovvero causa la rottura. La rottura fragile non si verifica
mai nei materiali CFC che hanno così tanti sistemi di scorrimento che qualcuno si attiva sempre a
qualsiasi temperatura. Ne consegue per l’utilizzo a basse temperature vengono scelti materiali
CFC per evitare la frattura fragile. Tutti i metalli hanno un temperatura di transizione al di sotto
della quale sono fragili; l’obiettivo è dunque quello di abbassare il più possibile tale temperatura di
transizione.
Rottura di clivaggio: avviene nei materiali CFC soprattutto a bassa temperatura e richiede poca
energia. La frattura in questo caso avviene lungo i piani dove le dislocazioni non possono muoversi
(ad esempio {1,0,0}).
Le dislocazioni che non possono muoversi trasferiscono la loro energia per rompere i legami e
√
σ = (γE/a) γ
creare nuove superfici. Si dimostra che dove = energia superficiale, a = distanza
R
interatomica.
In questo modo vengono però fuori valori elevatissimi del carico di rottura non corrispondenti ai
valori sperimentali.
Teoria di Griffith (o delle fessure): all’interno dei materiali sono presenti delle fessure. Tali fessure
hanno forma ellittica con una concentrazione di carico alle estremità. Si ha quindi
√ =
σ (c/ρ)
un’intensificazione della tensione dovuta all’intaglio e si arriva a rottura quando: 2 R
√ √
(γE/a) σ = (γEρ/4ca)
R
c = semiasse maggiore dell’ellisse, ρ = raggio di fondo intaglio.
Tanto più la fessura è acuta (raggio di fondo intaglio piccolo) tanto minore è il carico di rottura.
All’aumentare delle dimensioni della fessure diminuisce la tensione necessaria a proseguire la
rottura, al contrario di quanto avviene nel caso della deformazione plastica dove, a causa
dell’incrudimento, la tensione necessaria a proseguire la deformazione aumenta.
La frattura fragile può essere innescata anche dalla formazione di microcricche dovute al
passaggio stesso delle dislocazioni.
L’affinamento del grano aumenta la resistenza alla frattura perché la propagazione delle cricche è
ostacolata dai bordi di grano. La resistenza a frattura è inversamente proporzionale alla radice
delle dimensioni del grano: se il grano è grosso basta una fessura che si propaga velocemente per
causare la rottura (frattura a nucleazione limitata: σ ≈ σ ≈ R ); se il grano è fine si ha
R nucleazione p02
invece frattura a propagazione limitata perché ogni volta che la cricca attraversa un bordo di grano
deve nucleare una nuova fessura.
Se due carichi a trazione sono applicati perpendicolarmente uno rispetto all’altro si annullano le
componenti di taglio sui piani a 45°. Di conseguenza in presenza di carichi triassiali (se i carichi
sono anche equivalenti si parla di tensione idrostatica) il materiale si comporta in modo fragile
perché non ci sono sforzi di taglio che fanno muovere le dislocazione.
La frattura fragile è quindi influenzata dal tipo di materiale, dalle basse temperature, da un’elevata
velocità di applicazione del carico, dalla presenza di un carico triassiale e dalla presenza di intagli
(la presenza di un intaglio causa la triassialità del carico perché viene richiamato del materiale
dalle altre direzioni).
K – MECCANICA DELLA FRATTURA IN CAMPO ELASTICO
1C
Si parla di K quando si è in condizioni di fragilità. La zona plastica all’apice della cricca deve
1C
essere trascurabile. Il campo di sforzi è descritto dal parametro K che dipende dal carico e dalla
geometria del sistema. Si crea un provino con un intaglio facendo innescare a fatica una cricca.
Quando il provino si spacca (la cricca si propaga in modo instabile) si ottiene il valore del
parametro K , che dipende dallo spessore. All’aumentare dello spesso aumenta K . Si ripetono le
1 1
prove continuando ad aumentare lo spessore finché si arriva ad un punto in cui pur aumentando lo
spessore non aumenta più K . Tale valore è detto K ed individua il comportamento del materiale
1 1C
nelle condizioni più critiche possibili. Se si supera K il materiale si rompe inevitabilmente.
1C
L’acciaio ha K molto elevati rispetto agli altri metalli.
1C
J – MECCANICA DELLA FRATTURA IN CAMPO ELASTO-PLASTICO
1C
Se invece il materiale è duttile non si può parlare di K . Il parametro J non è un parametro
1C
tensionale come K, ma energetico. Se si supera J la cricca inizia a propagarsi in modo stabile,
1C
ovvero rappresenta il valore energetico oltre il quale la cricca inizia a muoversi.
