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La moda nasce in Europa tra il XIV e il XV secolo, quando gli abiti maschili e femminili cominciano a
differenziarsi. Le tuniche indossate dagli uomini delle classi elevate diventavano più corte e aderenti al
corpo, mentre gli abiti femminili diventavano più elaborati, attillati e scollati (Reinach, 2005, 8). Definire la
moda può apparire scontato, ma provando a cercare una definizione ben precisa, il tutto diventa
complicato. Per Lang: “La moda sfugge alla definizione per la sua varietà, la sua incostanza, la sua costante
incostanza”(Lang, 2001, 17); Per Mercier, la moda sarebbe proprio ciò che sfugge alla descrizione, l’arte più
vasta, più inesauribile, più indipendente dalle regole comuni (Lang, 2001, 23). Nell’epoca in cui viviamo la
moda, coinvolge quasi tutti gli ambiti sociali ma si è espressa maggiormente nella sfera del vestire,
manifestandosi soprattutto tra i giovani. Ognuno oggi si veste come vuole traendo ispirazione dalla realtà
urbana. Eppure non è sempre stato così. Per arrivare a questo si sono susseguite diverse subculture
giovanili a partire dagli anni 40. La parola “subcultura” viene utilizzata nel campo sociologico per indicare
un gruppo sociale che accomuna una serie di persone con caratteristiche simili e che si differenzia dalla
cultura dominante per stili di vita, visione del mondo e credenze (1). La moda può essere, infatti,
considerata il processo sociale per cui vengono creati nuovi stili accettati dal pubblico (Sproles, 1979). Gli
elementi che caratterizzano la moda sono la propensione al cambiamento, il gusto per il nuovo e
l’abbandono delle tradizioni. Secondo Wilson, la moda è l’abito la cui caratteristica principale è il
cambiamento continuo di stile (Wilson, 2003, 3). Un altro elemento che caratterizza la moda è di certo il
legame che essa instaura con la società di massa, in quanto è divenuta essa stessa un mezzo di
comunicazione di massa che si riproduce e si diffonde secondo le sue proprie modalità e che, al tempo
stesso, entra in relazione con altri sistemi massmediatici (Calefato, 1996, 6-7). La moda oggi può essere
considerata un punto di interesse tra abito, corpo e cultura ma occorre ricordare che, qualunque sia il
significato attribuito alla moda, lo è sempre in modo allusivo, ed è forse, proprio la sua ambiguità a rendere
la moda una metafora della contemporaneità (Reinach, 2005, 7).Gli uomini e le donne hanno sempre
indossato abiti, ma mai come nelle società attuali la varietà e l’espressività del vestire hanno coinciso con la
necessità degli individui di comunicare, tanto da poter considerare la moda espressione e comunicazione
(Reinach, 2005, 12-13).Viene considerata un mezzo imperfetto di comunicazione in quanto moda e
abbigliamento veicolano significati culturali sottili e obliqui che il linguaggio con la sua natura esplicita non
potrebbe veicolare, ma con un potere pragmatico notevole che la rende indispensabile per la trasmissione
di culture e subculture. La maggior parte delle considerazioni sulla moda sono fatte dalla sociologia, che la
interpreta come espressione e fenomeno caratteristico della società occidentale e della cultura capitalista.
Questa disciplina ha analizzato la moda distinguendola dal costume, quest’ultimo è caratteristico delle
società premoderne ed è il modo di vestire che si rifà alla tradizione, con pochi cambiamenti; mentre la
moda si sviluppa nelle società più orientate alla conquista delle libertà individuali e meno normative e si
riferisce a un modo di vestire in continuo cambiamento (Reinach, 2005, 34). La sociologia di fine Ottocento
e dei primi del Novecento individua soprattutto l’aspetto distintivo e classificatorio della moda, la cui
funzione sarebbe quella di rendere visibile l’appartenenza di classe. Uno dei primi argomenti su cui si
sofferma la riflessione sociologica è la teoria del trickle down, un modello di diffusione della moda, definito
negli anni Trenta del Novecento da Lloyd Fallers. Secondo questa teoria i ceti elevati inventano le mode che
poi si diffondono per imitazione presso gli strati al di sotto della scala sociale finchè, per continuare a
differenziarsi, i ceti elevati abbandonano la moda ormai diffusa e ne adottano un’altra (Ragone, 1992).
