MASS MEDIA VS RETE MULTIMEDIALE.
La rete e Internet hanno sostituito la centralità del consumo televisivo. Abbiamo assistito ad un declino
della tv e nell’ultimo tempo cominciamo ad assistere a fenomeni di ibridazione tra la tv e la rete internet.
C’è chi ha teorizzato, come Eco, che il computer avrebbe riportato ad una centralità della scrittura, ma non
è vero. Il computer è un’estensione dell’intero complesso corpo/mente e in un certo senso costringe noi
come persone che percepiscono e che comunicano a portare in primo piano sia elementi tipici della
scrittura (vista, conoscenza, capacità analitica) sia elementi tipici dell’oralità di ritorno e quindi tatto,
corpo…
Ci sono modi diversi dell’utilizzo della rete internet. Un conto è l’utilizzo da consumer, ovvero ci adattiamo
ai formati, ai sistemi, a ciò che ci viene imposto dalla rete, comunicare in certi modi attraverso device
mobili e pc, comunicare secondo certe forme, stili, regole; un conto è utilizzare la rete come prosumer, cioè
produttori, produzione.
I mass media erano (ora un po’ meno) unidirezionaliun emittente milioni di destinatari. Nella rete
multimediale invece, i nuovi media sono pervasivi, flessibili, sia individuali che collegati ad
un’organizzazione strutturale, comunicazione plurivoca fatta da interazioni di migliaia di persone.
Nel caso dei mass media la tesi fondamentale di McLuhan era che l’effetto dei mass media era limitato
perché i destinatari reinterpretano il messaggio a seconda dello strato culturale di cui si fa parte. Invece,
questo discorso di stratificazione nella cultura delle reti si è tradotto in maniera diversa, ci sono migliaia di
messaggi che possono essere prodotti di diversi gruppi, questo ha prodotto un rafforzamento ma anche un
indebolimento della capacità persuasiva dei messaggi, perché possiamo confrontarli, essere più selettivi, e
gli Stati hanno perso il controllo sulle reti.
Ciò che era tipico della cultura televisiva, ovvero il format, una definizione di regole di genere e di stili su un
certo tipo di programma televisivo in grado di dare un senso ad un’intera zona di processi culturali, non è
spartito all’interno delle reti; le possibilità di creare nuovi format sono ora estesi a migliaia di produttori:
sulle reti tutti, singoli, gruppi possono creare format e creare propri circuiti di affezionati e di fedeli a quel
dato format.
A livello sociale l’avvento della società delle reti produce enormi cambiamenti, perché un conto è una
società in cui l’immaginario collettivo è prodotto dall’industria culturale (società del 900) in cui i media
tentano di elaborare in metafore, figure, la sensibilità collettiva, l’ideologia, un conto è la rete globale dove
i processi di identità sono molti più molecolari, basati su comunità online che però sono molto labili, dove il
legame sociale è instabile e multiplo.
Al centro della civiltà dei mass media c’erano grandi industrie culturali, il modello fondamentale è stato
Hollywood. Nella società delle reti i produttori possono essere grandi produttori, micro-produttori, ma
ognuno può girare un video, creare un blog, un sito web, o creare un prodotto che può condividere e
scambiare con altri. Naturalmente non è sparito il conflitto nel sistema delle reti tramite questo sistema.
LA CULTURA DELLA VIRTUALITA’ REALE
Internet ha smantellato la cultura dominante orientata sull’asse temporale, basata sull’idea di evoluzione e
di storia. La testualità di internet si presenta come un ipertesto con link interni di tipo astorico e aspaziale:
tutte le culture, le produzioni le idea le espressioni sono ammesse, non c’è un ordine né di tipo storico né
culturale basato su regole e teorie. A prevalere non è la conoscenza analitica ma le immagini, quel processo
di riemersione delle immagini iniziato nell’800 ha trovato possibilità di realizzarsi nell’era elettrica e poi in
Internet. Questo è quello che Castells chiama spazio di flussi flussi di comunicazione che si addensano
con una densità sempre più incredibile (prima di Facebook ad esempio, si parlava attraverso dei blog).
Questo prodotto dei cambiamenti accentua la tendenza post-metropolitana ad assimilare tutto il mondo al
modello della metropoli con una progressiva spersonalizzazione degli edifici con modelli di quartieri tutti
uguali, disseminabili sul territorio a piacere…l’Europa è rimasta legata invece ai vecchi modelli. In realtà la
nostra percezione dello spazio è cambiata perché lo spazio è oggi qualcosa che attraversiamo immersi nella
condizione virtuale. La virtualizzazione di tutti processi cultura la vediamo sotto tutti i punti di vista (e-
learning ad esempio).
I flussi passano attraverso la rete, fatta di nodi e link, dunque sono flussi imprevedibili.
Le strategie per comunicare in rete richiedono conoscenza dei sistemi in rete, soprattutto per quanto
riguarda i campi della comunicazione urbana, la pubblicità ad esempio.
Socialmente si è creta un’élite dominante che vive tra aerei, resort, ville, spazi segregati molto protetti, e la
massa delle persone vive nell’ambiente metropolitanizzato.
