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I RIMEDI AMMESSI NEI CONFRONTI DELLE ORDINANZE CAUTELARI
5.
L’ordinanza cautelare adottata dal collegio di regola ha effetto fino alla sentenza che definisce quel
grado di giudizio. Se il giudizio si estingue, la misura cautelare perde efficacia nel momento in cui
l’estinzione è dichiarata dal giudice.
L’ordinanza è passibile di revoca, su richiesta della parte che vi abbia interesse e, nel caso di rigetto
dell’istanza cautelare, l’istanza può essere riproposta. L’ordinanza non produce alcun vincolo sulla
sentenza.
Può essere richiesta la revoca dell’ordinanza nel caso di sopravvenienza di elementi nuovi, esterni
rispetto al giudizio. Si tratta tradizionalmente del mutamento della situazione di fatto (come il
peggioramento delle condizioni economiche del ricorrente, che renda non più sopportabile un
esborso imposto dal provvedimento) o del mutamento della situazione di diritto (come la
dichiarazione di illegittimità costituzionale di una legge applicata dal giudice) oppure della
conoscenza di fatti precedenti e rilevanti solo successivamente all’ordinanza cautelare, e infine le
cause di revocazione previste dall’art. 395 c.p.a.
Contro l’ordinanza cautelare è ammesso appello cautelare, art. 62 c.p.a.
L’appello va proposto al Consiglio di Stato, nel termine di 30 giorni dalla notificazione
dell’ordinanza, ovvero di 60 giorni dalla sua pubblicazione.
L’appello va sempre notificato e depositato, si può chiedere un provvedimento temporaneo ex art.
56 ma non il provvedimento ex art. 61 c.p.a.
In sede di appello il regolamento di competenza e’ di parte. In sede cautelare il giudice invece
d’ufficio può sollevare il regolamento di competenza.
In sede di appello cautelare il giudice d’ufficio può verificare questi aspetti, pure se le parti non
fanno opposizione. In sede di merito, in sede d’appello, il giudice non lo può fare perché le parti
hanno accettato il giudicato del giudice di primo grado se non contestano e il giudice prende atto di
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Lezioni di Giustizia Amministrativa - Aldo TraviPagina
ciò. La decisione è assunta con ordinanza dal Consiglio di Stato: se in accoglimento dell’appello
viene concessa una misura cautelare, l’ordinanza è comunicata al Tar per la fissazione dell’udienza
di merito.
ESECUZIONE DELLE ORDINANZE CAUTELARI
6.
Alcune volte la misura cautelare comporta la necessità per l’amministrazione di compiere una certa
attività e quindi di porre in essere un certo comportamento.
Per assicurare l’esecuzione di una pronuncia del giudice amministrativo è istituito il rimedio del
giudizio di ottemperanza. Nel caso del processo cautelare non sarebbe distinguibile un giudizio di
cognizione e uno diverso di esecuzione, ma sussiste solo un giudizio unitario: di conseguenza il
potere di sospendere il provvedimento impugnato implica anche il potere di assumere tutte le
determinazioni idonee ad assicurare l’esecuzione dell’ordinanza di sospensione.
Le conclusioni della giurisprudenza sono state recepite dal legislatore nel codice. L’art. 59 c.p.a.
precisa che, se l’amministrazione non ha eseguito un’ordinanza cautelare, la parte interessata, con
istanza notificata alle parti, può rivolgersi al giudice che ha emesso l’ordinanza. Il giudice
amministrativo adotta le misure necessarie per assicurare l’esecuzione dell’ordinanza cautelare e,
a tal fine, dispone di tutti i poteri che sono ammessi per il giudizio di ottemperanza.
CAPITOLO 13
LA SENTENZA E LE IMPUGNAZIONI
LA SENTENZA
1.
In coerenza con il principio della domanda, il giudice amministrativo è tenuto a pronunciarsi “su
tutta la domanda e non oltre i limiti di essa” (art. 112 c.p.c.).
In coerenza con lo stesso principio, il giudice “non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che
possono essere proposte soltanto dalle parti”.
Nell’esame della domanda, il collegio procede secondo un ordine logico: “decide gradatamente le
questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio e quindi il merito della causa”. Di
conseguenza deve esaminare prima le questioni di mero rito, quelle relative alle competenza e
giurisdizione, quelle relative ai presupposti dell’azione e solo successivamente le questioni di
merito, rispettando il vincolo di pregiudizialità che sussiste tra esse.
L’ordine generale di trattazione delle questioni deve essere seguito per garantire un criterio logico
nella decisione del ricorso. Quindi le questioni concernenti l’ammissibilità del ricorso e le
condizioni dell’azione sollevate nel ricorso incidentale vanno esaminate prima delle questioni
concernenti il merito della domanda proposta col ricorso principale.
Ai fini della decisione, anche nel processo amministrativo assume rilievo il c.d. assorbimento delle
questioni. Questo si verifica quando le questioni sollevate, pur non essendo collegate tra loro
secondo una relazione di pregiudizialità in senso tecnico, seguono comunque un preciso ordine
logico, che il giudice deve seguire ai fini della decisione. Per esempio, in presenza di più censure,
spesso si limita ad esaminare quella più facilmente verificabile, se da essa consegue l’annullamento
del provvedimento impugnato (c.d. assorbimento improprio).
