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>>LA PIUMA IN CARBONE
Nel pubblico ci sono i soliti creduloni e i disperati della fede, ma anche due giovani ragazzi che non si
lasciano ingannare e vogliono smascherare il gioco dell’imbroglione, così decidono di organizzare uno
scherzo ai suoi danni per farsi beffe di lui; perciò mentre il frate è a pranzo, si recano nel luogo dove egli
alloggia per sottrarre la piuma che aveva promesso di mostrare.
Il frate non accorgendosi che le bisacce erano state toccate, iniziò la predica e con enfasi fece accendere due
grossi ceri. Quando aprì la cassetta che doveva contenere la penna, vide i pezzi di carbone che erano stati
piazzati li dai due ragazzi, e immediatamente alzò le mani al cielo ringraziando Dio e iniziò a inventare
qualcosa per ingannare i fedeli.
In effetti, come per i ciarlatani, questi frati dovevano essere dotati di prontezza di parole, inventiva,
recitazione e soprattutto Improvvisazione (d’altra parte ciarlare oggi significa proprio “parlare a ruota
libera” e “persuadere con le bugie”).
Ciò che viene offerto in vendita agli incroci delle strade e dai banchi dei mercati si tratta comunque di
confezioni dell’immaginario: seducenti maschere, che nascondono un contrabbando di mere fantasie
mercificate. E’ sullo sfondo d’un simile contesto, che va collocata l’attività di quanti si propongono al
pubblico entro una dimensione oscillante tra esercizio della medicina, vendita di prodotti farmaceutici e
forme di imbonimento.
Se il bateleur di Rutebeuf ostenta la propria capacità di abbindolare il pubblico con la parola solo per
divertirlo (e, di conseguenza, per renderlo più disponibile all’acquisto d’una medicina comunque efficace), il
frate disegnato da Boccaccio risulta pervicacemente impegnato a ingannare e a deridere capziosamente la sua
audience, per carpirne “limosine” truffaldine. Entrambi si valgono di copioni che sembrano ricalcare e
variare la falsariga d’un modello comune. Ma appartengono a settori diversi (benché in qualche modo
contigui) della società medioevale tra Due e Trecento. In particolare, l’autentico o sedicente monaco del
Decameron va ascritto senza ombra di dubbio a quella particolarissima famiglia di reali o presunti ‘religiosi’
vagabondi i cui esponenti risultano, secondo Masuccio Salernitano, ancora intenti alle stesse pratiche
sacrileghe.
Masuccio Salernitano
Masuccio Salernitano è ricordato esclusivamente come autore del Novellino, raccolta di cinquanta racconti
satirici e grotteschi, pubblicata peraltro postuma nel 1476.
Il testo del Novellino, impregnato di forte carattere anticlericale, fu il primo a essere inserito nella lista dei
libri proibiti promulgata dalla “Santa Congregazione dell'Inquisizione romana.” Denuncia apertamente il
comportamento dei frati nella prima trama, che fa riferimento agli ecclesiastici poco ortodossi o corrotti, o le
cui azioni sono meritevoli di scherno: protagoniste sono quindi figure del clero, quasi sempre frati (come
“Frate Poltrone”), che Masuccio critica per la loro poca devozione ai voti: essi infatti ingannano per
soddisfare i loro desideri carnali o arricchirsi, ma non sempre riescono nei loro intenti.
In realtà si accontentano di ricevere qualsiasi cosa in dono, cibi, vestiti, spiccioli, e viaggiavano in tutta Italia
vivendo solo di elemosina: il 1300 e il 1400 sono invasi da questo fenomeno.
Sfruttare la fede era diventato semplice dal momento che la chiesa aveva dichiarato che fosse un OBBLIGO
dare assistenza ai più poveri: i cristiani che non prestavano soccorso commettevano un PECCATO. I
“parassiti” del sistema che abusavano della carità venivano principalmente da Spoleto e Cerreto, e poiché si
erano diffusi piano a piano in tutto il continente, avevano destato i sospetti del popolo cristiano che iniziava a
diffidare di qualsiasi povero mendicasse il loro aiuto. La chiesa fece rilasciare, quindi, per tutelare i
bisognosi e controllare il fenomeno, delle certificazioni che dividessero gli sfruttatori dai poveri veri e
propri; erano delle “lettere di accompagnamento”, delle “patenti” per mendicare, ma col fenomeno nacque
in brevissimo tempo il modo per aggirare il sistema, ovvero le falsificazioni dei certificati.
Piero Camporesi, nel 1973, scrisse un volume intitolato “Il libro dei vagabondi” che raccoglieva tutti i
documenti riguardanti i cerretani, che non possedevano una dimora: “Si trattava di falsi questanti, falsi
medici ospedalieri, falsi eremiti, falsi predicatori, falsari di lettere e patenti e reliquie e falsi pellegrini”.
All’epoca i pellegrini migravano da città in città ed era obbligo della popolazione assistere questi vagabondi
offrendo loro un tetto per qualche tempo, del cibo, dei vestiti e tutto ciò di cui avevano bisogno.
La “barbenteria” era ormai dilagata e ci pensa Teseo Pini a descrivere e studiare i comportamenti di questi
falsi vagabondi: egli ci spiega che alcuni studiavano per mesi come recitare la parte di chi stava soffrendo di
un attacco epilettico; si facevano chiamare burattini per le loro movenze simili a quelle di un pupazzo mosso
da dei fili invisibili. trucchi teatrali// intrattenitori veri e propri
I ciarlatani erano concorrenti di questi elemosinatori.
