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INTERPRETAZIONE LETTERALE
il significato ricavato dall'interpretazione della
Secondo questa idea, per essere giusta,
disposizione deve essere uguale al contenuto sostanziale del testo scritto . Questa idea
era presente soprattutto nell'800 ed era ritenuta valida per quattro motivi:
La disposizione è un testo chiaro, trasparente, intrinseco, e per questo non ha bisogno di
• un'interpretazione soggettiva
La disposizione contiene già di per sé la regola da applicare al caso concreto
• La disposizione possiede già una interpretazione; spetta al giudice estrapolarla ed applicarla,
• senza però modificarla
Al giudice è affidata una funzione meramente meccanica di applicazione.
•
Al giorno d'oggi questo metodo di interpretazione, in certi casi, viene ancora utilizzato, in quanto
garantisce due elementi fondamentali del diritto: la certezza e l'oggettività.
chiuso
In questo contesto vediamo come l'interpretazione letterale renda “ ” il diritto, e
caratterizzato dalla sola presenza di enunciati linguistici scritti ed oggettivi.
Tuttavia possiamo dire che, nel momento di applicazione concreto del testo, l'interpretazione
limitativa
letterale svolge due funzioni nei confronti dell'interprete stesso: una , in quanto esclude
indicativa
quei progetti sensati ma incongruenti con il testo stesso; e una , in quanto il testo scritto
(stiamo parlando sempre della disposizione) viene utilizzato come criterio per giudicare
l'interpretazione finale corretta o meno.
Di conseguenza, qualsiasi atto di libera interpretazione da parte del giudice, per non risultare
dopo
arbitrario, può avvenire e non prima di aver attribuito un significato “oggettivo” alla
disposizione. LETTERALISMO E ANTILETTERALISMO
letteralismo
La dottrina che sostiene l'interpretazione letteraria è chiamata “ ”.
antiletteralismo
Esiste però anche una corrente opposta, ovvero l'” ”. L'antiletteralismo, sostiene
che le disposizioni non siano chiare, ma siano, invece, vaghe e troppo astratte. Secondo gli
antiletteralisti un elemento fondamentale, dalla quale l'interpretazione non può negare, è la
contestualità.
l'antiletteralismo radicale
Troviamo poi “ ”. Quest'ultimo sostiene che la disposizione (quindi il
testo scritto) non abbia alcun valore all'interno della sentenza; e che l'interpretazione debba essere
totalmente soggettiva, libera da ogni controllo e dovuta, in particolari casi, anche alla casualità.
dottrina intermedia
Tra i due estremi. Il letteralismo e l'antiletteralismo, troviamo una , che cerca
di mediare.
Secondo quest'ultima, per ottenere una soluzione corretta alla controversia giuridica, bisogna partire
dalla disposizione per poi arrivare ad una costruzione maggiormente interpretativa.
Questa dottrina riconosce l'identità e la specificità dei testi normativi, ma afferma anche che
quest'ultimi devono essere aperti alla funzione interpretativa del giudice.
intenzionalismo
Il testo scritto è formato da tre elementi: l' (che indica l'intenzione direttiva e
letteralità
prescrittiva della norma stessa); la (indica il fatto che l'interpretazione, per essere giusta,
non deve essere completamente difforme al contenuto sostanziale della disposizione); la
contestualità (ovvero l'interpretazione deve tenere conto del contesto e della situazione sociale
delle due parti).
Le parole all'interno della disposizione non hanno alcun senso logico se prese singolarmente e senza
averle prima contestualizzate. Il giudice deve quindi avere un'ampia conoscenza linguistica e deve
decidere quale tipo di linguaggio applicare a seconda del contesto
essere bravo a
(sappiamo che esistono diversi linguaggi; quelli ordinari e quelli tecnici. Il linguaggio giuridico è
uno di questi. A seconda del tipo di linguaggio in cui vengono utilizzate, le parole assumono un
significato differente. Prendiamo in esempio la parola “positività”).
Concludendo, possiamo affermare che la giusta interpretazione non deve mai slegarsi dal contesto,
ma senza però essere troppo difforme dal contenuto del testo scritto dalla quale si interpreta le
norma da applicare a casi concreti e specifici.
IL LAVORO DELL'INTERPRETE
Precedentemente abbiamo già affermato che il testo, la lettera della disposizione rappresenta un
vincolo per il giudice, in quanto stabilisce i confine della sua attività interpretativa.
Questo rapporto che scorre tra testo (disposizione) e interpretazione coinvolge la formulazione
linguistica dei dati testuali, l'interprete stesso, l'enciclopedia giuridica (ovvero tutti quei concetti e
significati che fanno parte della cultura del diritto) e le assunzioni di fatto.
Nonostante l'attività interpretativa sia fondamentale all'interno della sentenza, non dobbiamo
testo
dimenticare che il punto di partenza, dalla quale inizia l'attività interpretativa, è sempre il . La
coerenza con quest'ultimo garantisce anche l'accettabilità e la trasparenza dell'interpretazione stessa.
Difatti il giudice deve produrre un significato, quindi una norma, che non si opponga e che sia
coerente con la fonte-atto, ovvero la disposizione, dalla quale si è partiti per formulare la decisione.
