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V
ρ ρ
3
dove K [mm /(A·min)] è definito come coefficiente di lavorabilità elettrochimica e corrisponde
V
al volume di materiale dissolto da un anodo per unità di corrente e tempo. Esso dipende dal
÷
tipo di materiale lavorato e in genere, per i materiali più comuni, è pari a 1.6 2. Nei casi di
12
elettrolita a base di N aCl l’efficienza η = 1 ed i valori di K sono disponibili in letteratura
V
per ogni materiale, mentre quando l’elettrolita è a base di N aN O l’efficienza è η < 1.
3
Esprimendo la massa dissolta in funzione dello strato di materiale rimosso di dimensioni
·
∆h ∆S, allora passando poi al limite si ottiene:
k I k
∆h →
· → = η v = η i = K i
ρ∆h ∆S = ηkI∆t n V
∆t ρ ∆S ρ
dove v è detta velocità di dissoluzione anodica e rappresenta la velocità con cui viene
n
asportato materiale dal pezzo, mentre i è la densità di corrente.
Influenzando pertanto diversi aspetti del processo, il coefficiente di lavorabilità è un
parametro fondamentale nella progettazione della lavorazione. Oltre che dal materiale K V
dipende dal tipo di elettrolita utilizzato ed anche dalla densità di corrente (figura 7.8), dalla
temperatura e dalla velocità dell’elettrolita, come riportato in figura 7.9.
Figura 7.8: Diverse concentrazioni di elettrolita
12 Infatti il cloruro di sodio non interferisce con il processo elettrochimico.
79
Si nota dal grafico 7.8.a il valore di K per l’N aCl si mantiene costante ed indipendente
V
dalla densità di corrente, restituendo quindi una velocità di dissoluzione anodica v propor-
n
zionale per i (figura 7.8.b), al contrario dell’N aN O che presenta per ogni concentrazione
3 ∗
(figura 7.8.a) una particolare densità di corrente di soglia i al di sotto della quale K = 0 e
V
la velocità di dissoluzione è nulla (figura 7.8.b). Pertanto possiamo già ora affermare che il
cloruro di sodio è più aggressivo e permette di avere reazioni immediate e veloci, mentre il
nitrato di sodio è più indicato quando è necessario controllare l’accuratezza della superficie
13
lavorata. Analizzando l’influenza della temperatura (figura 7.9.a) si osserva che l’N aCl è
poco sensibile alla temperatura e restituisce tassi di asportazione maggiori rispetto all’N aN O ,
3
che come detto è meno performante e in più presenta anche una drastica riduzione di K oltre
V
determinate temperature di esercizio, causata dalla dipendenza di η dalla temperatura. Dal
grafico 7.9.b si evidenzia inoltre che, qualsiasi sia il tipo e la concentrazione dell’elettrolita,
la velocità di circolazione w che determina il massimo valore possibile per K , (e quindi la
V
∼
massima asportazione) è pari a 10 m/s. L’N aCl è perciò più indicato per avere elevati
tassi di asportazione, mentre l’N aN O è consigliato quando si desidera controllare meglio la
3
finitura superficiale. Figura 7.9: Influenza della temperatura
Volendo ora calcolare il tasso di asportazione MRR, ovvero la quantità di materiale
asportato nell’unità di tempo, possiamo ricavare che esso è pari a:
dV →
MRR = = v S = K iS MRR = K I
n V V
dt
e quindi è proporzionale a K . Infine ora possiamo ricavare l’energia specifica e definita come
V
l’energia necessaria per rimuovere un’unità di volume di materiale:
dE U idt U
→
e = = e =
dV K Idt K
V V
da cui si può notare la proporzionalità con la tensione U realizzata dal generatore elettrico,
che indica che per un dato materiale maggiore sarà il potenziale generato e maggiori saranno
i costi. In altre parole, maggiore è il coefficiente di lavorabilità del materiale K e minore
V
sarà l’energia specifica e associata alla lavorazione, e ciò si traduce sostanzialmente in un
minor costo del processo.
Analizziamo ora i parametri di processo legati al gap (figura 7.10.a). Considerando che
durante l’avanzamento dell’utensile il gap è mantenuto costante (v = v , dove v è la velocità
n f f
13 quando entrambi gli elettroliti raggiungono valori costanti di K .
V
80
di avanzamento dell’utensile), e che le cadute di potenziale attraverso utensile e pezzo sono
complessivamente pari a ∆U , allora si possono ricavare le seguenti relazioni:
− −
U ∆U U ∆U
i = k , s = K k
el V el
s v f
dove k è la conduttività elettrica dell’elettrolita. Possiamo quindi affermare che, in tali
el
condizioni semplificate, la densità di corrente influenza proporzionalmente la velocità di
dissoluzione elettrochimica, ed è legata in modo inversamente proporzionale alla distanza
pezzo utensile. In questi casi il gap è in realtà considerato come gap frontale s , ovvero la
90
distanza perpendicolare alla superficie dell’anodo.
Figura 7.10: Schema ed andamento del gap frontale
Dal grafico di figura 7.10.b si possono notare gli effetti dell’intensità di corrente sul gap
frontale e sulla velocità di dissoluzione per entrambi gli elettroliti maggiori: in entrambi i
casi gap minori danno densità di corrente e velocità di avanzamento più elevate. Il cloruro di
sodio in particolare presenta un range di gap più ampio rispetto al nitrato di sodio che anche
in questo caso presenta il tipico valore soglia per la velocità di dissoluzione. Si nota anche
che l’N aCl raggiunge densità di corrente maggiori e pertanto tassi d’asportazione più elevati.
