vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
WILLIAMSON JENSENMECKLING
Le principali critiche alla teoria di e riguardano la
concentrazione delle cure del manager sui diritti dei soli azionisti e il riconoscimento di una
motivazione esclusivamente economica che porta a far divergere gli interessi dell’agent da quelli del
capital gain,
principal. Il fine principale degli azionisti è il che comporta l’aspettativa di far
crescere il valore dell’azione in un determinato periodo di tempo; puntano, inoltre, all’aumento dei
dividendi. Il manager, quindi, anche in periodi di crisi potrebbe essere spinto ad effettuare
operazioni contrarie al interesse dell’azienda, a non reinvestire pur di mantenere inalterati i
dividendi (se non viene alimentato un flusso di dividendi costante l’azionista potrebbe vendere i
titoli facendo diminuire il valore dello stesso sul mercato oppure sfiduciare il manager).
Nella prima critica si sostiene che intorno all’impresa ruota una serie di soggetti che contribuiscono
al raggiungimento dei fini aziendali e che hanno diritto a raggiungere i propri obiettivi; nella
seconda critica si sottolinea la mancata dichiarazione, all’interno della teoria, di altre motivazioni
(Ad esempio: l’altruismo, le gratificazioni morali, l’onorabilità dei propri comportamenti, che
rientrano nella razionalità dell’individuo). stakeholder theory,
A questa teoria è stata però affiancata una teoria del tutto nuova, la partendo
dal principio che il manager deve tenere conto non solo degli interessi degli azionisti (shareholders),
ma anche di tutti i soggetti che partecipano alla vita aziendale, sia interni che esterni (stakeholders).
Il vero nodo della governance non si concretizza nel risolvere il problema di far coincidere gli
interessi dell’agent con quelli del principal, ma si sposta sulla questione morale, ovvero sulla tutela
degli interessi più ampi sul terreno sociale e comunitario. Ciò che caratterizza questa teoria è la
considerazione dell’agent quale destinatario di un rapporto multifiduciario, con tutti gli stakeholders
aziendali. Tuttavia, il potere di influenzare la gestione non è distribuito ugualmente tra tutti i
partecipanti, bisogna prendere in considerazione non solo la natura del soggetto, ma anche gli eventi
che caratterizzano la vita dell’impresa (non è detto che al vertice di una ipotetica piramide degli
stakeholders vadano sempre collocati gli azionisti).
MITCHELL, AGLE e WOOD,
Secondo la rilevanza si basa su tre elementi:
legittimazione
La a rivestire il ruolo (il gruppo preso in considerazione deve essere
legittimato a rappresentare quel determinato interesse);
potere
Il esercitabile nei confronti dell’impresa;
L’urgenza dell’istanza rappresentata e quindi dell’interesse (che può variare, basti pensare
che oggi la sicurezza è l’interesse più tutelato).
In altri termini la natura di stakeholders rispetto all’impresa e il grado d’importanza assunto
sarebbero collegati a questi tre attributi. Nel rapporto con gli interlocutori il manager deve essere in
grado di percepire quali sono gli interessi maggiori verso l’impresa e quali conseguenze possono
verificarsi sugli interessi meno pressanti.
L’idea di fondo, dunque, è che la teoria degli stakeholders non può che essere interpretata in modo
dinamico, dato il fatto che nei diversi momenti di vita dell’impresa possono mutare i rapporti tra i
vari soggetti e anche sorgere nuovi stakeholders.
Ad esempio, possiamo pensare alla nascita di un’associazione fra consumatori oppure alla
creazione di un’autorità di sorveglianza su certi mercati, che diventano degli interlocutori per
l’impresa.
Il dinamismo della teoria è giustificato anche dal fatto che i rapporti non sono tutti bilaterali (e
quindi indipendenti). Spesso, infatti, i collegamenti si ampliano e possono assumere un carattere
multilaterale.
Bisogna innanzitutto classificare gli stakeholder, partendo dalle definizioni dottrinali. In teoria, si
restrittiva
sono affermate due interpretazioni: una che vede come interlocutori esclusivamente chi
intrattiene rapporti contrattuali con l’impresa e corre dei rischi; la seconda interpretazione, più
estensiva, ricomprende in questo gruppo tutti coloro che possono essere influenzati e possono
influenzare le decisioni aziendali. STAKEHOLDER:
Possiamo inoltre distinguere altre cinque definizioni del termine
coloro che sono condizionati dall'impresa (Rehnman, 1964; Ahlstedt, Johnukainen, 1971);
coloro che condizionano e sono condizionati dall'azienda (Freeman, Savage, 1991 Starik,
1994);
coloro che hanno un rapporto giuridico forte con l'azienda (Evan Freeman, 19BB; Carroll,
Clarkson, 1995, Donaldson Preston, 1995);
coloro che hanno un rapporto dl relazione con azienda (Thompson, 1991 Hill, Jones, 1992;
Brenner, 1993; Nasi, 1995);
coloro che partecipano al processo dl creazione del valore (Clarkson, 1994).
primari secondari,
L’ultima distinzione possibile è quella tra stakeholder e che prende corpo nelle
public company e comprende gli stessi proprietari dell’impresa. L’imprenditore non può essere
considerato un portatore di interesse poiché si pone al centro dei rapporti interni ed esterni
all’impresa. Dovrà essere, quindi, egli stesso a trovare l’equilibrio tra l’interesse personale e quello
dei vari soggetti coinvolti.
L’altro punto da approfondire riguarda l’inserimento dei “concorrenti” nel gruppo di portatori di
interessi. Difatti, il dubbio principale riguarda l’aspetto di condivisione dei rischi e dei sacrifici e
quindi dei benefici derivanti dall’attività d’impresa. Non è possibile immaginare una ripartizione
dei proventi estesa anche ai concorrenti. Bisogna però prendere in considerazione anche altre
situazioni, in cui gli accordi e le collaborazioni tra competitori portano all’adozione di comuni
programmi di ricerca, di azioni consortili e di partnership.