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PLURALISMO RELIGIOSO

CEDU→ contiene un decalogo di diritti. La Corte deve dare applicazione a tali diritti tra cui il diritto di libertà religiosa. È più difficile rinvenire uno spazio di libertà religiosa all'interno dell'UE. Si nota la fatica che i diritti fondamentali hanno avuto nell'affermarsi nell'UE. Art 6 TUE→ è il punto di arrivo del riconoscimento della democrazia e dei diritti fondamentali nello spazio dell'UE. L'unione si fonda sui principi di libertà, democrazia [...] che sono comuni a tutti gli Stati membri (primo comma). Manca nell'art 6 un decalogo dei diritti, che è invece presente nella CEDU. L'art 6 è stato formulato per la prima volta negli anni 90 e appunto questo decalogo non esisteva e bisognava individuare i diritti riconosciuti nello spazio dell'UE e bisognava individuarne anche il contenuto. Questo decalogo mancava completamente nello spazio

dell'UE. L'art. 6 trova due riferimenti esterni ad esso: il primo è la CEDU (esiste un decalogo sottoscritto da un ampio numero di Stati, anche coloro che facevano parte dell'UE. Si trattava di un decalogo di diritti già vigente per i paesi che occupavano lo spazio europeo); si aggiunge anche un altro riferimento: le tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. Il TUE recupera questo riferimento nella giurisprudenza della Corte di Giustizia. All'inizio il percorso dei diritti nello spazio europeo è un percorso giurisprudenziale (viene creato dalla giurisprudenza, tramite la Corte europea dei diritti dell'uomo ma soprattutto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia). Inizialmente i diritti tutelati erano soprattutto di natura economica; sembra strano che sia tutelato anche il diritto di libertà religiosa ma è proprio uno dei primi diritti tutelati dalla Corte di Giustizia, come uno dei primi principi costituzionali.

comuni degli Stati membri. I diritti fondamentali impattano sempre con la Corte di Giustizia e li troviamo sempre anche in tutte le materie apparentemente più lontane.

Sentenza Prais: necessità all'interno del Consiglio dell'UE di avere un traduttore. Viene istituito un bando e la data delle prove per sostenere il concorso in data 16 maggio 1975. Le comunità europee ignoravano che il 16 maggio 1975 ci fosse la festa di Pentecoste ebraica. Essi in alcune festività religiose non possono fare nulla. La signora Prais, che era ebrea, invia una lettera raccomandata alla commissione europea chiedendo di poter sostenere le prove un altro giorno perché il 16 non poteva muoversi. La commissione europea risponde che ciò non è possibile perché bisogna sostenere le prove tutte nello stesso giorno. La signora Prais ritiene di essere discriminata a causa della propria religione. La commissione invece sostiene che la signora viene trattata

Come tutti gli altri, disinteressandosi della sua appartenenza religiosa. La Corte di Giustizia raggiunge una soluzione. La signora Prais cita gli artt 9 e 14 della Cedu, poiché si sente discriminata. La Corte di Giustizia opera con una sentenza molto importante: dà ragione alla signora Prais perché la procedura viola il suo diritto di libertà religiosa perché per evitare discriminazioni religiose non è sufficiente trattare tutti nello stesso modo perché una norma neutra (che non prevede distinzioni in materia religiosa) se applicata in situazioni diverse, può risultare discriminatoria (discriminazione indiretta). La Corte però afferma che la signora Prais, quando aveva risposto al bando, non aveva detto di essere ebrea. La commissione non ha un onere di controllare quali sono i giorni festivi di tutte le confessioni religiose. Era la signora a doverlo fare. Il concorso si è tenuto in quel giorno e lei non vi ha potuto partecipare.

Per la prima volta la Corte di giustizia enuclea nello spazio europeo il diritto di libertà religiosa dei singoli, in maniera molto ampia, tanto da ricomprendere anche le discriminazioni indirette. Quindi deve rilevare l'appartenenza religiosa sennò vi è una discriminazione indiretta. Il diritto di libertà religiosa entra in maniera preponderante fin dagli anni 60 quando ha iniziato a operare la Corte di giustizia. Il problema era riconoscere questa ampiezza del diritto di libertà religiosa nello spazio europeo. Ciò creava qualche preoccupazione perché il rapporto con le confessioni religiose non è materia di competenza dell'UE ma è lasciata alla competenza degli stati membri, che devono decidere come rapportarsi al fenomeno religioso. Sono gli stati membri che decidono quali modelli di rapporti stato chiesa scegliere. Sono gli stati membri che devono decidere se essere laici, confessionisti, separatisti, concordatari.

È una scelta libera che risente della storia e della tradizione degli Stati. C’è la volontà di inserire nei trattati europei una esplicita dichiarazione di incompetenza dell’UE. Negli anni 90 è stata inserita una dichiarazione collegata al trattato di Amsterdam (dichiarazione11). Col trattato di Lisbona la situazione cambia perché questa dichiarazione entra a far parte del TFUE (art 17 del TFUE). Nell’art 17 non si parla di incompetenza. Nel comma 2 si parla di “status”. Quando parliamo di status parliamo di posizione giuridica (pacchetto di disposizioni in genere promozionali (sgravi fiscali, riconoscimento di matrimonio religioso e associazioni religiose)). L’UE non può intervenire pregiudicando questo pacchetto (status). L’art 17 è riservato anche alle organizzazioni filosofiche e non confessionali. Questo articolo è stato voluto dalle chiese nazionali forti (non solo quella cattolica).

