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PROPRIA CONFESSIONE RELIGIOSA QUANDO NON SI TRATTA DI RITI CONTRARI AL

BUON COSTUME. I limite dei riti contrari al buon costume è l’unico limite espressamente

previsto dalla nostra Costituzione per ciò che concerne l’esercizio del diritto di libertà religiosa.

Anche in questo caso i nostri padri costituenti hanno valuto sancire in modo esplicito il diritto di

ciascuno di esercitare il culto perché durante il regime fascista le confessioni religiose diverse dalla

cattolica incontravano enormi difficoltà per esercitare il culto.

Le difficoltà erano di 2 tipi:

La prima difficoltà riguardava gli edifici di culto → la possibilità di trovare un edificio in

• cui esercitare questo culto ( è una difficoltà che oggi incontrano le nuove confessioni

religiose )

La seconda difficoltà riguardava l’esercizio del diritto di riunione → le confessioni religiose

• non cattoliche non potevano riunirsi liberamente.

Se una confessione religiosa non cattolica sentiva l’esigenza di avere un proprio edificio di culto

dovevano affrontare un procedimento amministrativo difficilissimo previsto dal

Regio Decreto n. 289\1930 → La confessione religiosa di minoranza doveva chiedere il permesso

di destinare quell’edificio al culto. La richiesta di permesso doveva essere rivolta al Capo dello

Stato o al Capo del Governo. Quest’ultimo sceglieva liberamente se concedere o meno il permesso,

poiché non vi erano criteri. La richiesta non poteva essere avanzata da un semplice fedele bensì da

un ministro di culto, la cui nomina era già stata approvata dal Ministero dell’Interno ( quindi i

ministri di culto dovevano essere approvati dal Ministero dell’Interno ). Questo ministro di culto

poteva chiedere l’autorizzazione per l’edificio. Tale autorizzazione dipendeva esclusivamente dalla

volontà dell’organo a cui la richiesta era stata fatta. Nella richiesta si doveva dimostrare che:

l’edificio serviva per soddisfare le esigenze religiose di un gran numero di persone e di avere le

risorse economiche per poi gestire l’edificio stesso ( per mantenerlo in buone condizioni ). Anche

quando questa autorizzazione arrivava con decreto del Capo dello Stato le riunioni, ai fini di culto

in questo edificio, non erano libere. Cerano 2 possibilità: se la riunione dei fedeli era presieduta del

ministro di culto la cui nomina era stata approvata dal Ministero dell’Interno allora la riunione era

libera; se invece non c’era il ministro di culto i fedeli per riunirsi dovevano chiedere

l’autorizzazione al questore almeno 3 giorni prima della riunione e il questore poteva sempre

impedire questa riunione per ragioni di ordine pubblico o di moralità pubblica. Quindi in sostanza,

mentre i cattolici si riunivano liberamente, le altre confessioni religiose erano limitate fortemente.

Entra in vigore la Costituzione la quale all’articolo 17 attribuisce a tutti i cittadini il diritto di

riunirsi in modo pacifico e senza armi. L’articolo 17 prevede solo un limite: se la riunione avviene

in un luogo pubblico è necessaria l’autorizzazione dell’autorità competente.

Le confessioni religiose di minoranza tentarono di utilizzare questo articolo 17 per affermare il loro

diritto di riunirsi liberamente nelle chiese o templi senza il bisogno di avvisare il questore ( perché

come sappiamo le chiese e i templi non sono luoghi pubblici ma sono luoghi aperti al pubblico ).

Questo tentativo inizialmente fu vanificato dal Ministero dell’Interno, il quale sostenne che la

norma in questione non si applicava alle riunioni che avevano un contenuto religioso e sempre lo

stesso Ministero dell’Interno sostenne che l’articolo 19 non era una norma precettiva ( norma che

imponeva obblighi immediati ) ma una norma programmatica ( norma che dettava delle linee di

indirizzo al legislatore ordinario ).

Queste interpretazioni erano dettate da un residuo atteggiamento di favore per la Chiesa cattolica,

ma come poi ha avuto modo di affermare la Corte Costituzionale si trattava di interpretazioni prive

di fondamento giuridico. La Corte Costituzionale con 2 interventi: nel 1957 e nel 1958 → ha

stabilito che l’articolo 17 della Costituzione si applica anche alle riunioni determinate da ragioni

religiose. La Corte ha stabilito che tutte le confessioni religiose possono riunirsi in luoghi aperti al

pubblico senza bisogno di autorizzazione. Inoltre la Corte Costituzione ha dichiarato l’illegittimità

degli articoli 1-2-3 del Regio Decreto 289\1930, che obbligava le confessioni religiose non

cattoliche a richiedere l’autorizzazione per l’apertura di templi e chiese. Invece la Corte

Costituzione ha dichiarato conferme alla Costituzionale l’art. 3 della Legge n. 1159\1929, il quale

sancisce che la nomina del ministri di culto delle confessioni religiose non cattoliche deve essere

approvata dal ministro dell’Interno. Secondo la Corte infatti questa approvazione è necessaria se il

ministro di culto deve porre in essere atti che hanno efficacia civile. In questo caso, poiché il

ministro di culto esercita un potere i cui effetti ricadono nell’ordinamento giuridico italiano, la

nomina deve essere approvata. Attualmente il problema posto dal “diritto di esercitare il proprio

culto” riguarda quasi esclusivamente le confessioni religiose che non appartengono alla tradizione

italiana, perché mentre le antiche confessioni ( protestanti e ebrei ) essendo radicate da tempo nel

nostro territorio hanno propri edifici di culto ( hanno un patrimonio immobiliare loro ) a differenza

le nuove religioni ( induisti e buddisti ) non hanno proprie strutture. Questa mancanza di propri

edifici porta ad esercitare il proprio culto in luoghi non adibiti a questo, in tal mondo si compiono

delle irregolarità amministrative.

