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LE IDEE CHIAVE DELLA DOTTRINA DEL BUDDHA

Il tema delle rinascite consiste nell’idea che l’esistenza dell’individuo non

prosegua, dopo la morte, in uno stato di beatitudine o dannazione eterna, ma

samsara

sia invece inserita in un ciclo continuo di nascite e morti denominato .

Esso ha acquisito molta popolarità in Occidente, dove è però soggetta a dei

fraintendimenti poiché è intesa come una sorta di reincarnazione, in cui

un’anima immutabile cambia ciclicamente corpo. Inoltre si cade spesso

nell’errore di vedere in una luce positiva, quasi consolatoria, il trasmigrare da

un’esistenza all’altra.

In realtà il samsara è un qualcosa di drammatico, un agitarsi eterno a partire

dalla nascita, che causa automaticamente il sopraggiungere di vecchiaia e

morte, che a sua volta darà luogo a un’altra nascita, la quale causerà altra

morte. Secondo la tradizione ci sono sei forme di esistenza (gati,destini), in cui

a seconda del proprio agire morale si può rinascere più volte nel corso

dell’errare perpetuo nella catena di nascite e morti. Oltre all’esistenza

umana(manusya), vi è quella sotto forma di animale(tirascina), di essere

infernale(naraka), la condizione di spirito famelico(preta), di

demone(asura) e l’esistenza come divinità celeste(deva). Trattandosi di un

ciclo, il samsara non ha un ordine stabilito e non è necessario rinascere in tutti i

regni.

Nella concezione buddhista, inferno e paradiso (rispettivamente, l’esistenza

come naraka e come deva) non sono considerati eterni poiché, per quanto la

permanenza in uno stato di beatitudine o dannazione possa durare a lungo,

prima o poi si è destinati a rinascere. Anche l’esistenza degli dei è destinata a

concludersi, in quanto, esaurito il lunghissimo tempo della loro vita come

divinità, dovranno morire e rinascere in un’altra esistenza, magari proprio nelle

vesti di un essere umano.

Il filosofo indiano Kamalasila interpreta le gati come metafore delle diverse

forme di sofferenza cui è assoggettata l’esistenza umana: l’esistenza come

spirito infernale è, nella sua lettura, assimilabile alle sofferenze sperimentate

da un ladro che venga sottoposto a punizioni corporali; le sofferenze di chi è

afflitto da fame e povertà sono paragonabili all’esistenza come spirito famelico,

così come gli schiavi o coloro che vivono come tali conducono un’esistenza

confrontabile a quella di un animale. Anche l’esistenza dei deva diviene

simbolo di una forma di sofferenza, giacché essi vivono nella continua ansia di

perdere la propria posizione privilegiata e di decadere a un livello di esistenza

più basso.

Secondo la visione espressa nella prima nobile verità, l’esistenza in divenire

(bhava) è intrinsecamente legata alla sofferenza, anzi: samsara e duhkha si

complicano. Nella prospettiva buddhista il ciclo perpetuo di nascita-decadenza-

morte non agisce solo in relazione alla nascita e morte biologica degli individui,

bensì su ogni singolo aspetto dell’esistenza. Dunque nel samsara non si

conosce nulla di stabile e permanente, poiché anche gli stati d’animo o i

pensieri felici nascono e muoiono, destinati a trasformarsi in altro. I fenomeni

con cui entriamo in contatto esistono sempre in una forma condizionata, vale a

dire che nessuno di essi sorge, esiste o termina senza che vi sia una causa a

provocarlo e senza che esso sia a sua volta causa di qualcos’altro. Secondo la

prospettiva buddhista non vi è, nell’esperienza dell’uomo nel samsara,

qualcosa da cui egli possa dipendere o su cui possa basarsi per trovare una

felicità intesa come realizzazione profonda, stabile, non soggetta a divenire,

niente che offra all’uomo una soddisfazione permanente alle sue esigenze

profonde. Da qui l’idea che l’esistenza nel samsara, poiché contraddistinta

dall’impermanenza, sia contestualmente caratterizzata anche dalla sofferenza.

L’esistenza è caratterizzata da degli elementi costituenti chiamati “dharma”

che interagiscono reciprocamente l’una sull’atra, componendo tutta la realtà

materiale e mentale. L’analisi di questi dharma è alla base della letteratura

denominata Abhidharma (“Dharma superiore”). I dharma non sono eterni e

immutabili, ma istantanei: sorgono e persistono per un tempo minimo,

instaurano tra loro relazioni provvisorie dando vita ai fenomeni di cui facciamo

esperienza, per poi cessare e dar luogo al sorgere di altri dharma, e così via

all’infinito, sottoposti anch’essi, come gli organismi viventi, a ciclo di nascita-

vecchiaia-morte. La realtà sensibile è dunque impermanente perché costituita

da processi base che non hanno un’esistenza in forma assoluta, ma che

interagiscono continuamente l’uno sull’altro in un meccanismo di causa-effetto

e sono reciprocamente condizionati. Questa visione dell’impermanenza come

meccanismo base che regola lo stesso funzionamento della realtà riguarda

anche l’individuo, che è considerato parte integrante della realtà. Secondo

una delle più antiche analisi buddhiste, i fenomeni materiali e mentali che

formano l’individuo si strutturano in cinque diversi “aggregati” (skandha), cioè

raggruppamenti di elementi costitutivi(dharma).

