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Quindi in realtà noi abbiamo solo segni ed il segno nasce quando qualcuno attribuisce ad una
qualche configurazione un significato. In questo schema manca il mondo reale o referente.
Triangolo: referente – significato – significante.
- Interpretante: è il significato attribuito dall’organismo interprete che risponde alla pressione
dell’ambiente;
- Segno: è determinato da un oggetto, e determina un’idea di un interpretante;
- Oggetto: è l’agente scatenante della semiosi: oggetto naturale, artefatto, evento, ecc.
Più fruttuosa è la definizione di Peirce
Nella sua terminologia segno si può dire anche representamen.
Il segno secondo Peirce: “un segno è qualcosa che sta per qualcuno in luogo di qualcos’altro, sotto
certi aspetti o capacità”. Centrali sono quindi il ruolo dell’interprete e le condizioni del rimando.
Il segno è dunque basato su relazione non biadica, ma triadica. Secondo la definizione di Peirce:
- Qualcosa: significante ;
- Qualcuno: interprete;
- Qualcos’altro: significato o referente;
- Qualche aspetto o capacità: ground (G), ovvero lo sfondo.
Il segno è riconosciuto da qualcuno sulla base di una sua scommessa pragmatica.
Esempio Robinson Crusoe: Robinson girovagando per l’isola vede e riconosce un’impronta la quale
gli permette di pensare di non essere più solo. Incontra, infatti, un altro essere umano che però è
tutt’altro che interessato a comunicare perché è uno schiavo il cui nome è Venerdì. In questo
esempio possiamo notare come il segno non sia prodotto sotto la responsabilità del suo autore, e
questo ci porta a dire che noi lasciamo continuamente segni anche senza rendercene conto. In
questo esempio l’impronta è il significante, l’essere umano/primitivo è il significato, Robinson è
l’interprete. Esistono però talvolta anche dei segni senza soggetto, ad esempio noi andando in
montagna vediamo una crepa sul bordo del sentiero e non vi mettiamo il piede perché pensiamo che
sia l’indizio di un possibile fenomeno franoso. Questo segno ha sicuramente un significato molto
forte ma se ci pensiamo non è stato prodotto da nessuno.
Noi leggiamo il mondo come intreccio di segni e cogliamo i fatti al fine di trasformarli in indizi utili
per altri fatti: in termini semiotici si parla di processo di abduzione che è un processo di inferenza,
come anche la deduzione e l’induzione.
- Abduzione: ragionamento rischioso perché implica un salto logico piuttosto ardito. Il
termine abduzione deriva da una parola inglese che significa letteralmente scommessa e
consiste nel fatto che noi nel momento in cui ci troviamo di fronte ad un qualcosa di nuovo
proviamo a scommettere costruendo per quanto possibile la regola generale di cui questo
qualcosa possa esserne soltanto un esempio (es. se noi andiamo in montagna e vediamo un
segno sulla neve che corrisponde all’impronta della lepre e dopo vediamo un segno simile a
quello appena visto scommettiamo che sia anch’esso l’impronta di una lepre). La nostra
scommessa può essere confermata o smentita dalle diverse circostanze e l’attore principale
in questo caso è chi riceve il segno in quanto il soggetto prende un qualunque fenomeno che
lo colpisce e lo interprete come se fosse significativo e dispone le altre persone come
riceventi di quel messaggio. È fondamentale anche la localizzazione spaziale: il qui viene
indicato con una freccia e noi interpretando questa freccia stiamo facendo una scommessa di
abduzione che, in questo caso, non richiede sforzo.
- Deduzione: il ragionamento deduttivo non comporta alcun accrescimento del sapere. La
deduzione consiste nel fatto che io posseggo delle conoscenze e da queste deduco altre cose
(es. per risolvere un problema di geometria io ho dei dati a disposizione).
- Induzione: ci consente di allargare orizzontalmente la nostra conoscenza del mondo e la sua
essenza è la generalizzazione. L’induzione ci fa supporre che tutta una serie di fenomeni che
si sono sempre ripetuti continueranno a ripetersi (es. sorgere del sole al mattino/il cadere di
un oggetto verso il basso etc.).
Secondo Saussure per ciò che concerne il linguaggio verbale abbiamo a che fare con:
- un concetto;
- una immagine acustica.
Una volta che ho identificato il segno quello che conta non è più quel singolo segno ma la tipologia
di segni all’interno della quale è inserito. La parola casa, ad esempio, ognuno la pronuncia in
maniera diversa perché si tratta di una immagine acustica con determinate caratteristiche, oltre al
fatto che il concetto corrispondente a casa è molto vago ma questo non importa perché ciò che conta
è il grado di generalità che regge tale tipo di comunicazione. Il funzionamento della comunicazione
avviene, infatti, per la maggior parte dei casi in maniera generica e non specifica. Agisce in questo
caso quello che spesso è stato chiamato triangolo del segno nel quale si possono distinguere un
significante, un significato ed un referente. Ci sono due grandi tradizione che discutono di questo
triangolo, quella linguistica da una parte e quella filosofica dall’altra.
Non esiste una causalità che vada dal significante al significato e viceversa in quanto il rapporto tra
significante e significato è un rapporto di presupposizione reciproca: non esiste un significante che
non significhi (un significante che non ha la capacità di significare, infatti, non è un significante).
