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DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI
• ORGANIZZAZIONE COSTITUZIONALE DELLO STATO
• LINEAMENTI ECONOMICI E SOCIALI
•
Già in queste tre sottocommissioni abbiamo una scelta di dividere la Costituzione in due parti, diritti
e doveri e organizzazione costituzionale dello Stato. Il 26 luglio 1946 iniziano i lavori (della
Commissione e delle sottocommissioni), che terminano il 2 febbraio 1947, 7-8 mesi dopo. Il 1
febbraio 1947 comincia la discussione del progetto di costituzione in Assemblea Costituente, e
termina il 22 dicembre 1947, quasi un anno di discussioni. E qui scaturisce il testo definitivo.
Quindi, i passaggi sono in sostanza: la Commissione dei 75 e le sottocommissioni elaborano il
progetto, questo progetto viene poi trasmesso all’Assemblea Costituente che ne discutete
partitamente, approva gli articoli uno per uno, finché si arriva al testo definitivo. Molto spesso
l’Assemblea Costituente rovescia delle scelte fatte in Commissione, una per tutte, quando si arriva
all’articolazione dello Stato, la sottocommissione competente (cioè la seconda) approva a
maggioranza un’articolazione territoriale dello Stato fatta di regioni e di comuni. Le province
vengono introdotte dall’assemblea Costituente nella discussione in aula, perché nel progetto
portato in aula le province non ci sono dato che i 75 e i 25 della seconda sottocommissione
ritengono che le province siano sostanziante un ente non inutile ma eccessivo rispetto a regioni e
a comuni. In Assemblea Costituente invece si introduce l’idea delle province. C’è una dialettica
molto importante.
Quando si arriva all’elaborazione della Costituzione, cioè quando si comincia a lavorare, lo Statuto
Albertino non c’è più; c’è un’unica scelta vincolante per l’Assemblea Costituente, la repubblica,
perché c’è stato il referendum istituzionale del 2 giugno. È solo quella, per il resto non c’è più
l’orizzonte passato dello Statuto Albertino, e c’è l’idea di costruire una repubblica. L’unica scelta
vincolante è quella costituita dalla repubblica, il modello ottocentesco è già tramontato, infatti non
se ne parla più nell’Assemblea Costituente e nemmeno i moderati più accesi ripropongono quel
modello, perché è chiaro che quel modello è stato seppellito da un’esperienza storica che tutti
ormai hanno accettato.
Entriamo più nel merito delle scelte fondamentali, e come a queste scelte si è arrivati. Si può
partire da quali sono state le tensioni, le criticità emerse nell’elaborazione dei principi fondamentali.
Noi abbiamo una Costituzione che sostanzialmente si divide in due parti, questa è stata la macro-
scelta fatta già con l’organizzazione delle commissioni fatta in questo modo. All’interno della prima
parte i Costituenti decisero di avere una pre prima parte costituita dai principi fondamentali (artt 1 a
12). Altre Costituzioni dello stesso periodo non hanno fatto questa scelta, hanno messo i principi
fondamentali in una sorta di preambolo alla Costituzione (es Costituzione tedesca). Il nostro
costituente ha fatto una scelta completamente diversa, cioè non ha voluto il preambolo ma ha
costruito i principi fondamentali come vere e proprie norme. Questa è stata una scelta
fondamentale, che ha delle conseguenze giuridiche molto rilevanti. La prima è che molti discutono
e hanno discusso sulla natura giuridica dei preamboli, nel senso che non vengono considerati
giuridicamente vincolati, quindi non costituiscono un parametro per la Corte Costituzionale. Aver
scelto non il preambolo, ma i principi fondamentali come vere e proprie norme all’interno della
Costituzione è stata invece una scelta completamente rilevante da almeno due punti di vista:
i primi 12 articoli costituiscono un PARAMETRO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE. Nei
• giudizi di legittimità costituzionale un buon 80% è risolto attraverso il parametro dell’art 3 Cost. Il
fatto che i principi non siano nel preambolo ma siano delle vere e proprie norme è molto rilevante
dal punto di vista del giudizio di legittimità costituzionale. La nostra Corte Costituzionale non
avrebbe potuto fare quello che ha fatto, non avrebbe potuto avere una giurisprudenza così
incisiva sul tessuto se quelle norme, anziché essere scritte in norme, fossero state inserite
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dentro un preambolo. Quindi questa scelta è stata una scelta molto rilevante dal punto di vista
dello sviluppo futuro. Attenti: non pacifica! perché non tutti la volevano; per esempio Calamandrei
affermava che non aver costruito i principi fondamentali come un preambolo era un grave errore,
perché era promettere al popolo italiano cose che non si sarebbero mai realizzate, introdurre
principi troppo avanzati si sarebbe tradotto in promesse mancate. Il primo passaggio importante
è che i principi fondamentali sono un parametro di legittimità costituzionale. Se fossero stati
costruiti come un preambolo, al nostra Corte Costituzionale non avrebbe potuto fare quello che
ha fatto. La Corte Costituzionale comincia a funzionare nel 1956, ma la prima sentenza è
fondamentale perché dice che i principi fondamentali non sono norme programmatiche ma sono
norme precettive; cosa che non avrebbe potuto dire se non fossero stati dentro un preambolo.
averli costruiti così ha comportato anche un’altra conseguenza sistemica, e cioè ha portato la
• dottrina a teorizzare i c.d. “LIMITI IMPLICITI” ALLA REVISIONE COSTITUZIONALE. Questi limiti
perché li chiamiamo impliciti? Perché non sono esplicitati nel testo, ma li ricaviamo dai primi 12
articoli. Di nuovo un’operazione che non sarebbe stato possibile fare se quei principi fossero
state inserite dentro un preambolo e non dentro norme costituzionali.