Questo modello è destinato a scomparire nel momento in cui la società divisa in classi lascia il posto a
segmentazioni più fluide, fino al rilancio di McCracken che ne propone un modello simile, in cui gli uomini,
in quanto categoria superiore rispetto alle donne nell’ambito del mondo del lavoro, sono gli imitati, e le
donne le imitatrici. Mentre fino agli anni Sessanta del Novecento il pensiero sulla moda, influenzato dalla
visione che la scuola di Francoforte aveva nei confronti della società capitalista, era negativo, infatti, la
moda era considerata una forma di consumo di differenze simboliche all’interno di una società solo
apparentemente egualitaria; a partire dagli anni Ottanta del Novecento si manifesta una sorta di
riabilitazione della moda, in cui viene sottolineata la valenza comunicativa degli abiti, la qualità di
linguaggio specifico del sistema vestimentario, di codice con cui gli individui esprimono la propria identità e
le identificazioni desiderate (Reinach, 2005, 35-36). Uno dei principali esponenti della sociologia classica è
George Simmel. Secondo lui, la moda è capace di fare società: i vestiti segnano l’andatura, il tempo e il
ritmo dei gesti, cioè disciplinano il movimento (Simmel, 1919). Tutta la storia della società, secondo il suo
punto di vista, può essere letta alla luce della lotta di due forze opposte: la prima è l’agente dell’universale,
dell’unità, dell’uguaglianza placata della forma e del contenuto della vita; la seconda genera mobilità,
molteplicità di elementi separati, l’inquieta evoluzione da un contenuto di vita individuale a un altro. Alla
base di questi contrasti c’è l’imitazione, il cui fascino sta nel rendere possibile un agire finalizzato e dotato
di senso senza che entri in scena nessun elemento personale e creativo (Simmel, 2011, 7-10). L'analisi di
Simmel poggia sulla comprensione dell'esistenza di due diversi tipi di società: le società primitive e le
società civilizzate. Nelle prime l'impulso a conformarsi è superiore a quello del differenziarsi, in quanto
l'individualità dell'uno viene assoggettata ai valori e alle tradizioni della più ampia collettività. Nelle società
"civilizzate", caratterizzate dalla presenza di più numerosi gruppi sociali e quindi da una struttura sociale più
complessa e articolata, il desiderio per esprimere la propria individualità viene incoraggiato dalla società
stessa (Simmel, 1986). La moda è l’imitazione di un modello capace soddisfare sia il bisogno sociale e
condure il singolo sulla via percorsa da tutti, e sia di soddisfare il bisogno di diversità, variazione e
distinzione. Se da un lato essa può raggiungere questo risultato con il cambiamento dei contenuti che
caratterizzano la moda di oggi rispetto a quella di ieri; dall’altro essa s’impone perché le mode sono sempre
mode di classe, e le mode della classe più elevata si distinguono da quelle della classe inferiore e vengono
abbandonate nel momento in cui quest’ultima comincia ad appropriarsene (Simmel, 2011, 11). Georg
Simmel afferma che due sono le condizioni essenziali per la nascita e lo sviluppo della moda, in assenza di
una delle quali, la moda non può esistere: il bisogno di conformità e il bisogno di distinguersi. Il primo è
quello di individuare la moda come il risultato di due opposte tendenze: da un lato l’aspirazione alla fusione
con il proprio gruppo, cioè vestirsi come gli altri per sentirsi parte del proprio gruppo sociale; e dall’altro la
distinzione individuale rispetto agli atri, cioè vestirsi in modo diverso da tutti per esprimere la propria
individualità. Il secondo meccanismo sociale che sta alla base della moda, per Simmel, è che il famoso
tricke-down non funziona più perché le classi basse e medie hanno smesso di riconoscere alle classi più alte
la capacità di costruire il gusto e lo stile per tutta la società e hanno cominciato a coltivare la propria
creatività, a esprimere un proprio stile fino a prendere in mano la produzione delle nuove idee di moda
(Fortunati, Danese, 2005). Nel momento in cui mancherà anche una sola delle due tendenze sociali che
devono convergere per creare la moda, quest’ultima cesserà di esistere (Simmel, 2011, 17). Quando una
moda comincia a essere imitata, la classe che l’ha adottata per prima la abbandona per differenziarsene e
ne adotta un’altra e cosi via. Questo risulta il modo più facile per raggiungere la parità con il ceto superiore,
dal momento che gli altri campi in cui viene richiesto un impiego di capacità individuali non sono sempre
acquisibili con il denaro. La moda è naturalmente, favorita quindi dall’economia monetaria; il consumo di
moda che rappresenta l’esteriorità della vita che diviene accessibile con il denaro. La moda, come il
matrimonio unisce e separa, ma può consentire anche la mobilità in quanto le classi sono definibili ma
permeabili. La moda non sorge quindi da finalità pratiche ma le sue decisioni sono determinate
dall’astrattezza, dalla casualità (Simmel, 1986). Non appena la moda si afferma completamente, ossia
quando tutti fanno quello che all’inizio facevano solo alcuni, come è successo con alcuni elementi
dell’abbigliamento e per alcune convenzioni sociali, allora non la si può più definire moda. Ogni crescita la
conduce alla morte proprio perché annulla la diversità. La moda appartiene a quel tipo di fenomeni che
tendono a un’estensione illimitata e a una realizzazione perfetta, ma che con il conseguimento di questa
mèta assoluta finisce col contraddirsi da sé, distruggendosi (Simmel, 2011, 21).Oltre a Simmel, uno degli
autori più citati nel campo degli studi sulla moda dal punto di vista sociologico è Roland Barthes,
considerato il precursore degli studi sulla moda in ambito semiotico. Alla base del suo pensiero, vi è l’idea
che la moda faccia parte dei fenomeni di neomania che caratterizzano il sistema capitalista, dove il nuovo è
istituzionalmente un valore che si compra. Barthes utilizza un metodo semiologico, effettuando un parallelo
tra il linguaggio e il vestito: così come il vestito, anche il linguaggio è nello stesso tempo sistema e storia,
atto individuale e istituzione collettiva. Entrambi rappresentano delle st