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VOLTO E PRIMO PIANO
Primi cenni a volto e primo piano: Il volto si muove
Il cinema e il volto animato: i micromovimenti del volto come accesso all’interiorità del soggetto,
al pensiero e alle emozioni. Il volto, soglia sensibile tra interiorità e esteriorità.
La conquista del primo piano come disciplina di un eccesso. La dismisura del cinema, il gigantismo
delle immagini. Il rifiuto del primo piano nel cinema delle origini: il mostruoso, l’innaturale,
l’osceno.
-The Irwing-Rice Kiss (Edison Company, 1896) -The Big Swallow (ca. 1901)
Il volto come figura chiave del cinema, cifra dell’esperienza di prossimità psichica garantita dal
cinema. Il primo piano come figura eccessiva che oscilla tra intimità e sopraffazione (close-up e
Gros plan). La conquista della “giusta distanza”. Il ri-centramento della figura umana nel cinema
narrativo. Il corpo, punto di riferimento dello spazio filmico e della narrazione.
Il volto medusa della star:
-The Lady from Shanghai (La Signora di Shanghai, Orson Welles 1946)
Sequenza da “Ivan il terribile”, vediamo Ivan con una faccia
da pazzo perché c’è tutta una nuova teoria della recitazione
con cui bisogna costruire delle maschere tipologiche per cui
ogni soggetto rappresenta non un individuo ma un genere, in
questo caso il potere. E deve essere una faccia in grado di
incarnare quell’idea. Un tipo. Non lontanissimo dall’idea di
stereotipia che anche Hollywood va esaltando, lui però segue
anche le teorie dell’attore biomeccanico, però l’importante è
guardare questa dimensione anti naturalistica non mimetica
della recitazione.
C’è tutto un elemento figurativo di stampo medievale che lui
riprende. Ivan è il padre di tutte le Russie che ha unificato territori vastissimi. Qui c’è questa specie
di serpentone umano che va come da un santo, portano le icone e si inginocchiano quando lo
vedono uscire. Quanto esce lui è in un primo piano che quadra in diagonale quadro ha questa barba
con un pizzo che sembra proseguire con il serpente umano. Come se quei corpi non siano più corpi
ma una striscia nella neve che si congiunge con questa testa enorme.
Dentro queste figure della nuova visione, questa parola d’ordine di nuova visione se da un lato c’è il
montaggio la rivoluzione linguistica del cinema sovietico e delle avanguardie c’è anche la figura del
volto su cui altre avanguardie in particolare quelle francesi e in particolare Epstein arrivano a una
vera e propria teorizzazione. Non solo negli anni ’20 ma a lungo si è pensato che il volto fosse la
figura chiave per dire il cinema. Perché proprio il volto e il primo piano? il cinema introduce questa
novità, il volto si muove, è chiaro che non è la prima volta che si vede un volto da vicino ma è la
prima volta che si vede un volto animato e lo si vede con la possibilità di fare dei micro movimenti
del volto, un ordine espressivo leggibile. A teatro non si lavora sul volto ma sul corpo e la voce.
Mentre al cinema io posso sollevare un ciglio, posso far tremare un labbro e questo lo vede
chiunque e diventa una delle forme di espressività chiara del linguaggio cinematografico. Il volto si
muove e con esso si rende leggibile l’interiorità del personaggio, questo in assenza di parola quando
il cinema è ancora muto quando ci sono ancora le didascalie.
Nei modi in cui il cinema ha usato il volto nell’arco della sua storia noi possiamo vedere il
trasformarsi di un’idea di cinema, di un’idea di rappresentazione, l’idea dell’immagine come idea di
cinema ma anche di un’idea dell’umano di cui quelle immagini si sono fatte porta voci. Come se
fosse una figura attraverso il quale possiamo leggere in molte dimensioni il cinema. I primi piani si
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potevano fare già ai tempi dei Lumiere ma non venivano utilizzati se non come trucco o effetto
speciale come in “Il grande boccone” in cui viene divorato il fotografo, e stava proprio nei
meccanismi della scuola di Brigthon di trucco che produce meraviglia. I primi piani erano come
delle maschere spaventose, questo nel cinema delle origini. La frammentazione del corpo, viene
introdotta progressivamente perché gli spettatori non erano abituati a coglierli come naturali.
Sembravano corpi tagliati. L’integrità primitiva era fondamentale per dare la misura e le proporzioni
delle cose. Vedere una faccia così grande appariva del tutto smisurato fuori natura fuori
proporzione. Lo stesso si poteva dire di palazzi di qualsiasi cosa che veniva presentato. Però se si
vedeva una figura umana intera dava le proporzioni di tutte le cose e si poteva riequilibrare tutto il
resto. Quando si arriva ad accettare il primo piano? La prima soluzione è quella di legare il primo
piano alla narrazione, farne cioè il luogo di identificazione del personaggio. In termini narrativi
viene combinata la gamma dei piani e la possibilità di tagliare anche le inquadrature legandolo alla
logica di presentazione del racconto. In questo senso Griffith è stato uno dei grandi maestri
nell’introdurre il volto come luogo patemico che costruisce non soltanto l’identificazione ma una
vicinanza psicologica. Una conquista non solo di prossimità spaziale ma anche psichica.
