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Virginia Woolf, infatti, voleva andare a ricercare una tradizione letteraria delle donne. Alice Walker
nomina Virginia Woolf, la quale dice che le donne bianche erano animate da istinti contraddittori.
Alice Walker ci dice che soprattutto le donne nere come erano animate da istinti contraddittori.
Come poteva essere diversamente? Come potevano essere questi istinti non contraddittori? Cita
anche due scrittrici: Nella Larsen (romanziera di quella che viene definita la Harlem Renaissance
negli anni ‘20 a New York ed è autrice di un romanzo che si chiama “Passing”, pratica che, vista la
desiderabilità della pelle bianca, veniva messa in atto da individui afroamericani di pelle chiara che
decidevano di recidere ogni legame con il passato e farsi passare per bianchi; e Zora Hurston,
scrittrice riscoperta da Alice Walker in una nota a piè di pagina di un testo di antropologia, icona
della cultura afroamericana. Un'osservazione molto importante è che la teoria di Virginia Woolf è
una teoria fatta per le donne bianche. Quale donna nera potrebbe mai pensare di vivere anche in
epoca contemporanea di rendita per fare la scrittrice? Alice Walker ci dice “abbiamo sempre
guardato in alto, mentre invece avremmo dovuto guardare in alto e in basso” = ci sono condizioni
storiche tali che non hanno permesso alle nostre nonne di scrivere romanzi, libri e poesie. Le
condizioni storiche erano dettate dal fatto che c'era una legge che impediva agli afroamericani di
imparare a leggere e scrivere. Aspettarsi una tradizione letteraria quando la condizione storica era
tale, sarebbe assurdo e sbagliato. Sarebbe sbagliato da parte del critico dire che il fatto di non
trovare testimonianze di letteratura vuol dire che le donne non erano capaci di scrivere. Le donne
afroamericane non potevano scrivere. Che cosa avrebbe fatto una donna che all'epoca delle
nostre nonne si fosse sentita artista? Queste donne creavano con i materiali che avevano a
disposizione (con gli riuscivano a creare per esempio una trapunta). La madre, a parte il lavoro che
faceva nei campi, esercitava la propria creatività creando questi giardini così belli che tutti
andavano a vedere. Era uno spazio dell'anima, della creatività. È in questi spazi che bisogna
andare a ricercare la creatività delle donne afroamericane. Dal punto di vista testuale, questa
creatività si vede nell'oralità. L’importanza dell'oralità si vede nel fatto di aver narrato queste storie
e aver trasmesso insieme alla storia l'urgenza di narrare questa storia. Questa storia è depositaria
di una tradizione che non possiamo andare a ricercare guardando in alto bensì guardando in
basso.
* Chandra Talpade Mohanty, Sotto gli occhi dell'occidente
* Femministe a parole, voci: "Subalterna" e "Femminismo postcoloniale"
Differenza tra le teoriche afroamericane come Alice Walker e le teoriche postcoloniali. La storia di
questi gruppi di donne è molto diversa. Le donne afroamericane discendono per la maggior parte
da schiavi. La storia delle donne afroamericane è una storia che viene dalla schiavitù e dal fatto di
essere stati forzatamente portati in un altro paese. Quando si parla di minoranze ed emigranti
vengono esclusi i nativi americani e gli afroamericani e la popolazione chicana. I chicanos sono la
popolazione messicano-statunitense. C'era una parte del territorio degli Stati Uniti che un tempo
era territorio messicano e che dopo la guerra tra Stati Uniti e Messico è diventato americano. Si è
spostato quindi il confine.
Femminismo Postcoloniale: è una questione di classe. È una teoria che viene da una classe di
popolazione molto benestante. Sotto gli occhi dell'Occidente (1984): Mohanty critica la
creazione discorsiva delle donne del terzo mondo. La creazione discorsiva è la creazione, non la
descrizione, non la rappresentazione di una categoria attraverso il discorso. La creazione
discorsiva delle donne del terzo mondo= a livello di parole viene creata una categoria di donne che
viene identificata con una serie di caratteristiche che di solito vengono associate all'idea del terzo
mondo. Vuol dire che questa categoria discorsiva di fatto comprende donne che non hanno nulla a
che fare le une con le altre. Da dove vengono le donne del terzo mondo? Africa, Sud est asiatico,
parte del sud America, centro America. La creazione di una categoria vuol dire che si mettono
insieme donne che niente hanno a che fare l'una con le altre. Non hanno una storia comune, non
sono vicine dal punto di vista geografico bensì vengono tutte racchiuse all'interno di una categoria
all'interno della quale le differenze tra le donne che vi sono incluse sono annullate, appiattite.