FATICA
La fatica si origina dai difetti, inizialmente superficiali, e poi si propaga all’interno del materiale. La
superficie di rottura a fatica risulta divisa in due aree di cui una parte liscia che è l’area
propriamente sottoposta a fatica. La rottura a fatica è una rottura fragile perché non si ha
deformazione plastica. Già quando si è compiuto un centesimo dei cicli di funzionamento previsti
prima della rottura iniziano a formarsi delle bande di scorrimento che aumentano all’aumentare del
carico. Queste bande di scorrimento generano cavità che sono connesse con la formazione di
fratture superficiali. Queste cavità quindi generano fessure che iniziano a crescere a una velocità
dipendente in modo proporzionale dal carico e dalla dimensione della fessura. Fattori che
influenzano la rottura a fatica sono le inclusioni (vicino alle particelle di inclusioni si formano
facilmente piccole fessure), la loro direzione e la loro forma.
Nelle strutture austenitiche (CFC) la resistenza a fatica è minore perché ci sono più sistemi di
scorrimento che causano la formazione di fessure. Infatti gli acciai austenitici non resistono alla
stress corrosion.
Dal momento che le fessure che causano la rottura a fatica si formano inizialmente in superficie, si
può rafforzare la superficie mandandolo in compressione (ad esempio attraverso pallinatura)
aumentando così il limite di fatica.
PERLITE
Le dimensioni delle lamelle di ferrite e cementite che formano la perlite sono un compromesso tra il
minimo spessore possibile, che accorcia lo spazio tra le lamelle e favorisce la diffusione del
carbonio, e l’incremento di area dell’interfaccia Feα-Fe C, che aumenta l’energia della miscela. Si
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trova che la spaziatura tra le lamelle è inversamente proporzionale alla differenza tra la
temperatura di equilibrio della trasformazione eutettoidica (723 °C) e la temperatura alla quale
effettivamente avviene la trasformazione e quindi la crescita delle lamelle. Tanto più è bassa la
temperatura di trasformazione, tanto più piccola sarà la spaziatura tra le lamelle di ferrite e
cementite.
A differenza di tutti gli altri eventuali elementi di legame che fanno diminuire la spaziatura tra le
lamelle, il cobalto ha un effetto anomalo in quanto fa aumentare la spaziatura diminuendo l’entalpia
di reazione (la spaziatura è anche inversamente proporzionale all’entalpia di trasformazione).
Per un acciaio di composizione ipoeutettoidica, in condizioni di equilibrio, si avrebbe al
raffreddamento la formazione di nuclei di ferrite primaria e successivamente la trasformazione
eutettoidica con formazione di perlite. L’acciaio sarebbe ferritico-perlitico. Se il raffreddamento
invece venisse effettuato molto velocemente al di sotto della temperatura eutettoidica, non si
formerebbe la ferrite primaria e sia avrebbe un acciaio esclusivamente perlitico anche se la
composizione non è quella eutettoidica (0,8% di carbonio). Si parla in questo caso di perlite diluita.
MARTENSITE
Quando il raffreddamento è così veloce da bloccare la diffusione (fenomeno attivato termicamente)
non si ha la formazione della perlite. Si forma allora una fase metastabile detta martensite, molto
dura ma molto fragile. La formazione di martensite avviene quindi inibendo la trasformazione
eutettoidica e avviene attraverso nucleazione e crescita non regolate però dalla diffusione. I nuclei
di martensite sono coerenti, hanno già un’interfaccia comune con la matrice, ma la crescita di una
fase tensiona l’altra; di conseguenza l’energia di trasformazione non è utilizzata per creare nuove
superfici come avviene nel caso della formazione della perlite, ma per creare tensioni. La crescita
dei nuclei di martensite è istantanea, non avviene per diffusione ma per spostamento meccanico,
quindi non dipende dalla temperatura. Dipende però dalla temperatura il numero di nuclei che si
formano. Per iniziare a formarsi la martensite bisogna scendere al di sotto della temperatura M s
(martensite start). Per proseguire la trasformazione dopo la formazione e la crescita dei primi
nuclei bisogna abbassare ulteriormente la temperatura. Alla temperatura M (martensite finish) tutta
f
l’austenite metastabile si è trasformata in martensite. Durante la trasformazione aumenta il volume:
la struttura CFC dell’austenite si trasforma nella struttura tetragonale della martensite.
E’ molto pericolosa in un acciaio la presenza di austenite residua perché questa si può trasformare
in martensite in seguito a tensionamenti dovuti ad azioni meccaniche.<