Questa esigenza, riconosciuta dalla nostra Costituzione, è entrata spesso in conflitto con gli interessi

degli autoctoni ( cittadini italiani ) che hanno ritenuto queste manifestazioni estemporanee del culto

come lesive dei propri spazi e quindi non gradite.

In modo particolare notiamo una SENTENZA del TAR LOMBARDIA DEL 2013

Il TAR afferma che le autorità locali non possono subordinare la scelta di destinare determinate aree

o determinati edifici all’esercizio del culto alla opinione della maggioranza della popolazione

residente, perché l’esercizio del culto è garantito dall’art. 19 e quindi la sua realizzazione deve

essere assicurata anche contro la volontà della maggioranza. Nel caso di specie si trattava della

destinazione di un’area pubblica alla costruzione di una moschea che però i residenti contestavano

perché ritenevano questa lesiva della loro sicurezza e tranquillità.

Per quanto riguarda il limite del buon costume ossia il fatto che un rito religioso può essere

realizzato solo se non è contrario al buon costume, questo limite è violato se l’esercizio del culto si

risolve in atti concreti che violano l’onore o il pudore sessuale delle persone. Quindi un culto non è

conforme al buon costume quando prevede atti – comportamenti – affermazioni che violano il

concetto di pudore sessuale. Questo concetto di buon costume però è estremamente elastico, perché

uno stesso atto o comportamento può essere considerato lesivo dell’onere sessuale o del pudore

sessuale in un determinato momento storico, mentre in un momento storico successivo questo stesso

comportamento non viene percepito come contrario al buon costume, perché il concetto di buon

costume cambia al cambiare della società.

La Corte Costituzionale ha sostenuto che il concetto di buon costume deve rispecchiare se possibile

tutta la pluralità delle concezioni etiche che sono oggi presenti nella società e il cui punto di

riferimento imprescindibile in questa valutazione del concetto del buon costume è dato dal rispetto

della persona umana. Quindi ogni atto che risolve in una mancanza di rispetto della persona umana

viola il buon costume. Attualmente la valutazione dei giudici sul concetto di buon costume è

complicata dalla struttura multiculturale e multireligiosa della nostra società.

In ogni caso il limite del buon costume non può essere mai fatto valere preventivamente ma solo

successivamente. Ciò significa che se una confessione religiosa afferma la necessità che i minori

possono avere rapporti sessuali con i maggiorenni, finché questa affermazione resta teorica

l’autorità giudiziaria italiano non può intervenire; se invece quanto affermato viene messo in

pratica, allora l’autorità giudiziaria può intervenire.

ART. 20 COSTITUZIONE

“Si tutela la libertà religiosa a livello collettivo perché l’art. 20 prende in considerazione gli enti

ecclesiastici o tutte le associazioni o istituzioni che hanno un fine di religione o di culto e stabilisce

che questi enti per ciò che riguarda la loro costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività

non possono essere soggetti a speciali limitazioni legislative o a speciali gravami fiscali “

Questa norma attribuisce a tutti coloro che vogliono costituire un’associazione con fine di religione

o di culto ( esempio: associazione che nasce per pregare Padre Pio ) il diritto di non essere

discriminati né sotto il profilo legislativo ( quindi con delle leggi che ostacolano l’attività di queste

associazioni ) né sotto il profilo fiscale ( non è possibile dare vita ad un regime fiscale che aggravi

l’operato di queste associazioni, perché in passato molti enti ecclesiastici soprattutto della Chiesa

cattolica hanno subìto da parte dello Stato italiano sia un’azione di confisca dei propri beni sia una

normativa finalizzata a controllare l’attività di queste associazioni a vantaggio dello Stato.

Pertanto l’articolo 20 assicura che il carattere religioso delle associazioni o degli enti ecclesiastici

non conduca ad atti discriminatori e quindi la disciplina di questi enti non può essere peggiore della

disciplina prevista per le associazioni che non hanno un fine di religione o di culto. Allo stesso

tempo non è possibile una discriminazione tra gli stessi enti o associazioni religiose, ossia non è

possibile una normativa che avvantaggia un ente legato ad una confessione religiosa rispetto ad enti

legati ad altre confessioni.

L’articolo 20 poi tutela sia gli enti ufficialmente riconosciuti come enti che appartengono alla

Chiesa cattolica o alle altre confessioni religiose sia le associazioni che non hanno una dimensione

istituzionale.

PROBLEMA: TUTELA DELLA LIBERTà RELIGIOSA ALL’INTERNO DELLE

CONFESSIONI RELIGIOSE

Le confessioni religiose hanno due elementi in comune con lo Stato:

Dettagli
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A.A. 2018-2019
22 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/11 Diritto canonico e diritto ecclesiastico

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher frarosci di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto ecclesiastico e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università telematica Unitelma Sapienza di Roma o del prof Serra Beatrice.