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ATTIVO FALLIMENTARE PASSIVO FALLIMENTARE
…… Prededuzione
…… ……. Privilegiati
…… …….
…… ……. Non privilegiati o
chirografari
…… …….
…….
Realizzare = liquidare tutto l’attivo Si procede per successive
approssimazioni
Ovviamente se è l’imprenditore stesso che porta i libri in tribunale, vuol dire che sta collaborando e porterà
tutta la documentazione che serve. Se è un creditore che fa richiesta di fallimento, il creditore tutte queste
informazioni non ce le ha, quindi, sarà la procedura che dovrà apprendere in qualche modo, anche
forzosamente dall’imprenditore, le scritture contabili e le altre scritture che servono per avere un quadro chiaro
ed esaustivo dell’attivo e del passivo fallimentare.
Il procedimento giudiziale per la dichiarazione di fallimento (art. 15) si svolge dinanzi al tribunale in
composizione collegiale, è uno dei pochi casi in cui il tribunale funziona ancora come una volta, cioè con tre
giudici, con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio, con modalità prive di formalità. È uno dei
pochi casi in cui la giustizia italiana ha dei ritmi quasi accettabili, proprio perché l’urgenza è evidente.
Il tribunale convoca, con decreto apposto in calce al ricorso, il debitore ed i creditori istanti per il fallimento;
c’è quindi un momento di contraddittorio anche se rapido e informale. Nel procedimento interviene il pubblico
ministero se ha assunto l'iniziativa per la dichiarazione di fallimento.
Se ci sono tutti i presupposti, cioè se il tribunale si convince che ci sono tutti gli estremi: ha davanti un
imprenditore commerciale, che almeno una soglia è stata superata, che l’imprenditore è insolvente, allora il
tribunale pronuncia la sentenza di fallimento. Prima ancora della sentenza di fallimento, il tribunale può
51
emettere i provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell’impresa. P.e. il tribunale è
50 Pegno e ipoteca sono diritti reali di garanzia, per i privilegi vedi artt. 2745 e ss.
51 Sono i provvedimenti, che prima ancora di arrivare ad una statuizione definitiva, il giudice può emettere sulla base di
due presupposti fumus boni iuris et periculum in mora. 151
G. Presti – M. Rescigno
CORSO DI DIRITTO COMMERCIALE (2015)
ancora lì che sta cercando di capire se c’è insolvenza o meno, ma c’è il pericolo che l’imprenditore se ne scappi
all’estero oppure distrugga tutti i documenti contabili. Se esiste questo pericolo e se c’è la sensazione che si
possa arrivare al fallimento, allora il tribunale può, prima ancora di emettere la sentenza, emettere dei
provvedimenti cautelari.
Qualora il tribunale ritenga non sussistenti gli estremi per la dichiarazione di fallimento provvede con decreto
motivato di rigetto (art. 22).
Se si arriva alla dichiarazione di fallimento (art. 16), allora il tribunale con sentenza:
1) nomina il giudice delegato per la procedura;
2) nomina il curatore;
3) ordina al fallito il deposito dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché
dell'elenco dei creditori, entro tre giorni, se non è stato ancora eseguito a norma dell'articolo 14;
4) stabilisce il luogo, il giorno e l'ora dell'adunanza in cui si procederà all'esame dello stato passivo, entro
il termine perentorio di non oltre centoventi giorni dal deposito della sentenza, ovvero centottanta
giorni in caso di particolare complessità della procedura;
5) assegna ai creditori e ai terzi, che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del fallito, il
termine perentorio di trenta giorni prima dell'adunanza di cui al numero 4 per la presentazione in
cancelleria delle domande di insinuazione.
La domanda di insinuazione è la domanda di essere inseriti nell’elenco dei creditori, voglio partecipare anch’io
alla procedura.
Sentenza di
fallimento Deposito bilanci, Adunanza per
scritture contabili ed Domanda di esame SP
elenco creditori insinuazione
30 gg 60 gg 90 gg 120 gg 150 gg 180 gg
Nomina del
C.d.C.
La sentenza produce i suoi effetti dalla data della pubblicazione, cioè ai sensi dell'articolo 133, primo comma,
del codice di procedura civile, dal deposito in cancelleria. Ma gli effetti nei riguardi dei terzi si producono
dalla data di iscrizione della sentenza nel registro delle imprese dove l’imprenditore ha la sede legale o dove
la procedura è stata aperta ai sensi dell'articolo 17, secondo comma.
Entro il giorno successivo al deposito in cancelleria, la sentenza che dichiara il fallimento va notificata al
debitore, e comunicata per estratto al PM, al curatore e a chi ha richiesto il fallimento.
§ Le impugnazioni
Il regime delle impugnazioni è diversificato a seconda che si tratti di provvedimento negativo o positivo.
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G. Presti – M. Rescigno
CORSO DI DIRITTO COMMERCIALE (2015)
• Reclamo contro il decreto di rigetto
Se il tribunale ha deciso che l’imprenditore non fallisce, il creditore o il PM, cioè chi ha richiesto il
fallimento può fare reclamo, entro 30 gg, alla corte d’appello, la quale decide in camera di consiglio
dopo avere sentito il reclamante e il debitore. Qualora la corte d’appello accetti il reclamo, non può
dichiarare il fallimento, ma deve rimettere d’ufficio gli atti al tribunale perché provveda (art. 22).