Dunque un po' come la biologia e la chimica ci dicono che siamo composti da entità in

equilibrio dinamico e mutevoli, come i tessuti, le cellule, le molecole, gli atomi e così via,

skhanda

anche nella filosofia buddhista la persona è composta da elementi chiamati che

a loro volta sono divisibili nei dharma, i costituenti elementari del mondo sensibile.

Il primo dei cinque aggregati che compongono l’individuo è quello della “forma

materiale” (rupa), cioè il corpo fisico (kaya), in quanto elementi materiali, e le

sei “basi sensoriali”(sadayatana): per basi sensoriali si intendono i cinque sensi

e la mente, manas, considerata anch’essa alla pari di un organo di senso. La

parte fisica e vista come una forma attraverso cui emerge il sentire e, con esso,

la conoscenza. Altri tre aggregati vanno poi a formare quella parte

dell’individuo che la letteratura Abhidharma chiama “nome”: in essa sono

compresi quei processi percettivi che si innescano come reazione al contatto

tra i sei sensi e la realtà che fa da oggetto alla loro percezione. Tali aggregati

sono: “l’aggregato delle sensazioni”, che possono essere piacevoli, spiacevoli o

neutre; “l’aggregato della cognizione”, un processo che automaticamente

riconosce e classifica gli oggetti dei sensi in base alle categorie conosciute,

come i colori o le forme; “l’aggregato delle formazioni costruttive”, che

comprende varie attività come la volizione o l’attenzione, dipendenti dallo

stimolo ricevuto attraverso i sensi. L’insieme di questi primi quattro aggregati è

definito nama-rupa, letteralmente “nome e forma”, e coincide di fatto con un

corpo senziente. Inoltre l’individuo è costituito da un altro aggregato, ovvero

“le consapevolezze primarie” (vijnana) che analizzano e discriminano l’oggetto

della conoscenza sensoriale. Il funzionamento di quest’ultimo aggregato

dipende direttamente dai precedenti, poiché se non vi fossero quelle che i

buddhisti chiamano “attività costruttive” (l’attenzione, la volontà, il desiderio),

non potrebbe esserci contatto tra l’attività di discernimento e i vari oggetti dei

sensi, che dunque non potrebbero mai essere conosciuti in maniera cosciente.

Una delle tre caratteristiche fondamentali dell’esistenza insieme alla

sofferenza e all’impermanenza è l’anatman (I tre segni dell’esistenza).

Questo termine viene tradotto letteralmente come “non se” o “assenza di se”,

poiché afferma l’inesistenza di un io individuale e permanente, libero dai

condizionamenti del samsara.

Dunque, Shaka era interessato a mostrare il funzionamento della realtà così

come essa e esperita dagli individui, perché riteneva che solo questa analisi

avrebbe consentito loro di identificare i meccanismi apportatori di sofferenza e

interromperne il funzionamento.

Nella diagnosi del Buddha la causa dell’origine della sofferenza è “trsna”

letteralmente la “sete”, ovvero il desiderio, inteso come desiderio negativo,

egoistico, che provoca l’attaccamento al proprio oggetto. Questo attaccamento

sorge in seguito a uno stimolo sensoriale sia esso positivo o negativo. Poiché

anche la mente è considerata un organo di senso, gli oggetti della mente, i

pensieri, le opinioni, anche le dottrine religiose, sono ritenuti causa di

sofferenza quando divengono oggetto di desiderio egoistico.

Per spiegare l’esistenza del ciclo del samsara senza ricorrere all’idea di un

Creatore Buddha si rifà all’insegnamento del “pratityasamutpada”

“originazione dipendente” che afferma l’esistenza di delle precise

concatenazioni causali che dalla nescienza al dolore portano al generarsi della

catena delle rinascite, attraverso cui la sofferenza e la nescienza si perpetuano

in un circolo eterno. Dunque in dipendenza dal sorgere di una causa x si genera

un effetto y, in dipendenza dal quale sorgerà un effetto z e così via. La

formulazione di questo insegnamento è composta da 12 cause:1. Nescienza, 2.

Formazioni karmiche, 3. Consapevolezza primaria, 4. Corpo senziente, 5. Basi

sensoriali, 6. Contatto, 7. Sensazioni, 8. Desiderio egoistico, 9. Attaccamento,

10. Esistenza, 11. Nascita, 12. Vecchiaia e morte. E’ tutto un circolo, un eterno

ricominciare da capo.

Il concetto principale di tutto il sistema è la “legge del karman”. La traduzione

letterale del termine Karman è “ciò che fa”, “ciò che agisce” e quindi “azione”.

Ma nella sua interpretazione Shaka designa l’agire morale e non quello formale

e ritualistico della religione vedica. Il concetto di Karman afferma che

l’individuo al termine di un’esistenza, discende nuovamente nel grembo

materno per rinascere nella forma più adatta a esperire i frutti delle azioni

passate; dunque

l’individuo che avrà vita sarà diverso da quello a allo stesso tempo sarà

collegato a lui dal fatto che la sua esistenza è influenzata dalle sue passate

azioni.

Buddha si presenta ai suoi contemporanei come la prova vivente che esiste

una “

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A.A. 2019-2020
9 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-OR/17 Filosofie, religioni e storia dell'india e dell'asia centrale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher millegattini di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Religioni e filosofie dell'India e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi L'Orientale di Napoli o del prof Sferra Francesco.