Tramite la separazione dei poteri, sappiamo che il giudice ha lo scopo di applicare concretamente la
disposizione del legislatore, garantendo così la certezza e la giustizia dell'ordinamento.
esce
In questa sua fase di concretizzazione del “segno” il giudice “ ” più volte dal testo. Questa,
distanziazione
chiamata , è una condizione fondamentale dell'attività interpretativa.
Il giudice difatti “esce” dal testo normativo in senso stretto, in quanto all'interno dell'attività
interpretativa, che conduce alla sentenza, troviamo aspetti soggettivi dell'interprete stesso, ambiti
contestuali e sociali delle parti ed i precedenti giudiziari; tutti elementi che danno vita alla decisione
finale.
Chiaro è che, l'interprete, alla fine deve sempre ritornare sul testo, verificando che la sua norma sia
coerente con quest'ultimo.
Possiamo quindi identificare il significato in un'attività multidimensionale a formazione
progressiva, suddivisa in diverse fasi. La prima fase è l'interpretazione letterale, seguono poi
elementi pragmatici (come abbiamo già detto: la soggettività, la contestualità i precedenti
giudiziari).
Molto spesso gli interpreti, nella loro fase di interpretazione, vengono spesso influenzati dalla
tradizione giuridica . Quest'ultimo è un elemento le quali caratteristiche possono variare a
seconda del giudice.
In linea generale possiamo attribuire diversi concetti al termine “tradizione giuridica”. La tradizione
può essere intesa come: un insieme stratificato di tutti gli atti normativi e interpretativi dei giudici
precedenti; l'insieme di categorie dogmatiche e teoriche nate dall'attività giurisprudenziale;
l'atteggiamento di accettabilità del diritto da parte della società, che è circondata da una cultura del
diritto intrinseca; e come un insieme di concetti e di significati custoditi in quella che chiamiamo
“memoria giurisprudenziale”.
IL PROCESSO E LE SCELTE DEL GIUDICE
processo
Il luogo materiale in cui opera il giudice e si risolvono le controversie è il . Il risultato
finale del processo è la sentenza, la decisione del giudice. a) deve
Per essere, all'interno del processo, ritenuta giusta, la decisione deve avere tre condizioni:
essere nata da un procedimento costituito dalle “garanzie processuali”; b) deve essere
caratterizzata da un accertamento veritiero dei fatti della controversia; c) il suo
elemento fondamentale, ovvero la norma, deve essere ricavata in maniera conforme
alla legge; deve avvenire una “giusta” interpretazione della disposizione.
accertamento dei fatti
In questo ambito, molto importante è l' . Esso fa si che si riesca a stabilire
se la fattispecie è integrata o meno; ovvero se il comportamento o il fatto oggetto della controversia
è disciplinato o meno dalla legge.
Possiamo quindi vedere che l'accertamento dei fatti e l'individuazione della norma sono due
elementi tra loro strettamente connessi; senza uno non esisterebbe l'altro: difatti la fattispecie esiste
se è descritte e disciplinata dalla disposizione; viceversa la disposizione nasce relativamente ad un
fatto o ad un comportamento. iter predefinito dalla legge
Il processo possiede una procedura standard, un . Esso può essere
suddiviso in tre fasi:
Accertamento dei fatti, interpretazione della disposizione e creazione della norma. In
• attività pragmatiche
questa fase rientrano tutte le compiute dal giudice, ovvero: la
valutazione dei fatti, delle informazioni della parti, dei documenti normativi utilizzabili, la
scelta della disposizione, l'interpretazione di essa e la conseguente creazione della norma la
risoluzione di eventuali antinomie.
Per svolgere al meglio la fase interpretativa, dalla quale nasce la norma, il giudice si avvale
dei metodi e degli argomenti visti in precedenza.
La decisione: essa è il risultato della precedente fase. L'elemento fondamentale della
• decisione è senza dubbio l'applicazione della norma; essa permette di collegare la
fattispecie astratta alla fattispecie concreta.
La motivazione: essa è un elemento obbligatorio ed ufficiale. La motivazione permette un
• controllo sul giudice le ragioni che hanno
. All'interno di essa devono essere descritte
indotto l'interprete a giungere ad una determinata decisione . Decisione e
motivazione sono strettamente connesse tra loro, ma non è detto che la seconda debba
obbligatoriamente contenere il percorso logico e razionale che ha avuto come risultato la
creazione della prima. Possiamo vedere che la motivazione compie due diversi tipi di
controlli: 1) interno, ovvero a favore della parti che, qualora ritenessero la sentenza
ingiusta, tramite la motivazione, è possibile impugnare la stessa sentenza davanti ad un altro
giudice. 2) esterno, ovvero verso la società che si aspetta uno standard di correttezza e di
giustizia nell'amministrazione giudiziaria.
Osservando l'iter processuale, possiamo osservare che il giudice, pur essendo vincolato dalla legge
libertà interpretativa e creativa
come già abbiamo visto, possiede una discreta . Possiede una
certa discrezionalità. Questa libertà interpretativa può essere riconosciuta in tre fasi molto
importanti del