Il volto è una superficie ricchissima perché è quello che noi mostriamo agli altri ed è un centro di
comunicazione, gli occhi, la bocca, un centro di espressione di identificazione. Quello che noi
proponiamo agli altri è quello che noi non vediamo. In questo senso è un luogo paradossale perché
quello che offriamo agli altri è negato a noi stessi ( perché noi non lo vediamo ). Quello a cui
consegnamo la nostra identità e leggibilità espressiva. E’ un luogo in cui riveliamo ma in cui
possiamo controllare tentando di nasconderci.
Il volto è quindi una soglia, tra il dentro e il fuori, tra un carattere che si manifesta, un sentimento
che si rende leggibile, questo al di là delle parole. Sorridendo, piangendo, con tutta una gamma di
tracce e di segni che siamo abituati a decriptare. E’ come se il volto diventasse al figura in cui il
cinema rende accessibile il pensiero, le dinamiche psichiche i sogni i ricordi. Il cinema in questo
senso è anche la scrittura della mente.
Ci sono 3 funzioni fondamentali che sono consegnate al volto:
- individuante—> quel personaggio è quella faccia lì
- relazionale —> il volto è il luogo della comunicazione, grado zero della scrittura filmica, campo e
contro campo, parla lui risponde lei, livello zero.
- socializzante—> ogni volto si fa carico di una sorta di identità di ruolo, l’italiano, il francese, la
madre, l’uomo vendicativo, diventano molto più che non soltanto quel personaggio ma dei caratteri,
dei tipi, la costruzione dei tipi che è tipica del cinema americano classico.Per cui c’è una
corrispondenza tra i tratti fisici e i tratti morali
Noi parliamo di primo piano come una vera e propria conquista che viene introdotta lentamente e
progressivamente con una sorta di accettazione linguistica passando da quello che è il semplice
movimento spaziale di avvicinamento a un movimento espressivo.
In inglese noi diciamo primo piano come “Close-up” intendendo da vicino, in francese si dice
invece “Gros-plan” che da l’idea della grandezza di quello che viene inquadrato così da vicino.
Entrambi i termini ci dicono delle due dimensioni messe in gioco, e cioè: il primo piano è tanto a
ridosso delle cose con un’intimità e una possibilità descrittiva inaudita tanto però mi spinge ad
arretrare, io non posso sottrarmi sono schiacciato da questa immagine. Per questo è spaventoso, è
sempre una rottura del realismo dell’immagine. Il primo piano appare sempre per gli spettatori
ancora negli anni ’20 come un’interruzione rispetto a quell’impressione realistica e verosimile che
le immagini portano sempre con se.
“La signora di Shangai” Orson Welles 1946, un noir, Rita Hayworth lei era a quel tempo la moglie
di Welles. Lei sta fuggendo da una violenza, lui la prende e la porta sulla barca che ha ormeggiato
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nella baia di NY per salvarla. Letteralmente il canto di una sirena e
il suo richiamo. Il marinaio. Lei è bellissima e seducente, ci
richiama con il suo canto, e come Orson Welles saliamo rapiti le
scale. Tanto lui è completamente tagliato dalle ombre, il suo volto
non è in piena luce, è come se fosse coperto da una rete di ombre e
sale alla luce dove c’è lei aureolata fuori da ogni logica di
verosimiglianza perché è una vera immagine di sogno.
Un’immagine che ci viene proposta in Plongèè, noi stiamo sopra di
lei, la possiamo dominare, è a nostra disposizione, un corpo che ci
chiama e ci seduce e però questa figura di un volto medusa seduttivo è emblematico di una modalità
di uso del volto dentro anche la seduttività di Hollywood dentro una logica molto diversa rispetto ad
altri.
Dalla visione all’audiovisione. Dalla superficie visiva allo spazio sonoro. L’introduzione del sonoro
consente di misurare il peso dell’innovazione tecnologica sulle scelte estetico-linguistiche.
Dall’ambiente sonoro del cinema muto alla chiusura testuale del cinema sonoro: l’approdo a una
sorta di “unicità testuale” dell’esperienza cinematografica.
Dal film sonoro al film parlato.
Il sonoro come surplus di concretezza, potenziamento dell’esperienza sensoriale e fisica del film,
non semplice elemento di realismo che si aggiunge alle immagini in movimento.
Il rapporto visivo/sonoro tra continuità/discontinuità, accordo/frattura.
La precisa volontà di arginare il linguaggio verbale negli oppositori all’introduzione del sonoro. Il
Manifesto dell’asincronismo (Ejsenštejn e Pudovkin 1928).
L’addomesticamento del sonoro e della sua ricchezza destabilizzante, della sua qualità
metamorfica, nel cinema americano classico. Qui l’uso del sonoro è puro raddoppio e imitazione
del visivo. Il predominio della parola, la povertà del visivo. Nel cinema americano classico la
gerarchia sonora si definisce attorno al primato della voce.
La parola nel regno dell’assurdo: i fratelli Marx. Dal flusso magmatico della logorrea incontenibile
di Groucho al silenzio di Harpo. Tutto produce suono e non può essere messo a tacere: il mondo si
“anima” attraverso i suoni. Nel gioco di scambi e travestimenti, solo la voce è un indicatore fedele
di identità. Harpo può far credere a Groucho di essere la sua i