Noi possiamo comunicare proprio perché abbiamo in comune il fatto di poter identificare tutta una
serie di cose: ci sono significanti condivisi ed è questo fatto che mi consente di avere una continuità
nei giudizi: il fatto che ci siano significanti condivisi, infatti, mi rassicura sulla mia stessa
percezione. Tutto ciò che è in qualche modo continuo, verificabile e oggettivabile è anche pubblico.
Noi siamo sì capaci di indicare le cose ma siamo anche in grado di conservare la visione del mondo.
Peirce sostiene che il pensiero è fatto di segni in quanto ciò che conta veramente è che noi siamo
immersi in un mondo all’interno del quale siamo coordinati; il linguaggio non funzione esibendo le
cose ma funziona arrivando alle cose attraverso i concetti e per questo il linguaggio è sempre
equivoco, oltre ad essere molto meno complesso del mondo. Si è sviluppata una tendenza
potentissima, soprattutto nella cultura europea, volta alla costruzione di linguaggi perfetti tra il ‘500
e l’800. La filosofia, ad esempio, si propone infatti di correggere i difetti della lingua e di risolvere i
problemi creati dal linguaggio sbagliato ed inadeguato. Non ha più molto senso mostrare le cose
con un occhio ingenuo e la stessa cosa accade anche nella narrativa con Joyce e Proust.
È molto difficile passare dall’ambito dei segni a quello della realtà, anche se quando noi traduciamo
ci stiamo muovendo sempre all’interno di segni; è difficile uscire dall’ambito del linguaggio per
spiegare che cos’è un albero ad esempio; anche i testi sono intessuti di linguaggio.
Una volta che si entra in un mondo costituito interamente da segni non è più possibile uscirne e
tutto questo comporta grandi problemi riguardo al dilemma della traduzione.
Come faccio a tradurre dei testi senza perdere il loro potere e la loro intensità?
Ritorniamo a Perice: La semiosi illimitata
L’idea è che noi abbiamo uno oggetto che è rappresentato da un segno che Peirce chiama
representamen, ma il segno funziona solo se produce degli interpretanti, ovvero altri segni che si
riferiscono allo stesso oggetto. Un segno è quindi tale e funziona solo se è produttivo.
Pensiamo, ad esempio, al fatto che il professore si propone di presentarci i segni secondo Peirce: se
questi segni funzionano e giungono alla nostra mente noi li interpretiamo, li scriviamo sul nostro
foglio di appunti e poi ne parliamo all’interrogazione e quindi li riutilizziamo più volte.
Ciò che conta non è la dimensione statica del segno ma la sua produttività, ovvero quella che Peirce
chiama Semiosi, cioè l’attività di significare ed il fatto che il segno venga continuamente riscritto.
Se vogliamo tenere vivo il mito di Ulisse possiamo creare un videogames o un fumetto ad esempio.
La semiosi è illimitata perché continua a funzionare praticamente all’infinito.
Perché la Coca-Cola continua a fare la pubblicità nonostante sia conosciuta da tutti?
Coloro che stanno dietro a questo grande brand hanno capito che bisogna riformulare più volte lo
stesso concetto in quanto solo continuando a produrre nuovi segni della stessa cosa essa rimane nel
processo di semiosi. L’attività culturale e comunicativa consiste, infatti, non nell’inventarsi cose
nuove ma nel riproporre, nel riformulare e nel rialimentare lo stesso processo di modo che vengano
prodotti nuovi interpretanti (gli interpreti sono le persone che interpretano mentre gli interpretanti
sono i nuovi segni, ovvero quei segni che interpretano lo stesso oggetto). Tutto ciò avviene su di
uno sfondo (ground) che rappresenta l’elemento dinamico della situazione.
Bloom, che è fra i più influenti critici letterari statunitensi e professore emerito all’Università di
Yale, parla di Mis-reading e di Angoscia dell’influenza.
Lezione 11
L'impronta può essere o non essere considerata un segno nel senso che tutti noi lasciamo impronte:
l’impronta dei piedi sulla sabbia, l'impronta del nostro corpo sul divano e sul letto, l’impronta degli
odori che lasciamo sui vestiti etc. Il problema è proprio capire se alcuni segni sono arbitrari o meno.
Per questa ragione Peirce per prima cosa ha distinto i segni in tre grandi categorie:
− iconici: presenta una o più qualità dell’oggetto denotato (suddivisione in: immagini,
diagrammi, metafore);
− indicali: si trova in contiguità con l’oggetto denotato. Esempi: sintomo di una malattia
(semeiotica medica), la bandieruola che mostra la direzione del vento, il gesto di indicare. Si
parla di indici o di segni indicali in quanto esiste una contiguità fisica fra il segno e l’oggetto
indicato, oltre al fatto che c’è ad esempio una funzione indicale nelle frecce e sono indicali
tutti quei segni che sono connessi in maniera fisico-causale con il loro oggetto. Esistono dei
simboli indicali anche all’interno della lingua ad esempio le parole come oggi, io, qui etc.,
che si riferiscono non all’enunciato ma all’enunciazione;
− simbolici: si riferisce all’oggetto in forza di una convenzione. Si chiamano sim