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IV.
Nel VII secolo a.C., le istituzioni di potere del secolo precedente si moltiplicano. L’arconti dal singolo passano ad
essere nove: i tre arconti principali, ossia l’arconte, l’arconte polemarco, che comanda l’esercito cittadino, annuale
ed eupatride, e l’arcontebasileus (re), con la funzione di gran sacerdote della polìs, che iniziano ad essere eletti dal
650 a.C., a cui si aggiungono, a livello prettamente legislativo, altri sei arconti, chiamati a sostituire la condizione
eupatridea del diritto, detti tesmoteti (“legislatori”). Questi arconti vengono scelti prevalentemente nel geno degli
Alcmeonidi (che si intuisce molto influente, tanto che quando Tucidide ed Erodoto ne criticano l’azione politica, si
guardano bene dal nominarli direttamente).
In questo secolo si colloca inoltre anche la conquista di Eleusi.
Nel quadro dell’avvento delle tirannidi, in Atene viene descritto un tentativo di presa di potere, raccontato nel
640630 a.C. da Tucidide nel libro I de la “Guerra del Peloponneso”. Vengono qui narrate i metodi fallaci con i
quali Atene e Sparta cercano di impedire lo scoppio della guerra, ma senza grande convinzione. La questione ruota
intorno all’allontanamento dalle due città dei rispettivi “sacrileghi”, e Sparta vuole l’allontanamento di Pericle
dalla città attica per il suo legame con la tentata tirannide di Cilone. Quest’ultimo, campione olimpico ateniese,
occupò con i suoi seguaci l’acropoli, nel tentativo di instaurarsi tiranno. Cilone venne però costretto alla fuga e i
suoi seguaci vennero uccisi da coloro che Tucidide definisce che “vennero dalla campagna”, ossia gli opliti. Atene si
dimostra quindi una polìs già ricca, avanzata e popolata, che non sente il bisogno di un tiranno. Questo consentirà
alla città di rimanere “sana” dal germe della tirannide per quasi 80 anni.
A livello di ricchezza, quindi, nel VII secolo a.C. Atene è in linea con quella delle altre poleìs, anche se qui non vi è
la tirannide. Nello stesso periodo, negli anni ’20 del secolo, nella città ateniese avviene la codificazione delle leggi,
ad opera di Draconte (o Dracone o Dracon). Egli scrive un codice civile sia su bronzo sia su legno, quest’ultima
copia esposta su piattaforme rotanti, per consentirne meglio la lettura. La sua figura giunge fino a noi per il fatto
che gli stessi ateniesi lo studiano e lo citano.
A partire dal 410 a.C. si avvia poi una riforma legislativa, per via della troppa presenza di leggi. Viene
ripubblicato su marmo il codice draconiano, riguardante solo l’ambito civile e penale, ed è giunto a noi solo
quest’ultimo, famoso per la precisione nella casistica dei reati e per la crudeltà delle pene, che lo rendono più
terribile di quello redatto da Zaleuco.
Sotto il nome del legislatore ateniese viene però messa anche una costituzione (politeìa) di natura oligarchica,
inserita nell’opera di Aristotele “Athenàion Politeìa ” del 340330 a.C., letteralmente “La costituzione degli
ateniesi”, che racchiude le varie forme di politica ateniesi (cioè le sue costituzioni) per confrontarle. Delle 158
costituzioni descritte, se ne è salvata solo una, che però ci è pervenuta intatta. Nella descrizione aristotelica, la
costituzione di Draconte ruota intorno ad una boulé composta da 400 membri, e questa sarebbe la prova che
sancirebbe il fatto che la costituzione draconiana è un falso storico, visto che non solo non c’è riscontro di esistenza
di questo consiglio, ma inoltre il suo potere sarebbe andato inevitabilmente a cozzare con quello dell’Areopago,
destabilizzando il quadro politico.
Tornando alla situazione cittadina, Atene è ancora in questo momento relativamente vuota, anche se la produzione
di vasi è già ben avviata e l’agricoltura, benché povera e difficile, è già prestigiosa per la coltivazione delle olive.
Nell’Athenaìon Politeìa, però, Aristotele descrive una situazione disastrata per la società ateniese, società
dominata da un governo oligarchico nobiliare, che possedevano tutte le terre coltivabili dei dèmos, che i contadini
coltivano sotto forma di locazioni. I contadini non liberi vengono definiti pelataìai, e le loro condizioni di vita non
sono molto migliori di quelle degli iloti a Sparta. In questo quadro sociale vi sono anche gli ectemoroi (sing.
ectemoros), traducendo “quelli della sesta parte”. Gli stessi greci non capiscono chi definiva questo termine, ma si
deduce che essi trattenevano per sé solo un sesto di quello che producevano. E’ presente inoltre la schiavitù, e gli
schiavi (dòulos) sono coloro che non riescono a pagare l’affitto dei terreni ai ricchi.
Questa situazione, descritta da Aristotele, che si sarebbe formata dopo 40 anni dalla tentata tirannide di Cilone
descritta da Tucidide, va a cozzare con la visione di benessere contadino che lo stesso Tucidide aveva proposto. E’
possibile quindi che Aristotele drammatizzi la situazione sociale ateniese per introdurre poi l’opera “salvifica” di
Solone.
