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UNDICESIMO CAPITOLO

Festa in onore del Vicerè Caracciolo

Abbiamo la che lascia Palermo per Napoli (1886) eviene organizzata una festa in suo onore in un teatro, serata di gala. Ad essere al centroVella,dell’attenzione è il eroe di questa prima parte, falsario giocatore. Lo stesso Di Blasisi rivolge a lui in apertura di capitolo raccomandandogli il marito della contessa, amante.Il Di Blasi ha come amante una nobile, ligio alle regole della sua classe. Invece, ilCaracciolo, aveva sfidato l’aristocrazia anche in questo piano legandosimarchesecon una cantante, Marina Balducci, scatenando anche qui l’indignazione della nobiltà.Quando il Di Blasi si rende conto che il Vella può assecondare il desiderio della contessa,quasi rimane male perché capisce che il Vella sarebbe disposto in nome dell’amicizia asacrificare l’onestà del suo lavoro di documentazione storica. In seguito, quando saràmesso al corrente

dell'impostura del Vella, gli subentra un altro pensiero: si consolerà al pensiero che il Vella era stato capace di sacrificare in nome dell'amicizia il suo piacere e il suo guadagno e da questo punto di vista riabiliterà la figura del Vella (progressivo avvicinamento dei due). La festa che viene organizzata al teatro in onore di Caracciolo Vella. Quest'ultimo è disposto a riconoscere agli antenati come protagonista il di coloro che gli fanno le regalie prestigiose parentele ma non i feudi che spettavano alla corona, aveva deciso di seguire una lotta politica dell'appoggio anti-baronale del Caracciolo: P.68 ciò perché sperava di avere un'abbazia dalla Corona. Da questa avrà ricevuto il titolo di abate perché è da qui che tutti i nobili lo chiamano Grassellini, giudice della Gran Corte abate: P.67. chi aveva organizzato la festa era il Civile che aveva servito il Caracciolo: P.68. il Viceré

malinconicamente trascorrequesto ultimo tempo che lo separa dalla partenza dove è stato nominato Ministro emorirà 2 giorni dopo la Rivoluzione Francese nel 1789. Viene fornito un ritratto delVicerè che ha del chiaro e dello scuro: c'è la vecchiaia e la stanchezza ma anche ilbagliore di uno sguardo ironico. Abbiamo ancora una volta la sottolineatura del Di Blasidell'allineamento rispetto al Caracciolo, per il fatto che il riformismo di Caracciolocostituisse una fonte d'ispirazione, della loro fratellanza spirituale. Emerge una chiarasensazione della sconfitta dell'uomo politico. P.69: Il Caracciolo esce di scena conl'amarezza di non aver battuto completamente il sistema feudale in Sicilia e Palermo, diaver incontrato una forte resistenza nei confronti dei nobili, di aver appena scalfitol'Ancien Regime, andarsene senza aver portato a termine la sua missione. Qui vengonoriprese rapidamente le linee della carriera politica

del Caracciolo: 20 anni a Parigi. Dall'uogo della ragione, cioè Parigi, a 67 anni lo hanno mandato a Palermo come Viceré. La Sicilia viene descritta come deserto, come prolungamento del deserto Africano, luogo in cui la civiltà stenta ad attecchire. Egli aveva lottato affinché le cose cambiasse veramente in Sicilia ma i risultati erano parziali. Aveva, in qualche modo, lasciato un germe di speranza nell'Isola: aveva tentato una rivoluzione, aveva lasciato un'eredità di pensiero anche se la trasformazione di quatto non si era compiuta, almeno nella forma radicale che il Viceré aveva sperato. Tutto questo bilancio della stagione riformista del Viceré Caracciolo sia filtrato attraverso il punto di vista del Di Blasi. Quest'ultimo è ben consapevole che tutto quello che di buono aveva fatto Caracciolo in Sicilia avrebbe potuto essere spazzato via dalla barbarie, arroganza, potere ottuso. La speranza che aveva acceso di uncambiamento delle cose in Sicilia poteva andare presto delusa. Questo è ciò che pensa il Di Blasi e non tutti, certamente, la pensano come lui come i nobili che non sopportano il Caracciolo e lo vorrebbero vedere morte. Essi gli hanno organizzato ben altra festa: P.70 il principe di Pietraperzia lo avrebbe accolto con fischi e che la severità del Caracciolo era dovuta agli 8 mesi di carcere che si era fatto. Il nuovo Viceré sarà il principe di Caramanico, don Francesco d'Aquino. Questa figura del principe sarà ripresa nella lettera del Vella al Re di Napoli che costituisce la seconda parte del dal 1782, romanzo. I LIMITI CRONOLOGICI DELLA PRIMA PARTE: si estende l'anno del 1786, naufragio dell'ambasciatore del Marocco, al anno in cui termina la carica di Viceré di Sicilia del Caracciolo. Dal momento che tale festa avviene in teatro, sul palco si rappresenta una scena: c'è una mima che incarna la ninfa Sicilia inlutto per l'allontanamento del Caracciolo; una ninfa nel cui cuore ferito viene seppellito il Caracciolo. Infatti, l'attrice porta un cuore squarciato:

