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A) Integrazione
indipendente (la società) attraverso l’integrazione reciproca;
riguarda invece la possibilità che gli individui possano costruire la società
B) Regolamentazione
attraverso la regolamentazione degli impulsi profondi tipici della natura umana.
Il problema profondo è: che rapporto c’è tra la coscienza individuale e quella collettiva?
Esistono società che lasciano poco spazio alla prima e al contrario società che ne lasciano di più?
Abbiamo così, per Durkheim, due diversi modi di fondare il legame sociale: il primo, tipico delle
società premoderne, integrate attorno ai valori comuni; il secondo, invece, caratteristico della
modernità, basato sull’integrazione funzionale di competenze specializzate. Occorre notare che, in
questo secondo caso, la società non appare più come un fatto morale, basato su idee condivise,
quanto piuttosto come il risultato di un meccanismo di integrazione socio-economico. Viene allora
meno l’idea durkheimiana fondamentale, secondo cui i comportamenti degli uomini sono da
spiegare sulla base di credenze e non di interessi (dunque si contraddice sembrerebbe: se sono
sulla base di interessi allora la sua critica all’utilitarismo di Bentham e Spencer non ha senso)? Egli
si rende conto del problema e sostiene che anche la società moderna ha bisogno di una morale
collettiva, anche se con contenuti diversi da quelli tipici delle società che l’hanno preceduta. Egli
parla qui, infatti, delle corporazioni e della loro specifica importanza nel mondo moderno proprio
nel combattere l’anomia morale.
Critica inoltre il giusnaturalismo dicendo che lo Stato non può più, nelle società moderne,
adempiere alla funzione di integrazione tra gli individui e i gruppi sociali.
Importantissimo è inoltre il tema della devianza. Un comportamento deviante è infatti, quello che
si contrappone alle norme sociali condivise, alla coscienza collettiva. Come si riconosce questo
comportamento deviante? Dal fatto che esso è quello meno frequente: chiameremo normali i fatti che
. Perciò è normale, secondo il
presentano le forme più generali, e denomineremo gli altri morbosi o patologici
sociologo, quando si è in automobile passare con il verde, ed è deviante passare con il rosso. Si
noti bene che il comportamento normale non coincide con il comportamento giusto. Ciò che è
lecito qui e ora potrebbe essere deviante altrove o viceversa. Non ci sarà mai una società senza
devianza: ci sarà sempre qualcuno che si comporterà in modo difforme rispetto alle regole
socialmente condivise, proprio perché non potrà mai essere cancellata la duplicità della coscienza
(coscienza collettiva + coscienza individuale). Inoltre la devianza può anche essere utile alla
società: senza devianza, infatti, non ci sarebbe cambiamento sociale. Se tutti si comportassero
sempre in modo conforme, le rappresentazioni collettive non subirebbero alcun cambiamento.
Il tema della devianza viene affrontato nell’opera sul suicidio. Egli sostiene che occorra dimostrare
innanzi tutto la differenza il suicidio spiegato dalla psicologia (mettere in luce gli elementi che
hanno spinto il soggetto al suo specifico comportamento deviante) e quello dalla sociologia
(definire il suicidio in quanto fatto sociale, dunque studiare il tasso dei suicidi – quello dei
protestanti, ad esempio, è più alto dei cattolici questo ci fa pensare che il cattolicesimo è meno
anomico del protestantesimo, poiché inserisce il singolo credente in una comunità capace di
fornirgli un saldo punto di riferimento morale).
Durkheim individua quattro modelli di suicidio:
Il suicidio egoista è determinato da situazioni sociali, ove c’è scarsa integrazione, dove i legami
sono deboli, come il caso dei non credenti, o dei protestanti rispetto ai cattolici, anche dei celibi e
delle mogli senza figli. Questo suicidio dunque aumenta nei periodi di pace e di stabilità e
diminuisce in quelli di guerra e di tensione sociale, che producono più integrazione. Il suicidio
altruista è caratterizzato da un eccesso di integrazione sociale: l’individuo crede talmente alle
norme condivide, da togliersi la vita, come fa ad esempio il capitano di una nave che si lascia
affondare con essa per motivi di onore. Il suicidio anomico è l’espressione di una bassa
regolamentazione sociale: l’assenza di regole lascia l’individuo di fronte al flusso indefinito dei suoi
desideri, esponendolo alla frustrazione continua. L’anomia è così una passione per l’infinito.
Troviamo questo suicidio in situazioni sociali sottoposte a un rapido cambiamento, nelle quali le
regole tradizionali vengono meno e agli individui si aprono orizzonti tanto inaspettati quanto incerti
(lui pensa alla società industriale). Infine il suicidio fatalista è tipico di un eccesso di
regolamentazione, di una sorta di dispotismo morale esercitato dalle regole sociali, di un eccesso
di disciplina che chiude gli spazi del desiderio, come può essere nel caso di ragazzi che si
sposano troppo giovani.