Donne di vari posti del mondo che di solito vengono identificate attraverso due sistemi di
subalternità: sistema di genere e sistema di vittimizzazione che viene loro attribuito attraverso il
concetto di terzo mondo (sottosviluppato o in via di sviluppo). Mohanty ci parla di una
colonizzazione culturale e del modo in cui questo termine viene utilizzato per creare la categoria
del terzo mondo. Introduce il concetto di colonizzazione culturale, per cui all'interno dei saperi, ci
sono saperi considerati più importanti e altri considerati marginali e che provengono da zone
considerate storicamente arretrate. Ciò evidenzia il fatto di voler considerare alcuni saperi più
importanti di altri e di voler imporre tutto questo in una condizione che non è necessariamente una
condizione di colonizzazione. Nell’epoca contemporanea, ci sono saperi considerati meno
importanti e il sapere che abbiamo su quel determinato gruppo non viene da quel gruppo
direttamente, ma da altri soggetti che ci parlano di quel gruppo. Questo succede a proposito delle
donne del terzo mondo che vengono definite da alcuni femminismi bianchi, criticati perché
utilizzano la categoria di femminismo bianco come se fosse un monolite. Quello che riguarda
l'esperienza delle donne nere o delle donne del Terzo mondo è un sapere che di solito viene
prodotto da soggetti che di questa categoria non ne fanno parte. Di quali meccanismi si avvale il
femminismo bianco? Attraverso una caratterizzazione di vittimismo, cioè queste donne vengono
vittimizzate (“Poverine, noi donne occidentali siamo libere da ogni costrizione che ci venga posta
da una società tradizionalmente patriarcale, loro invece sono soggette a violenze”, etc.). Questa è
una retorica che sempre esiste e perdura fino ai giorni nostri (“loro non possono prendersi cura di
loro stessi, è necessario che lo facciamo noi” missione civilizzatrice).
Agency: discorso che considera le donne non bianche delle vittime che devono essere salvate ed
è un discorso che dà loro una voce, parlando al loro posto e rendendo di fatto impossibile a questo
gruppo di costruire un discorso autonomo. Il termine “agency “deriva dal latino e vuol dire “agisco”,
la capacità di fare. Fare nel senso di operare una differenza a proposito di determinate tematiche o
di determinati argomenti. Agency indica quindi la capacità di decidere per se stesse e di fare
questo attraverso un'attività pratica, che consiste nella creazione di saperi, che vengono sempre
dal primo mondo. L’agency viene assunta come categoria a priori, senza considerare la storia
queste donne, per cui queste donne vengono stigmatizzate e bloccate in un'immagine fissa che
non prevede la possibilità attenuare tale condizione di subordinazione. Nel suo saggio, Fatima
Mernissi ci parla di come l'Occidente ha costruito l'immagine del Terzo mondo. Dice che il velo per
le donne islamiche è come una taglia 42 per le donne occidentali. I criteri di magrezza noi li
riteniamo dei criteri che non hanno niente a fare con l'oppressione delle donne. Velo e magrezza
sono delle imposizioni che cambiano da cultura a cultura ma che fanno vedere la struttura
patriarcale che c'è dietro.
Una delle cose fondamentali è il fatto che dal punto di vista metodologico tutto questo viene
raggiunto attraverso un sistema binario. Uno dei grandi meriti del femminismo è il fatto di
comprendere che la mente occidentale funziona attraverso pulsioni binarie dove i due termini sono
per loro natura monolitici: uno è costruito come il sé e il secondo termine costruito come l'altro, e
sono dicotomie. Tale sistema binario fa sì che la costruzione avvenga secondo una direzione del
potere: il più potente dei termini è il primo, che prevale sul secondo.
SUBALTERNA: il termine viene da Spivak che lo mutua da Gramsci. In questo caso la
declinazione è al genere femminile per Gaiatry Spivak. Can the subaltern speak? Angela
D'Ottavia nel suo saggio, a proposito di “subalterna”, racconta la storia di una ragazza che faceva
parte della resistenza indiana e alla quale era stato ordinato di uccidere un uomo. Ella non vuole
compiere questo atto atroce, così decide piuttosto di togliersi la vita. Decide tuttavia di uccidersi
durante il periodo delle mestruazioni per dimostrare che il suo non era un suicidio derivato dal fatto
di essere stata disonorata e perché rimasta incinta ma per sottolineare che si trattava di una sua
scelta. Nonostante ciò, questa storia è rimasta nascosta. Si chiede se la subalterna può parlare
perché c'è sempre qualcuno che parla per lei e parla di lei. Si riferisce alle lotte di indipendenza in
India contro il colonialismo inglese, che predicava la necessità del “white man saving brown man”,
e alla necessità di proteggere queste donne, che ormai soggetto privo di agency, vessate,
violentate dai propri uomini barbari. Il sati è indicato come pratica da cui le donne indiane devono
essere salvate. Dall'altra parte invece, c'è il movimento nazionalista che si vuole avvalere del
corpo di queste donne per creare una resistenza anticoloniale. A queste donne viene richiesta una
resistenza che di fatto protegga la nazione dall'invasione coloniale. Nessuno di questi due gruppi,
né i colonizzatori inglesi, né il gruppo dei nazionalisti tengono in nessun modo conto di quelli che
sono i desideri e le necessità delle donne, le quali non vengono interpellate. Quello che queste
donne hanno da dire non esce fuori. Can the subaltern speak? La risposta implicita in qualche
modo è no. Il saggio si conclude dicendo che questa ragazza non può parlare. La riflessione di
Gaiatry Spivak va oltre, riferendosi ai subalterni in generale attraverso un'analisi di un testo di
Marx e soffermandosi sulla differenza di significato che esiste nel termine tedesco “rappresentare”,
dicendo sostanzialmente che esiste una differenza della rappresentazione. Rappresentare ha
quindi due significati diversi: 1) rappresentazione com