Come nell’epoca gutenberghiana si viveva all’interno della mente stessa una schizofrenia tra quella che è la
vocazione, controllo, strategia, alla spazializzazione, al punto di vista, all’oggettivare i processi ed analizzarli,
ed invece l’inconscio, il sogno, l’immagine il corpo, anche oggi viviamo una schizofrenia tra la logica dei
luoghi fisici, luoghi in cui l’interazione avviene attraverso gli spazi reali, l’emozione vissuta in tempo reale, e
la logica dei flussi in cui non solo le emozioni si vivono anche più intensamente, ma sono ampiamente
riproducibili, però non sono legati al luogo, sono variabili e non predeterminati.
Lo stesso avviene per il tempo. A livello del tempo e della memoria il nostro rapporto con il medioevo, i
romani, la preistoria, i regnanti inglesi, passa attraverso produzioni culturali molto influenzati dai modelli
dei videogames, capacità immersiva di stare all’interno di un ambiente finzionale e di vivere conflitti, lotte,
pericoli, paure all’interno di questi luoghi, questo produce un effetto di de-temporalizzazione, si virtualizza
il tempo quindi tutti è accelerato, mi posso spostare senza alcun problema in qualsiasi momento della
storia dell’umanità, ma questo produce una scomparsa della dimensiona temporale. Ma poi nella vita
quotidiana è sparita la distinzione tra il tempo di lavoro e il tempo di vita, si lavora quando si dovrebbe
riposare, semplicemente perché è possibile o perché necessario, o perché richiesto.
L’identità deve fare i conti con i processi di rete, il problema è quello di conoscere bene i media per essere
in grado di dominarli, gestirli.
LEZIONE 6
Di cosa è fatto un medium? Ci sono almeno 3 livelli da analizzare.
Un medium è da una parte una tecnologia. La scrittura per esempio è una tecnologia, richiede una tecnica,
un codice della scrittura, cioè il codice alfabetico o prima i geroglifici, richiede dei supporti, dei mezzi di
scrittura ecc. C’è un aspetto tecnologico della scrittura come della lettura.
Poi c’è un aspetto che riguarda la creazione vera e propria del medium in quanto ambiente, l’ambiente
orale che è il contesto, le pratiche, le condizioni reali, i modi e anche il senso che noi diamo alla
conversazione orale. Internet non è solo una tecnologia ma anche un ambiente con cui interagiamo e
produciamo. Non produciamo solo informazioni, l’informazione è un dato complesso, può essere vista
come una serie di dati specifici di oggetti che possono essere comunicati, a partire dal suo livello minimo.
Ma l’informazione può essere vista come un insieme di elementi minimi che connessi insieme formano
delle entità dotate di senso, si tratta di immaginari.
Attualmente la nozione di immaginario collettivo è entrata abbastanza nel linguaggio comune, ma ciò è
avvenuto solo dagli anni ’90. Come si definiva prima l’immaginario collettivo? Fondamentalmente lo si
chiamava direttamente mitologia oppure memoria condivisa oppure identità collettiva. Abbiamo due
grandi ondate di studi sull’identità collettiva: una degli anni 20/30 e un’altra degli anni 60.
C’è identità collettiva quando un gruppo condivide un modello di comportamento, di valori, di relazioni e lo
condivide attraverso la condivisione di un insieme di narrazioni o di metafore, di storie finzionali che sono
apprese e rielaborate sia attraverso l’esperienza primaria cioè la famiglia, gli amici, sia attraverso
l’esperienza secondaria, quindi le istituzioni (scuola) o attraverso insegnamento religioso, o attraverso la
politica, e l’esperienza terziaria che è il campo che più si è sviluppato in tempi più recenti, cioè la società dei
consumi.
Cos’è l’identità collettiva? E’ un insieme di comportamenti, di modelli, di lavori, di relazioni che noi
apprendiamo sia nella nostra formazione primaria, che secondaria, che terziaria, condividendo insieme
delle narrazioni, delle metafore che hanno un carattere narrativo.
Il nostro paese è dotato di un’identità collettiva che varia da generazione a generazione in base al modo in
cui viene rielaborato. Il più importante tra questi storici è Jacques Le Goff, teorico importante dell’identità
collettiva e della memoria collettiva.
C’è anche la possibilità di ragionare sull’identità collettiva dal punto di vista antropologico. Per un
antropologo l’interessante di un’identità collettiva di un gruppo è quell’insieme di miti. Riti, pratiche,
credenze che tendono a riprodursi all’interno di una stessa collettività.
Il capofila di tutta la teorizzazione antropologica sull’identità collettiva fu negli anni 20 Marcel Mauss,
antropologo francese, che era allievo del grande sociologo Émile Durkheim.
Il processo di costruzione dell’identità collettiva è basato soprattutto sulla memoria collettiva storia
come sistema in cui noi iniziamo a condividere un sistema di memoria. Nessuno dei grandi codici sociali,
come quelli che regolano la vita pubblica e politica, è pensabile senza una memoria storica: fare politica
senza riferirsi ad una dimensione storica è possibile, ma molto rischioso, significa un completo
assorbimento della sfera politica del presente, e la negazione di un
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