P.71

come se il suo cuore si facesse tomba del Viceré che muore alla Sicilia per partire verso Napoli. Ci fu un freddo applauso perché i nobili sono tiepidi, dissimulano il loro vero sentimento di odio e di astio. Il marchese di Villabianca infatti, risponde tra sé e sé che la ferita il Viceré l'ha fatta alla Sicilia con la durezza del suo governo. Il Caracciolo che assiste allarappresentazione non perde occasione per confermare la sua vocazione di libertino, tratto caratteristica della società del '700 e ciò lo sapeva bene Sciascia che leggeva con gusto le pagine della vita del Casanova. Il Caracciolo pensava a come gli piacerebbe avere il petto dell'attrice come tomba e volgeva lo sguardo ai seni della pretoressa. È arrivato il momento degli addii e dei saluti,

in particolare quelli che il Caracciolo rivolge al Vella e al Di Blasi: P.71 al Vella chiede se erano arrivati i caratteri arabi per la stampa da Parma e a che punto fosse con la traduzione del Consiglio d'Egitto, invece al Di Blasi chiede a che punto fosse con il lavoro delle Prammatiche, che egli stesso gli aveva affidato e poi come saluto, con un sorriso d'intelligenza, gli chiede: "Come si può essere siciliani?". È una domanda con cui Sciascia parafrasa Montesquieu. Per una maggiore comprensione è necessario leggere il saggio sciasciano raccolta "Fatti diversi di storia letteraria e civile" saggio si intitola proprio "Come si può essere siciliani?". e il Qui Sciascia saggista ci fornisce la chiave d'accesso per comprendere lo Sciascia letterario.

Lettere persiane di Montesquieu

Egli cita un brano delle Lettere persiane di Montesquieu che sono ambientate a Parigi e vede come protagonisti 2 persiani che fanno un viaggio a Parigi.

Osservano con la loro ottica straniera quello che avviene. Riporta il brano in francese e lo adatta al proprio pensiero, sostituisce ai persiani i siciliani. Così, alla fine, Sciascia traduce così: modifica l'originario "Come si può essere persiani" con il suo "Come si può essere siciliani". I persiani a Parigi sono stranieri quanto il napoletano Caracciolo tra i Siciliani, come un siciliano può essere straniero quando si trova in una realtà che non sia la Sicilia. Affronta il tema dell'incontro con lo straniero e dei pregiudizi che, inevitabilmente, scattano quando ci si rapporta a uno straniero, soprattutto quando è un isolano. Ciò avviene quando le condizioni di vita di un siciliano diventano diversità ed esse venissero ingigantite e generalizzate dagli altri fino a divenire negativo pregiudizio. C'è da dire che in questo capitolo Sciascia ha rappresentato la sconfitta di Caracciolo.

Il fatto che non è riuscito a portare fino in fondo i suoi progetti e le sue idee di riforma. Viene rappresentata, quindi, la sconfitta dello straniero Caracciolo. Il rimando è duplice perché il paratesto, occorre prendere in considerazione un altro testo all'interno del Consiglio, ciò che precede il racconto vero e proprio che si trova immediatamente dopo il titolo. È citazione di Courier, ufficiale dell'esercito napoleonico - Lettere della Francia unad'Italia. Il brano di questa lettera datato 1806 e che Courier spediva da Reggio Calabria avendo di fronte a sé la Sicilia e lo stretto di Messina, suona in questa maniera: "Noi la vediamo come il vérité, voi la vedete come il faubourg Saint-Germain (sta scrivendo a un parigino); il canale non è in fede mia più largo (Stretto di Messina) e, tuttavia, abbiamo difficoltà ad attraversarlo. Lo credereste? Se soltanto mancasse il vento"

“noifaremmo come Agamennone, sacrificheremmo una fanciulla”. Qui sta parlando delladifficoltà di Courier di attraversare lo Stretto di Messina con la sua armata, vorrebbetraghettare lo Stretto di Messina e giungere in Sicilia ma ci sono delle difficoltà oggettiveche glie lo impediscono. C’è una mancanza di imbarcazioni che rende impossibile iltraghettamento e l’approdo nell’isola. Non dipende dal vento, perché quello c’è. “Grazie aDio di vento ne abbiamo in abbondanza ma non abbiamo una sola barca, ecco il guaio.Ci dicono che arriveranno e fino a quando avrò questa speranza, credetemi signora, chenon volgerò lo sguardo indietro verso i luoghi dove voi abitate anche se tanto mipiacciono”. L’interlocutore è una signora che sta a Parigi, alla quale Courier manifestatutto il suo desiderio di compiere l’attraversamento. La chiusa è memorabile, questo è undocumento

storico che interessava a Sciascia perché interessato a tutti i documenti riguardanti la Sicilia: "Voglio vedere la patria di Proserpina e sapere perché il diavolo ha preso moglie proprio in quel paese". Qui viene accolta la leggenda secondo cui Proserpina fosse siciliana e che Plutone, quindi, l'abbia rapita in Sicilia. Il mancato soddisfacimento del desiderio di vedere la Sicilia da parte di Courier viene accolto da Sciascia come simbolo di un mancato appuntamento: quello della Sicilia con la Rivoluzione, la mancata penetrazione dell'isola dello spirito rivoluzionario. Ce lo fa capire in questo brano nell'introduzione del Narratori di Sicilia: capiamo bene il senso che bisogna dare all'epigrafe di entrambi. Sono dei falliti nel loro rapporto con la Sicilia, l'uno, Courier, non può metterci piede e vede frustrato il desiderio di non poter vedere la patria di Proserpina; l'altro vi mette un altro piede.

vi fa il Vicerè ma non riesce a far attecchire la pianta del

Dettagli
A.A. 2019-2020
33 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/11 Letteratura italiana contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher mariateresa.pata di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana moderna e contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università della Calabria o del prof Pupo Ivan.