Ciò che non viene però evidenziato dal grafico è che la densità di corrente è anche influenzata
dalla presenza di eventuali superfici passivate, le quali ostacolano nettamente il passaggio di
corrente, riducendo fortemente il gap necessario.
Figura 7.11: Schema generale del gap tridimensionale
Quando sono lavorate forme tridimensionali, l’ampiezza del gap è determinata da un
ulteriore variabile: l’angolo di inclinazione formato tra la velocità di avanzamento e la tangente
81
al profilo del pezzo (figura 7.11). Il gap diventa più ampio con l’aumento della ripidità del
profilo dell’utensile e con l’aumento del gap frontale. Pertanto in tali casi la velocità di
dissoluzione della superficie varia da punto a punto in funzione di γ. Gli effetti sono comunque
molto complessi ed in genere vengono ricavati numericamente.
7.4 Le capacità
La quantità di materiale asportato è proporzionale alla quantità di corrente ed è regolata
dalla legge di faraday. Per ottenere elevati tassi di asportazione del metallo e garantire
accuratezza nella duplicazione della forma dell’utensile, il processo è realizzato ad elevate
densità di corrente. Come già accennato quando si è parlato del coefficiente di lavorabilità
elettrochimica però, per la stragrande maggioranza dei materiali i tassi di asportazione
÷
non presentano evidenti variazioni, ed infatti si attestano intorno a valori di K = 1.6 2
V
3
mm /(A·min). Le ECM riescono ad effettuare lavorazioni con tolleranze dimensionali di
±12 ÷ 50 µm, mentre overcut minimi di 120 µm e conicità 0.001 mm/mm, permettono di
realizzare fori di diametro minimo di D = 0.76 mm e aspect ratio di 20 : 1.
La finitura superficiale varia da 1.5 µm sulla superficie frontale dell’utensile, a 5 µm
sulla superficie laterale, ed è funzione del materiale in lavorazione, del flusso dell’elettrolita
e della densità di corrente. Le lavorazioni comunque non producono danneggiamenti o
Figura 7.12: Superficie lavorata con ECM e range della rugosità
stati di tensione residue nel materiale (figura 7.12.a), come nel caso di alcune lavorazioni
convenzionali o nella USM dove invece sono fondamentali al fine di migliorarne la resistenza
a fatica: una soluzione è quella di effettuare una successiva lavorazione di martellatura.
Una errata impostazione dei parametri può portare a corrosione intergranulare. Per quanto
riguarda la finitura superficiale possiamo dire che in generale gap minori permettono di
raggiungere intensità di corrente più elevate, e quindi rugosità più basse, come mostrato in
figura 7.12b. In figura 7.13 vengono infine riportate alcune applicazioni della ECM.
Figura 7.13: Piastra di acciaio 65 HRC. Testa di camme. Paletta di turbina
82
Capitolo 8
Electrochemical Operation
In questo capitolo vengono spiegate diverse tecnologie basate sulla ECM e da essa derivanti,
ognuna delle quali nasce con il bisogno di risolvere problemi di specifiche lavorazioni.
8.1 Deburring
La sbavatura elettrochimica (ECD) realizza la dissoluzione anodica delle bave attraverso
l’azione di un elettrolita introdotto all’interno del gap tra l’utensile e le bave che gradualmente
vengono asportate sino alla loro scomparsa. Tali processi sono altamente selettivi (si agisce solo
su bave o al massimo su raccordatura di spigoli vivi), a basso costo e di facile manutenzione.
÷
Il costo dell’intera ECD è compreso tra 20 50 mila euro.
Il processo
La ECD si basa sui principi della ECM differenziandosi però da questa per diversi aspetti:
staticità dell’utensile, minore pressione e flusso dell’elettrolita ed anche una minore corrente.
Figura 8.1: Schema della sbavatura elettrochimica
I vantaggi in termini di riduzione di tempi sono molto evidenti rispetto ai processi di
sbavatura manuale: bastano solo alcune decine di secondi. Nei casi di sbavatura multipla però
le bave devono essere più regolari possibili, in modo da non avere cortocircuiti o disuniformità
tra le diverse lavorazione contemporanee.
L’attrezzatura
Le macchine ECD, riportate in figura 8.2, possono essere a stazioni singole o multiple
servite da un’unica sorgente di energia. 83
Figura 8.2: Schema ed esempio della ECD
Il 40% del costo totale della macchina è attribuito alla costruzione dell’utensile (figura
8.3) la cui realizzazione dipende fortemente dal tipo di bava da trattare. A tal proposito si
ricorda che normalmente l’utensile, come nell’ECM, non è soggetto ad alcuna usura, e che
non agendo per contatto diretto non necessita di alte resistenze meccaniche: è progettato
infatti in ottone, rame o in acciaio inossidabile (il più comune).
Figura 8.3: Vari utensili specifici per ogni forma di bava
Gli utensili sono rivestiti in materiale non conduttivo e resistente all’elettrolita tranne che
nelle zone di attacco. Nel momento in cui la zona non rivestita dell’utensile si avvicina alla
bava, incomincia l’attacco chimico, localizzato alla sola radice, che dà origine ad un truciolo,
poi allontanato senza provocare cortocircuito.
Parametri di processo ÷
La sbavatura elettrochimica lavora generalmente a voltaggi di 7 25 V e correnti di