Queste non sono costruzioni teoriche, hanno conseguenze pratiche rilevantissime: tutta la
discussione che abbiamo fatto in Italia intorno al 2001 sul passaggio da uno Stato regionale
tiepido ad uno Stato regionale più consistente (revisione costituzionale del 2001) è stata tutta
contrassegnata dalla necessità del rispetto della prima parte dell’art 5 (“La Repubblica è una e
indivisibile”), e quindi il modello federale non era costituzionalizzabile. Infatti, la revisione
costituzionale del 2001 viene chiamata come “federalismo amministrativo” perché di più non si
può fare con la vigenza dell’art 5, quindi limite implicito alla revisione costituzionale. Oppure,
sempre partendo dal principio dell’art 5: il Veneto ha approvato una legge che prevedeva un
referendum per la secessione dall’Italia (cosa già provata in Spagna con la Catalogna e in
Inghilterra con la Scozia). La Corte Costituzionale l’ha dichiarata incostituzionale per contrasto
con l’art 5, che è un limite implicito alla revisione costituzionale. Quindi da noi la secessione di
una regione, in questo contesto costituzionale, non è ammissibile, perché è un limite implicito
alla revisione della Costituzione del 1948 [l’instaurazione di una nuova Costituzione è
ovviamente possibile, ma quella del ’48 non sarà più in vigore].
In realtà queste scelte quando sono state fatte, non si sapeva nemmeno che sarebbero state così
importanti. E invece si sono rivelate davvero importanti. Quando noi siamo entrati nell’UE, ci siamo
entrati con il trattato di Maastricht (1992). Ora, il Trattato di Lisbona del 2007 prevede che uno
Stato possa recedere dall’UE; fino al 2007 non c’era un meccanismo di recessione, non era
formalizzato, quindi si sosteneva che dall’Ue non si potesse recedere. Non era un problema da
poco, perché si teorizzava questo dopo l’introduzione dell’euro in quanto si diceva, dopo
l’introduzione dell’euro, a questo punto non è più possibile recedere dall’euro in quanto non è
conveniente recedere dall’unione monetaria. Nel 2007 il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel
2009, invece introduce l’idea che uno Stato possa recedere. Ma, tra il ’92 e il 2009, l’idea che uno
Stato potesse recedere dall’Unione Europea non c’era, perché non c’era la procedura. Cosa fatto
allora gli Stati al loro interno per teorizzare che invece dall’UE, se uno voleva, poteva recedere? Si
sono inventati, a livello di giurisprudenza costituzionale la c.d. “teoria dei contro-limiti”: noi stiamo
nell’UE, ma possiamo uscirne se qualche atto dell’Unione viola uno dei nostri principi fondamentali.
I principi fondamentali sono stati fino al 2009 il contro-limite al fatto che non si potesse uscire
all’Unione Europea. Tutti gli Stati europei lo hanno teorizzato a loro modo, noi in Italia lo abbiamo
teorizzato in questo modo. Quindi i principi fondamentali hanno risposto nel tempo a queste due
esigenze importanti.
Ora invece entriamo un po’ dentro i principi fondamentali.
ART 1, “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Non c’è dubbio che il fatto che il
lavoro entra nell’art 1 è una vittoria dei diritti sociali, perché il lavoro è uno dei classici diritti sociali.
Quindi è una vittoria dei diritti sociali, perché noi troviamo i diritti individuali nell’art 2; invece nell’art
1 troviamo l’affermazione dei diritti sociali (lavoro). Quindi è un ribaltamento teorico di proporzioni
davvero notevoli, perché quelli che storicamente erano sempre stati considerati diritti prioritario,
cioè quelli individuali, invece nella costituzione repubblicana vengono messi dopo i diritti sociali. La
Repubblica non si fonda sull’individualità dei diritti, ma sulla socialità, sui diritti sociali, e su quale di
questi? Il lavoro. 17 di 41
Ci sono tante spiegazioni del perché, si discusse moltissimo. Ad esempio i costituenti democristiani
erano assolutamente contrari e sostenevano che la Repubblica si dovesse invece fondare sulla
dignità della persona, alcuni dicevano sulla parità di genere; tutti temi importanti. Perché prevalse
questa posizione? Per tantissimi motivi. La prima discussione fu su quali erano i principi che
dovevano connotare la nuova repubblica, posto che di repubblica si doveva trattare.
Indubbiamente il problema del lavoro era uno di quelli più avvertiti in quel contesto storico (ci
siamo risollevati solo grazie al piano Marshall). Non c’era dubbio che il problema del lavoro fosse il
più avvertito, da due punti di vista molto importanti, di cui l’art 1 è solo la punta di diamante ma che
poi l’art 4 specifica. Il lavoro era inteso in due accezioni molto impor