C’era solo una differenza.
I ciarlatani sfruttano la salute.
in
I frati, il senso di colpa. quel tempo, dove tutti credevano alla vita oltre la morte, il male che colpiva
l’anima era molto più grave del male che colpiva il corpo.
I primi, in ultima analisi, agivano in buona fede, i secondi erano degli speculatori.
Da san Francesco in poi si dividono due classi di fedeli:
1) I Conventuali: stavano dalla parte del papa, volevano un’istituzione gerarchica, un’organizzazione
concreta e organica.
2) Gli Spiritualisti: senza conventi ma con case comuni, senza gerarchie: erano chiamati eretici e si unirono
ai cerretani.
Gli sciamani curavano corpo e mente, ma nell’epoca che stiamo analizzando queste due dicotomie venivano
trattate da due entità separate:
la salute del corpo (CIARLATANI)
la salute della mente (CERRETANI)
Le tre “FARSE FRANCESI”
I molti incastri farseschi si accentrano intorno al motivo del medico-venditore di piazza, dando vita a
divagazioni più ampie (tanto da occupare gran parte del dramma sacro entro cui si sviluppano).
Nel 1800 vengono stipulate, infatti, alcune testimonianze sulla convivenza tra “artisti di strada” e “cerretani”,
si tratta di brevi componimenti teatrali di sapore comico, ma particolarmente preziosi per delineare il nostro
profilo storico e culturale.
Per più di 100 anni, in Francia saranno due le associazioni (per così dire) che si occuperanno
dell’intrattenimento:
1) La “iuventutes” che organizzava feste religiose e laiche, e spettacoli preparati da gruppi di giovani
(1400)
2) Gli “operai” convegni di lavoratori in cui si trattavano argomenti più seri e si discuteva di ideali
comuni
Ma erano gli “artisti di strada” a coinvolgere la moltitudine.
I testi che ci sono giunti appartengono ai primi del 1500 ma questi titoli venivano citati già dal 1400.
Consideriamo 3 esempi delle Farse Francesi.
La prima: ”
“la Farce nouvelle très bonne et fort joyeuse à trois personnages
Il titolo intero è “Farce nouvelle très bonne et fort joyeuse à trois personnages d’UN PARDONNEUR, d’UN
TRIACLEUR ET d’UNE TAVERNIERE” ed è tutta giocata sul confronto pubblico e sullo scontro
concorrenziale tra un frate ‘cerretano’ e un venditore di rimedi contro i morsi dei serpenti. In questa prima
farsa vediamo come protagonisti 3 personaggi
1)“le Pardonneur” “il perdonatore” è il primo personaggio che appare nel racconto. Il suo compito è
falso, quello di assolvere i peccati delle persone che si confessano a lui, in realtà egli era
simile a legato alla vendita delle indulgenze, e quindi ai cerretani. Molti “perdonatori”
frate cipolla eseguivano il loro compito in buona fede, altri, come in questo caso, preferivano
=Cerretano derubare dei malcapitati.
2)”Vendeur “il venditore di teriaca” è il secondo personaggio che appare nel racconto. Il suo
thériaque” compito è quello di vendere la teriaca, un “anti-veleno”. Come nel primo caso,
esistevano gli onesti e i disonesti, lui era uno di questi.
falso
=Ciarlatano
3) “la femme de “La donna dell’osteria” è il terzo e ultimo personaggio del racconto. Nell’antichità
l'auberge” l’osteria era un punto di ritrovo per i vagabondi e in poco tempo, dal 1500, diventa
un luogo malfamato e frequentato per la maggior parte da ciarlatani, cerretani, etc.
La farsa si apre in un paesino della Francia probabilmente settentrionale, molto rurale e umile.
1) Il “perdonatore” porta con sé una cassetta dove tiene le sue reliquie superbe e decide di mettersi a
mostrarle. Si preoccupa ben presto di affermare la propria autenticità come frate: <<sante parole di pace
abbiano dimora tra di voi, grazie alle sante reliquie che si trovano qui dentro.>>, nonostante tenti di
indossare le vesti da “buon monaco” sembra più un ciarlatano che un cerretano.
<<Signori, è un po’ di tempo che non venivo a farvi visita. Ora sono venuto a portarvi letizia e gioia.>>;
all’epoca i “perdonatori” visitavano i luoghi periodicamente, quindi lui si scusa della presunta assenza e
cerca di diffondere la felicità, liberandoli dai peccati.
Le reliquie: <<ho qui con me le orecchie di San “Cogligaudo” confessore.>>. Non è difficile percepire che
il santo in questione è frutto della fantasia del “frate” (cogli+gaudo= uno a cui piace divertirsi). Ma ha anche
altre orecchie con se, quelle della sorella “Santa Pelosa” <<questi due fratelli compirono moltissimi
miracoli. Intendo raccontarvi le loro vicissitudini e i prodigi che hanno compiuto in terra d’Africa.>> Egli
si compiace dei giochi di equilibrismo che pone tra l’edificante e l’osceno: il primo “santo” aveva compiuto
il miracolo di aver fatto abortire una donna ebrea del Nord Africa, sua sorella invece quello di aver ridato la
verginità ad una donna che era stata con molti uomini. Il singolare predicatore della farsa ne deride credenze
ed attese attraverso giochi di parole che miscelano e confondono la sfera del sacro con crude materie
sessuali.
La presentazione-imbonimento (con cui il frate esordisce) sembra riprodurre fedelmente abitudini e forme
espressive d’un autentico e serio pardonneur itinerante: il saluto alla