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Lezioni di Giustizia Amministrativa - Aldo TraviPagina
Il giudizio amministrativo è definito in genere da una sentenza, che viene deliberata da un collegio
giudicante (art. 33 c.p.a.). Il termine ‘sentenza’ è riservato alla pronuncia che “definisce in tutto o
in parte il giudizio”. I provvedimenti collegiali a fini istruttori o che dettino prescrizioni per lo
svolgimento del giudizio non sono quindi designati come ‘sentenze’, ma sono pronunce che vanno
adottate con ordinanza.
Solo in alcuni casi, quando si sia verificata una causa di estinzione del giudizio ovvero il ricorso sia
divenuto improcedibile, alla relativa declaratoria provvede il Presidente con decreto, il quale, se
non viene opposto, passa in giudicato perché, come una sentenza, definisce il giudizio.
Il termine ‘sentenza’ designa indifferentemente sia le pronunce del Tar che quelle del Consiglio di
Stato. Rimane ferma la distinzione tra sentenze di rito e sentenze di merito. L’art. 35 c.p.a.
considera tra le sentenze di rito quelle che dichiarano
l’irricevibilità: nel caso di tardività della notifica o del deposito del ricorso
- inammissibilità: per ragioni inerenti alla proposizione della domanda, quali la carenza di
- potere o di legittimazione, o la precedente presentazione di un ricorso straordinario.
improcedibilità: per situazioni maturate dopo l’introduzione del giudizio come la
- sopravvenuta carenza d’interesse o la mancata integrazione del contraddittorio nei termini
fissati dal giudice,
l’estinzione del giudizio: per omissione o tardività della riassunzione, o per perenzione o
- per rinuncia.
Il codice, poi, include tra le ‘sentenze di merito anche quelle che dichiarano la cessazione della
materia del contendere (art. 34, comma 5, c.p.a.), che si verifica quando, nel corso del giudizio, la
“pretesa del ricorrente risulti pienamente soddisfatta”.
Nel caso di declaratoria della giurisdizione, se la domanda risulta riproposta tempestivamente,
non assumono rilievo le eventuali decadenze che possano essere maturate dopo tale domanda.
Invece eventuali decadenze maturate prima di tale domanda rimangono ferme, fatta salva la
possibilità di rimessione in termini da parte del secondo giudice in caso di errore scusabile.
In caso di riproposizione tempestiva della domanda, le prove già raccolte possono essere valutate
come “argomento di prova” dal secondo giudice. Dopo la declinatoria di giurisdizione del Tar, il
secondo giudice adito tempestivamente dalla parte, se il secondo giudice ritiene a sua volta di essere
privo di giurisdizione, nella prima udienza può sollevare d’ufficio un conflitto di giurisdizione, sul
quale si pronuncerà la Corte di cassazione.
Le sentenze di merito intervengono invece sul contenuto della domanda, accogliendola o
ritenendola infondata. Una volta accolto il ricorso, le sentenze potranno avere un contenuto
dispositivo diverso, in relazione alle domande proposte e all’azione esperita. Possono disporre
l’annullamento del provvedimento impugnato, o disporre la sua riforma o sostituzione nelle ipotesi
di giurisdizione di merito, ovvero ordinare all’amministrazione di provvedere nel caso di un
giudizio sul silenzio rifiuto, o condannare l’amministrazione in caso di azione di adempimento, o
dichiarare la nullità di un atto amministrativo o, nelle vertenze su diritti, accertare un diritto
soggettivo del ricorrente o condannare all’adempimento di un’obbligazione, pecuniaria o non.
GLI EFFETTI DELLA SENTENZA DI ANNULLAMENTO
2.
Il nucleo della sentenza di annullamento è stato identificato a lungo con l’accertamento della
illegittimità del provvedimento impugnato, in relazione a determinati vizi enunciati nel ricorso.
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Lezioni di Giustizia Amministrativa - Aldo TraviPagina
Infatti la sentenza di annullamento accerta la lesione di un interesse legittimo, determinata da un
vizio specifico, e l’accertamento del giudice non riguarda fenomeni oggettivi ma riguarda innanzi
tutto una relazione giuridica e una posizione soggettiva: l’interesse legittimo.
L’accertamento costituisce il nucleo essenziale e ineliminabile della sentenza di annullamento del
giudice amministrativo. La sentenza interviene in una vicenda del potere amministrativo,
eliminando un atto che costituiva espressione di tale potere ma senza privare l’amministrazione del
potere stesso. Di regola il potere amministrativo non si esaurisce per effetto della sentenza che
accolga un ricorso, potere che può essere esercitato nuovamente dopo la sentenza di annullamento.
Anzi, un nuovo esercizio del potere è necessario per attuare la sentenza.
La dottrina e la giurisprudenza hanno cercato di identificare effetti della sentenza di annullamento
ulteriori rispetto all’eliminazione del provvedimento impugnato. Sono effetti che non hanno un
carattere ‘reale’ (come la caducazione dell’atto impugnato), ma hanno un carattere obbligatorio, nel
senso che costituiscono a carico dell’amministrazione doveri di condotta e quindi si configura come
una sentenza ‘non meramente’ costitutiva. Ci sono 3 ordini di effetti:
effetto ‘eliminatorio’. o ‘caducatorio’: vi è l’eliminazione della c.d. realtà giuridica del
1) provvedimento annullamento, con il venir meno degli effetti prodotti dallo stesso.
effetto ‘ripristinatorio’: l