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DIRITTO CONSUETUDINARIO
PRINCIPI
RICONOSCIUTI DALLE
NORME NON NAZIONI CIVILI
GENERALI OBBLIGHI ERGA
OMNES
JUS COGENS
I trattati
Il diritto dei trattati è il diritto che sancisce la prevalente relativit{ dell’ordinamento
internazionale, quindi gli obblighi non hanno portata generale ma sono invece costruiti come
vincolo relativo tra due o più Stati-> bilateralismo o multilateralismo. Il fondamento del diritto dei
trattati è la regola del pacta sunt servanda: non è una regola relativa ma è un principio generale
del diritto internazionale derivante dal diritto consuetudinario.
Si può vedere il pacta sunt servanda come un imperativo di tipo formale che ci dice che
dall’incontro della volont{ degli Stati discendono effetti obbligatori (sul piano internazionale). È
un imperativo formale perché non entra nel merito dei contenuti di questo incontro di volontà e
sulla modalità con cui gli accordi sottoscritti e poi ratificati dagli Stati debbano poi essere eseguiti.
Il principio di buona fede. C’è un imperativo formale che in qualche modo affianca
un imperativo sostanziale, che è il principio di buona fede. Il principio di buona fede (regola
sostanziale) pervade tutto il settore del diritto dei trattati (dalla loro negoziazione e conclusione
quando essi vengano ad esistenza; attraverso la loro interpretazione; alla loro fase esecutiva fino
alle vicende che attengono alla modificazione o all’estinzione dei trattati stessi). Soprattutto nella
fase esecutiva si vede il congiunto operare del principio pacta sunt servanda come imperativo
formale e del principio di buona fede come regola sostanziale, perché è proprio la buona fede che
ci da il metro della buona esecuzione del trattato. Senza l’imperativo sostanziale della buona fede
anche il pacta sunt servanda si svuota di contenuto. Questo è particolarmente vero nell’ambito
del diritto internazionale in cui manca un quadro di principi generali dell’ordinamento in cui
incardinare la volontà che gli Stati esprimono attraverso il trattato. La buona fede dovrebbe
svolgere un ruolo particolarmente forte in un ordinamento come quello internazionale che non ha
molti punti di appiglio per interpretare correttamente la volontà degli Stati, di dare un senso
oggettivo alle pattuizioni. I trattati sono in un vuoto normativo, quindi non hanno la possibilità di
riferimento a principi generali dell’ordinamento. Il principio di buona fede ha quindi un ruolo
importante nei trattati internazionali anche se sovente viene disatteso. Questo perché le basi del
diritto internazionale sono estremamente esili perché si fonda su dinamiche tra Stati sovrani che
rivendicano continuamente la propria sovranità.
Il contenuto dei trattati . I trattati sono il regno della volontà sovrana degli Stati: non
ci sono, se non limitatissimi, vincoli ai contenuti del trattato, proprio perché la volontà degli Stati
è originaria nel diritto internazionale e non derivata. C’è uno spazio di discrezionalit{ nel
determinare il contenuto del trattato, che è pressoché illimitato. L’unico limite che si può
ravvisare è il limite etero-imposto dello ius cogens, ovvero quel piccolo nucleo di diritto
irriformabile che viene salvaguardato come baluardo di una serie di principi imperativi. È un limite
più teorico che pratico. Talvolta i trattati sono segreti, sono intese che non appaiono quindi non si
possono nemmeno rilevare la nullità o violazione di jus cogens. Questa libertà nel determinare il
contenuto dei trattati rendono questi uno strumento estremamente duttile per uniformarsi alle
varie esigenze che si profilano nel corso del tempo. Facendo un paragone con l’ordinamento
interno, l’autonomia privata non ha tutta questa libert{ nel determinare il contenuto di un
contratto in quanto deve seguire tutta una serie di limiti (rispetto del buon costume e dell’ordine
pubblico, tutela del contraente debole).
Gli effetti dei trattati. Non c’è la possibilit{ per i trattati di esplicare degli effetti nei
confronti di soggetti terzi. Ciò non toglie che si possano avere degli effetti indiretti in capo a terzi,
specie se si tratta di attribuzione di diritti o di posizioni di vantaggio. Uno Stato non può però
essere vincolato a essere parte di un trattato se non c’è la sua volont{. Se c’è un giovamento
indiretto è invece consentito produrre effetti su terzi se questi ne da acquiescenza.
I trattati possono costituire lex specialis rispetto alla consuetudine: gli Stati possono voler porre in
essere una disciplina differenziale rispetto alla consuetudine; è qualcosa che il singolo Stato non
può fare ma lo possono fare due o più Stati che concordemente decidono di seguire una disciplina
differenziale facendo un accordo di deroga. C’è la presunzione che se alcuni Stati realizzano e
fanno entrare in vigore un trattato con contenuto differenziale rispetto alla consuetudine, questo
sia lex specialis. In caso di contrasto quindi, tra la consuetudine e il trattato, trova applicazione
quest’ ultimi secondo il principio di specialità, che coinvolge soltanto i soggetti parte del trattato.