Solone
Nobile ateniese di non elevata ricchezza, Solone sale alla ribalta politica nel primo decennio del VI secolo a.C.,
venendo eletto anche arconte. Il suo impiego specifico fu quello di redigere un codice legislativo per risolvere le
problematiche elencate da Aristotele, e per questo Solone sembra essere eletto come figura pacificatoria ad Atene,
situazione simile alla presa di potere di alcuni tiranni, come Pittaco a Miticene. La sua nomina comunque viene
formulata dopo un periodo di aspre lotte interne, forse addirittura di guerre civili. La sua opera è legata alla sua
saggezza, che si vuole attribuire alla sua esperienza in Egitto, e alla sua creatività, perché è egli stesso a creare dal
nulla le soluzioni come meglio crede. Il suo compito è portato a termine in maniera indisturbata e, dopo aver
consegnato il codice, Solone lascia Atene, per non essere oggetto di critiche di revisione.
Il codice soloniano tratta due ambiti principali:
Il regime proprietariodebitoriocreditizio, per il quale attuerà un lavoro risolutivo che porterà
• all’eliminazione definitiva della schiavitù per debiti;
Riforma politicaistituzionale, che con un suo rinnovamento totale basato sull’idea di “oligarchie larghe”,
• condizionerà con le sue strutture anche la più tarda democrazia ateniese (tanto che gli ateniesi considerano
Solone il padre della democrazia);
Nel campo dell’eliminazione della schiavitù per debiti Solone si opera anche per il riscatto di quegli ateniesi
venduti come schiavi all’estero, ricercandoli e rimpatriandoli. Per impedire che ciò riavvenisse, Solone non agisce a
livello di proprietà terriera, ma invece agisce riducendo la quantità e il peso dei beni nei processi debituari. Ciò
contrasta con la visione che vuole Solone come abolitore dei debiti, come suggerisce l’ottica aristotelica, ma la
situazione economica nel campo dei debiti non cambia, ma il debitore insolvente, anche se non diventa schiavo,
diviene teto, ed il creditore non vede comunque il suo debito saldato.
In forse contemporanea alla sua riforma tributaria, Solone edifica la nuova impalcatura politica ateniese,
suddividendo i cittadini in quattro classi a seconda della ricchezza, con la conseguente decadenza dell’importanza
“dovuta” agli eupatridi. Infatti le classi erano stabiliti in base alla produzione agricola annuale:
Pentacosiomedimni, che producono 500 medimni annui;
1) Cavalieri (hippeìs), produttori di forse 400 medimni annui (e il nome non si riferisce alle aristocrazie delle
2) altre città);
Zeugiti, che producono 200 medimni annui;
3) Teti, classe dove si racchiudono sia i produttori che non superano i 200 medimni annui sia i veri
4) nullatenenti (mossa che li eleva ad essere all’interno della cittadinanza ateniese).
I teti hanno diritto di voto in assemblea per l’elezione dei magistrati e per creare l’Eliea, ossia il tribunale popolare
che diviene l’ultima possibilità per coloro che vengono condannati a morte dai magistrati aristocratici, e l’Eliea
diventa il luogo delle grandi accuse pubbliche in campo politico.
Gli zeugiti possiedono il diritto elettorale passivo, ossia posso essere eletti a determinate magistrature minori, quasi
sicuramente di competenze amministrative.
La classe dei cavalieri doveva avere accesso a cariche intermedie tra la classe degli zeugiti e quella dei
pentacosiomedimni, anche se le cariche a loro riservate non sono del tutto chiare.
Le cariche principali, quindi l’arcontato e la partecipazione successiva al consiglio dell’Areopago, sono infine
detenute dai pentacosiomedimni.
Le tre classi superiori, cioè zeugiti, cavalieri e pentacosiomedimni, in battaglia sono gli opliti che formano la
falange. La classe nobiliare è inoltre divisa tra le quattro classi censitorie, perdendo la sua definizione precisa, e
grazie a questo membri del dèmos posso elevarsi a loro pari almeno economicamente. L’ordinamento soloniano,
definito ordinamento timocratico, dove il termine timé è inteso come prezzo o valore materiale, doveva prevedere,
almeno in teoria, ad un rinnovamento con l’introduzione dei registri di censo periodico (come accadrà
successivamente a Roma).
Dal punto di vista sociale, però, l’azione rinnovatrice soloniana non ha luogo, lasciando tutto com’era, non
organizzando nessuna redistribuzione terriera, mostrando come la sua riforma non sia che un esperimento politico
istituzionale, esperimento che verrà ripreso dalla democrazia.
La cronologia riguardante Solone è contestata da molti studiosi, che lo abbasserebbero di una generazione,
basandosi sul racconto dell’incontro tra Solone e il re di Lidia Creso fatto da Erodoto, e coloro che contestano la
sua datazione sostengono che colui che sostituisce Solone nella sua “tirannide” è Pisistrato.
Solone è inoltre il primo poeta che ha avuto anche un ruolo politico, e molti versi scritti dal politico ateniese
giungono fino a noi perché citati da altri poeti greci, come accade nell’Athenaìon Politeìa di Aristotele. Da questi
versi traspare il fatto che egli non ha un pensiero politico democratico, ma anzi ragiona con la classica ottica
aristocratica del tempo, come deducibile dal suo pensiero sulla giustizia, una giustizia geometrica, derivata dal
rango, e del tutto non democratica. Altra cosa che emerge dai frammenti soloniani è una descrizione della
situazione ateniese antecedente alla sua figura del tutto differente al dipinto redatto da Aristotele, dove il dèmos
represso per il filosofo stagirita ha invece voce