Perché temevano di perdere la situazione di privilegio di cui godevano in quel momento. Carta dei diritti dell'UE è un decalogo di diritti: nel tempo, a forza di fare giurisprudenza, questo decalogo ha iniziato ad avere una certa fisionomia. Anche questa carta dei diritti non è stata ammessa subito nei trattati.

Ora anche la Carta europea ha un proprio decalogo e il diritto dell'UE deve rispettare tali diritti. Questa Carta si rivolge alle istituzioni europee.

PLURALISMO RELIGIOSO

Tema del velo: se ne è occupata in larga parte la giurisprudenza. Consideriamo il caso del velo per capire come si muove la Corte. La Corte, intorno al 2000, ha stabilito che il velo islamico poteva costituire una espressione di libertà religiosa (ricade sotto la tutela dell'art. 9). La Corte europea precisa che non tutti i comportamenti religiosamente orientati possono essere tutelati dall'art. 9. La Corte ricorre a dei criteri che possono a volte risultare

anche arbitrari. È il caso ad esempio dell'obiezione di coscienza, anche al servizio militare (tutelata dall'art. 9): la Corte ci ha messo tanto a decidere ciò. Nel 2001 la Corte ha detto che indossare il velo è tutelato dall'art. 9: il primo caso è stato Dalab vs Svizzera del 2001 (in questo caso la signora Dalab era un'insegnante della scuola elementare e si presentava a fare lezione con il velo. Il preside le ha detto che non era il caso di presentarsi a scuola con il velo. In ragione della neutralità delle istituzioni e della scuola pubblica, la signora Dalab è stata invitata a togliere il velo. Ella si è rifiutata ed è stata licenziata. Lei però fa ricorso e le viene data ragione perché era stato violato il suo diritto di libertà religiosa. A quell'epoca l'organo che si occupava dei ricorsi, riteneva che questo ricorso fosse irricevibile perché non esisteva ancora la violazione.di divieto del burqa e del niqab (legge del 2010). La Corte ha dichiarato che queste leggi nonviolano il diritto alla libertà religiosa. La Corte ha stabilito che gli Stati hanno un ampio marginedi apprezzamento per regolare l'esercizio dei diritti fondamentali, compreso il diritto alla libertàreligiosa. La Corte ha ritenuto che le leggi francesi miravano a preservare i principi di laicità edi

Antiburqa del 2010, vieta a tutto lo spazio pubblico generico e non solo alle scuole; però il divieto non riguardava tutti i simboli ostentatori dell'appartenenza religiosa, ma soltanto l'abbigliamento che coprisse il viso. Inoltre, in Francia, esiste un generalizzato divieto per tutti i pubblici dipendenti di rivelare all'esterno in maniera evidente la propria appartenenza religiosa. In Turchia ci sono stati dei cambiamenti negli ultimi anni a partire soprattutto dal 2008 (in cui è stato tolto il divieto di porto di velo nei locali pubblici e un divieto di porto di simboli religiosi anche nelle vie e nelle piazze). Questo spiega il motivo per cui la maggior parte delle sentenze riguardi questi due Stati. Fino al 2010 si sono susseguite sentenze in cui la Corte ha sempre rigettato i ricorsi, sulla scia del caso Dalab. Ad esempio (prima del 2004), c'erano delle studentesse francesi che si rifiutavano di togliere il velo, anche durante le lezioni di educazione.

fisica ed erano state espulse dalla scuola. Caso contro la Turchia: è del 2005 tra Leila Sahin vs Turchia. I giudici che decidono sono quelli della grande Camera che sono 17 (sono utilizzati in 2 casi: come giudici del riesame, quando la questione è particolarmente importante, come nel caso Sahin vs Turchia). Sennò le altre decisioni vengono prese dalla Camera. La signorina Sahin studiava medicina a Istanbul e ad un certo punto, a seguito di interventi del rettore (circolari amministrative), ella fu invitata a togliere il velo alle lezioni. Lei si rifiutò e venne espulsa dall'università e si presenta dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Ella sostiene che non vi sia una legge che la obbliga a togliersi il velo ma solo circolari amministrative del rettore). La Grande Camera prende una decisione ancorata al caso concreto della Turchia. La Corte dice che la legge c'era, perché il divieto era rinvenibile nel principio dilaicità presente nella Costituzione turca. La corte rinviene una violazione: la Sahin ha visto limitato il diritto alla libertà religiosa e il diritto alla libertà d'istruzione. La restrizione della Turchia è stata considerata non conforme agli standard internazionali dei diritti umani.
Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
10 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/11 Diritto canonico e diritto ecclesiastico

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher d.meroni19 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di diritto del multiculturalismo e del pluralismo religioso e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Marchei Natascia.