Nel caso di diritto dei trattati abbiamo un buon esempio di codificazione, la quale è essa stessa un
trattato che entra in vigore a seguito di un certo numero di adesioni e a un certo numero di
ratifiche. La codificazione in materia di trattati è una codificazione autoreferenziale. La
Convenzione di Vienna del 1969 è una fedele rappresentazione delle regole del c.d. diritto dei
trattati, cioè tutte le regole che presidino la interpretazione, applicazione, esecuzione, modifica,
estinzione dei trattati. È un nucleo di diritto consuetudinario che viene riprodotto in un testo
codificato, che ha un alto livello di partecipazione degli Stati a che comunque, essendo
fedelmente riproduttiva del diritto consuetudinario, può essere considerata un diritto di portata
generale. Nella Convenzione di Vienna si trova una determinazione chiara del campo di
applicazione: come stabilisce l’articolo 3, si applica esclusivamente ai trattati tra Stati e
rimangono esclusi i trattati tra Stati e organizzazioni internazionali o trattati fra organizzazioni
internazionali stesse. La Convenzione di Vienna del 1986 provvede a disciplinare questi ambiti,
che sono al di fuori della Convenzione del 1969. Noi ci occuperemo della Convenzione del 1969.
La Convenzione di Vienna. La prima parte (dall’articolo 6 in avanti) riguarda la
conclusione degli accordi internazionali. La conclusione postula che si individuino i soggetti che
hanno il potere di concludere un accordo in nome dello Stato. Ogni Stato ha la capacità di
concludere( manifestazione della soggettività internazionale). Quanto poi ha individuare i
soggetti che possono condurre la fase della negoziazione poi la fase della conclusione soccorre
l’articolo 7.
L’articolo 7 parla del c.d. pieni poteri, che sono l emblema del potere di spendere la volontà dello
Stato e quindi anche la sua attitudine a vincolarsi sul piano internazionale. Sul piano
internazionale il vincolo non è legato necessariamente al momento della firma del trattato ,a è
rimesso ad una fase ulteriore in cui lo Stato rinnova la sua volontà di obbligarsi attraverso la
ratifica. Già solo per negoziare in nome dello Stato per arrivare al momento della firma bisogna
verificare che i soggetti abbiano i pieni poteri. I pieni poteri possono essere di due tipi:
espliciti-> sono rappresentati da un documento. Gli ambasciatori si dotavano di
pergamene del sovrano per negoziare al di là dei propri confini.
impliciti-> sono riconosciuti, alla stregua delle regole di diritto interno, a una serie di
soggetti che hanno maggior rilevanza dal punto di vista dei rapporti internazionali
(Presidente della Repubblica, Capo del governo, Ministro degli esteri). Al vertice delle
missioni diplomatiche ci sono gli ambasciatori, che rappresentano l’articolazione dello
Stato italiano del ministero degli esteri nei rapporti con gli altri Stati; e anche i delegati
dell’Italia rispetto alla partecipazione di convegni internazionali e presso organizzazioni
internazionali. Si presume che in capo a questi soggetti sussistano i pieni poteri.
Le fasi della conclusione di un trattato. Il trattato si conclude in 4 fasi:
C’è una fase di negoziazione. È il momento in cui i plenipotenziari si siedono a un tavolo,
magari in una grande conferenza, in cui si lavora sul testo del trattato, in cui si tiene conto dei
vari punti di vista; ci sono delle verbalizzazioni di queste conferenze che rappresentano i lavori
preparatori del trattato ma anche il vero significato che un certo Stato vuole dare a un
concetto rispetto ad un altro. In questa fase non esiste alcun vincolo in capo agli Stati se non
quello generalissimo derivante dal principio di buona fede, che è quello di negoziare
costruttivamente; questo serve a evitare che uno Stato mandi il suo negoziatore solo per fare
dell’ostracismo rispetto alla possibilit{ di addivenire a un testo finale.
L’atto che chiude il momento della negoziazione è l’atto di firma: non ha generalmente il
valore di obbligare lo Stato ma ha il valore di cristallizzare il testo del trattato. Con la firma
apposta dai plenipotenziali, si chiude la fase della negoziazione dato che i negoziatori hanno
trovato una formulazione condivisa, che risponde alle indicazioni che ciascuno ha ricevuto dal
proprio governo di origine. La firma non comporta alcun vincolo, salvo casi particolari (deve
essere reso noto), perché il plenipotenziario deve tornare dal suo Stato di origine riportando
l’esito della Conferenza e il risultato della negoziazione, cioè il trattato firmato.
La fase della ratifica è la fase in cui ciascuno Stato prende visione del trattato firmato e pone
in essere l’evidenza di una volont{ ad obbligarsi. In un trattato multilaterale con una
partecipazione più ambia e che prevede l’ingresso a posteriori di altri Stati anche se non hanno
partecipato alla negoziazione ( trattati multilaterali aperti), è necessario un certo numero di
ratifiche per venire in essere. Dal punto di vista formale uno Stato che ha firmato non è poi
obbligato a ratificare. Ci può quindi essere un cambio di posizione dello Stato, che può
decidere di non ratificare.
La fase dell’entrata in vigore può avvenire in un momento molto successivo alla ratifica
proprio per l’attesa di tutte le ratifiche necessarie. Dipende quindi da un numero minimo di
ratifiche.
La ratifica cambia di Stato in Stato. entrano in gioco dinamiche interne con cui lo Stato manifesta
la propria volontà a vincolarsi. A questa manifestazione corrispon