Dunque, si evince che la società equilibrata non è quella fortemente integrata e regolamentata
(che produce patologie) ma quella dove le pulsioni individuali sono in sintonia con la forma sociale.
Nel suo ultimo libro, Le forme elementari della vita religiosa, Durkheim affronta il tema della
ragione e della religione. Per lui sono entrambe fatti sociali, cioè prodotti dalla società.
# Ragione riprendendo criticamente Kant, egli sostiene che le categorie con cui l’uomo conosce la
realtà (spazio, tempo, causa ecc..) sono un prodotto sociale, perché esprimono cose sociali e
senza società non ci sarebbero le categorie. Ad esempio la categoria del tempo: egli dice che essa
è inscindibile dalla possibilità di distinguere tempi diversi, di evidenziare una scansione temporale:
implica cioè un’organizzazione del tempo. Ma tale organizzazione è un prodotto sociale: non è il mio
Il
tempo che è organizzato così, è il tempo qual è oggettivamente pensato da tutti gli uomini di una stessa civiltà.
tempo, quindi, non è, come in Kant, una categoria a priori dell’intelletto, ma il risultato di un
processo di costruzione sociale. Qui Durkheim corre il rischio che ogni società allora abbia la sua
specifica categoria di tempo: come sarebbe possibile a quel punto confrontare la società che
misura il tempo con l’orologio con quella che lo misura con la clessidra? La risposta è che solo
l’individuo socializzato è razionale, poiché la ragione e le sue categorie nascono all’interno di
pratiche sociali concrete e specifiche.
# Religione dietro la religione c’è una realtà ancora più vera: la società. Gli uomini producono le loro
divinità nel momento stesso in cui si costituiscono in società e poi ne dimenticano l’origine. Come
abbiamo detto, la società ci appare totalmente altro rispetto a noi: gli dei sono la più chiara ed
eclatante espressione di tutto questo, perché non esistono ma sono reali dato che sono capaci di
produrre effetti reali. L’uomo crea gli dei non in quanto uomo, ma in quanto uomo socializzato, che
sta insieme agli altri. Gli dei non sono dunque espressione di un bisogno interiore ma la loro realtà
è la realtà della relazione sociale.
Egli studia le forme elementare della vita religiosa – in particolare il totemismo delle tribù
australiane – perché lì è più facile trovare quell’essenza della religione presente anche nelle forme
più complesse ed evolute. L’aspetto fondamentale della religione non è la presenza degli dei ma
piuttosto la presenza di cose sacre come i totem: la loro caratteristica è quella di essere diverse
dalle cose profane; in questo modo acquistano una forza del tutto specifica, sconosciuta agli
oggetti quotidiani, cioè la forza sociale, quell’energia che si libera nei riti collettivi quando gli
uomini, perdendo la propria individualità, si confondono e si annullano nel gruppo. Egli parla di
effervescenza collettiva: gli uomini inconsapevolmente costruiscono il gruppo sociale.
La religione dunque è l’insieme delle credenze e delle pratiche relative a cose sacre – e quindi
interdette, disponibili solo a sacerdoti – che serve a mantenere stabile la vita sociale, cioè la nostra
vita quotidiana. Essa non è un’illusione, allo steso modo in cui non è un’illusione la società. Ecco
confermata quella circolarità già vista a proposito della ragione: la società è un fatto religioso, la
religione è un fatto sociale.
La modernità è caratterizzata da un costante e profondo cambiamento. La vita sociale trova la sua
condizione in un insieme di valori comuni che appaiono esterni all’individuo. Il cuore del malessere
moderno, secondo Durkheim è costituto dal fatto che non è chiaro quali siano questi valori. L’unica
soluzione possibile sarebbe allora proprio l’individuo. L’individualismo è il solo sistema di
credenze che possa assicurare l’unità morale nella società moderna. Il culto dell’individuo, poiché
fa a meno di tutti gli aspetti esteriori delle religioni tradizionali, è molto più interiore. Ma si badi
bene: non è individualismo utilitarista, non è basato sul calcolo degli interessi, bensì sul valore
dell’individuo. In questo modo può costruire la base di una nuova religione civile, laica e illuminata.
L’unica religione possibile in una società consapevole del fatto che la religione è un fatto sociale.
Max Weber
Nasce in Turingia nel 1864. Insegna Economia Politica ma è costretto a interrompere i suoi studi
quando, dopo la morte del padre, entra in uno stato di depressione e di malori. Dopo questa fase
inizierà a scrivere L’oggettività conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale e L’etica
protestante e lo spirito del capitalismo. Si iscrive al Partito democratico tedesco e si impegna nella
stesura della Costituzione di Weimar. Nel 1920 viene pubblicato il primo volume della Sociologia
della religione e la prima parte dell’Economia e società.
Weber si interroga su quale sia il ruolo dell’Occidente all’interno della storia mondiale: la storia
dell’Occidente cristiano si caratterizza per una particolare affermazione del processo di
razionalizzazione del rapporto tra uomo e mondo, capace di assumere, sotto la guida della scienza
e delle sue tecniche, una portata