• Reclamo contro la sentenza di fallimento
Può essere presentato reclamo avanti alla corte d’appello contro la sentenza dichiarativa di fallimento
nel termine di 30 gg dalla notificazione per il debitore e dall’iscrizione nel R.I. per chiunque. Il reclamo
non sospende gli effetti della sentenza impugnata, ma la corte d’appello, su richiesta di parte o del
curatore, può, quando ricorrono gravi motivi, sospendere in tutto o in parte, o temporaneamente la
liquidazione dell’attivo.
Se la corte d’appello accoglie il reclamo e revoca la dichiarazione di fallimento, questa ha effetto solo
nel momento in cui la relativa sentenza è passata in giudicato e non retroagisce, pertanto, restano salvi
gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi fallimentari.
I giudici delle impugnazioni devono valutare la sussistenza o meno dello stato d’insolvenza alla data della
dichiarazione di fallimento e non a quella successiva in cui si pronunziano.
Se c’è una colpa da parte del creditore per avere richiesto il fallimento, sono a sua carico le spese di procedura
e il compenso del curatore. In caso contrario compenso e spese sono a carico del debitore se con il suo
comportamento ha dato causa alla dichiarazione di fallimento.
Gli organi del fallimento (15.2)
Il fallimento implica una complessa attività di carattere sia giudiziale sia gestoria, pertanto, richiede una
pluralità di organi. Come si desume dall’art. 16 sono:
1. Prima di tutto il tribunale che ha aperto il fallimento e che rimane competente per sorvegliare la
procedura e, in generale, per decidere i punti salienti che possono presentarsi nel corso della procedura;
2. Il giudice delegato, il tribunale, che è composto da tre soggetti, delega un unico giudice a seguire con
particolare attenzione la procedura, cioè a esercitare funzioni di vigilanza e di controllo sulla regolarità
della procedura;
3. Il curatore, che ha poteri di amministrazione dei beni del fallito al posto del fallito perché il fallimento
determina lo spossessamento dei beni dell’imprenditore. Con la dichiarazione di fallimento
l’imprenditore perde il possesso, anche in questo si vede la maggiore gravità del fallimento rispetto
alle altre procedure, che invece mantengono (chi più, chi meno) il potere dell’imprenditore su suoi
beni. Nel fallimento, l’imprenditore non può più gestirsi la crisi, ma deve farla gestire. Si ha quindi lo
spossessamento dei beni dell’imprenditore e la gestione di questo patrimonio viene affidata ad un
terzo, il c.d. curatore fallimentare che è il soggetto che compie tutte le operazioni della procedura e
amministra il patrimonio fallimentare sotto la vigilanza (una volta si diceva sotto la direzione, perché
l’idea è quella di dare più potere al curatore e solo controllo ai giudici) del giudice delegato. È
tratteggiato nella legge come il manager della procedura al quale spetta il compito di conservare,
gestire e realizzare (vuol dire liquidare tutto l’attivo fallimentare in modo da avere i mezzi, la liquidità
per pagare, almeno in parte, i creditori che si saranno insinuati nella lista di coloro che vogliono essere
pagati) i beni compresi nel patrimonio fallimentare e di curare poi la ripartizione del ricavato tra i
creditori. 153
G. Presti – M. Rescigno
CORSO DI DIRITTO COMMERCIALE (2015)
4. Il comitato dei creditori. Questo organo, già previsto nella precedente normativa con ben scarso
successo, è stato, notevolmente rivalutato attribuendogli mansioni della massima importanza. Il
comitato è composto da tre o cinque membri, che nel loro ambito eleggono a maggioranza il
presidente, scelti tra i creditori, all’interno della lista che si va faticosamente a completare, in modo da
rappresentare in misura equilibrata quantità e qualità dei crediti e avuto riguardo alla possibilità di
soddisfacimento dei crediti stessi (art. 40, co. 2).
La nomina avviene da parte del giudice delegato entro trenta giorni dalla sentenza di fallimento sulla
base delle risultanze documentali, sentiti il curatore e i creditori che, con la domanda di ammissione
al passivo o precedentemente, hanno dato la disponibilità ad assumere l’incarico o hanno segnalato
altri nominativi aventi i requisiti previsti (art. 40, co.1). Questo comitato può essere, tra l’altro,
modificato una volta che si ha più chiara la situazione di quelli che sono veramente i creditori, perché
questa è un’attività che procede per successive approssimazioni e cerca di avere un quadro sempre più
chiaro della situazione. Quindi, in sede di adunanza per l’esame dello stato passivo, è possibile una
nuova designazione da parte dei creditori presenti, che rappresentino la maggioranza dei crediti
ammessi, indicando al tribunale le ragioni della richiesta. Il tribunale provvede alla nomina dei soggetti
designati, salvo che siano rispettati i criteri di cui all’art. 40.
Nella stessa sede i creditori che rappresentano la maggioranza di quelli ammessi allo stato, possono
stabilire che ai componenti del comitato dei creditori sia attribuito, oltre al rimborso delle spese, che è
sempre dovuto, anche un compenso per la