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Elenco dei farmaci ritirati o abbandonati nel corso degli anni

1893 - Estratti tiroidei: Ritirati a causa dell'ipertiroidismo, poiché i pazienti avevano una tiroide funzionante.

1933 - Dinitrofenolo: Ritirato a causa della cataratta e della neuropatia.

1937 - Amfetamina: Abbandonata a causa della dipendenza e dell'abuso.

1967 - Pillole Arcobaleno: Ritirate a causa della morte dei pazienti.

1971 - Aminorex: Ritirato a causa dell'ipertensione polmonare.

1997 - Fenfluramina e Dexfenfluramina: Ritirate a causa dell'ipertensione polmonare e dell'insufficienza valvolare.

2008 - Rimonabant: Ritirato a causa della depressione. Aveva funzionato bene fino ai trial di fase 1 e 2, ma in fase 3 si sono verificati casi di suicidio.

2010 - Sibutramina: Ritirata a causa del rischio cardiaco.

Negli Stati Uniti è stata approvata dalla FDA (Food and Drug Administration) la combinazione Fentermina-Topiramato (topiramato viene usato anche nella cura dell'epilessia) a rilascio prolungato (Qsymia). Non ha un effetto potente sulla riduzione del peso (circa 6%), ma presenta un problema di aumento del rischio cardiovascolare. In Europa non è stato approvato dall'Agenzia del Farmaco Europeo per l'aumento del rischio cardiovascolare.

Orlistat (1999) è il

principale farmaco ora in commercio approvato per il trattamento a lungo termine. Più recenti sono gli agonisti del GLP-1 (liraglutide ed exenatide) che quindi funzionano a livello del sistema nervoso centrale riducendo l'appetito. Orlistat agisce secondo il seguente meccanismo d'azione. È inibitore selettivo delle lipasi gastriche e pancreatiche: si lega irreversibilmente al sito attivo delle lipasi inibendo il 30% dell'attività lipasica (scissione dei trigliceridi in monogliceridi ed acidi grassi liberi). In questo modo il 30% dei trigliceridi non viene assorbito e viene eliminato con le feci. Esplica la propria azione a livello gastrico e dell'intestino tenue, ma viene assorbito in minima parte nel tratto gastrointestinale. Di conseguenza presenta un effetto locale e non sistemico. La maggior parte viene escreto come immodificato nelle feci, solo per meno del 2% l'escrezione renale. Riducendo l'assorbimento degli acidi grassi ha uneffetto a livello metabolico, ovvero aumenta la sensibilità insulinica. Infatti, in uno studio durato circa 4 anni è emerso che provoca una riduzione dell'incidenza di diabete di poco inferiore a quella che si ottiene con la combinazione dieta-attività fisica, ma molto simile a quella che si ottiene con la Metformina. Quindi è un buon farmaco ed è anche di facile assunzione (3 capsule, in corrispondenza dei pasti). Ha un effetto, tendenzialmente transitorio che tende a scomparire dopo le prime settimane di utilizzo, ovvero perdite oleose dal retto e aumento di scariche. SISTEMATICA E PREVENZIONE Alimentazione e nutrizione umana (classe lm-61) diarroiche con concomitante urgenza fecale. Il paziente deve essere a conoscenza di questi potenziali effetti avversi. Gli effetti avversi sono proporzionali al contenuto di lipidi della dieta, quindi è consigliabile associare una dieta a basso contenuto di grassi. Per limitare il fenomeno della diarrea sipossono associare fibre (es. psyllium che forma gel) o cibi che le contengono (frutta e verdura). Ci sono una serie di studi che hanno dimostrato che il trattamento di sovrappeso e obesità previene la comparsa di diabete o perlomeno ne migliora il controllo, ma non previene la mortalità anche se si evidenzia un miglioramento nel rischio cardiovascolare. Anzi è emerso un aumento della mortalità nel trattamento con Sibutramina.

LEZIONE 9: Diabete di tipo 1 e sindromi poliendocrine autoimmuni

Nello stesso periodo in cui è nata l'immunologia (anni '70-'80) tre studiosi Roitt-Doniach-Bottazzo (che sono i pionieri nella scoperta dei disturbi autoimmuni) iniziarono a notare l'insorgenza nell'uomo di malattie che portavano a una deficienza o, più raramente, a un'iperfunzione e la causa era ignota. Grazie a esperimenti nell'animale e ad evidenze nell'uomo fecero l'ipotesi generale sulla patogenesi delle

endocrina non tumorale). In questa malattia, gli autoanticorpi prodotti dall'organismo attaccano la ghiandola tiroidea, causando un'infiammazione e una progressiva distruzione del tessuto tiroideo. L'immunofluorescenza è stata utilizzata per identificare la presenza di autoanticorpi specifici nel sangue dei pazienti affetti da tiroidite di Hashimoto. Questo metodo ha permesso di confermare l'ipotesi che la malattia fosse di natura autoimmune e che gli autoanticorpi fossero diretti contro gli antigeni presenti nella ghiandola tiroidea. La fluorescenza osservata nell'immunofluorescenza è il risultato dell'interazione tra la sostanza fluorescente legata al secondo anticorpo e gli autoanticorpi presenti nel campione di sangue. Questa tecnica ha consentito di visualizzare in modo diretto la presenza e la localizzazione degli autoanticorpi nella ghiandola tiroidea dei pazienti affetti da tiroidite di Hashimoto. In conclusione, l'utilizzo dell'immunofluorescenza ha contribuito in modo significativo alla comprensione delle malattie endocrine non tumorali, come la tiroidite di Hashimoto, e ha permesso di identificare i meccanismi autoimmuni coinvolti nella loro patogenesi.

da ipofunzione più frequente nel sesso femminile) in cui ci sono anticorpi diretti contro la ghiandola tiroidea e la tireoglobulina, nel caso del diabete di tipo I (insulino dipendente) in ci sono anticorpi contro le isole del Langerhans; nel caso di anemia perniciosa in cui ci sono anticorpi contro cellule parietali gastriche perché l’autoantigene è il fattore intrinseco che lega la vitamina B12; nel caso di epatite di origine autoimmune.

Questa ipotesi ha aperto un campo di studio completamente nuovo, quello delle malattie autoimmuni, che si è espanso molto negli ultimi anni.

Questo ha permesso di classificare le malattie anche in base all’associazione tra le stesse perché generalmente queste malattie autoimmuni non si verificano in modo isolato, parliamo quindi di sindromi poliendocrine autoimmuni. Ad esempio, un paziente con una malattia della tiroide tende a sviluppare una malattia delle ghiandole surrenali (es. morbo di Addison) oppure un

di mutazioni genetiche specifiche. Ad esempio, la sindrome di Down è associata a un aumento del rischio di sviluppare malattie autoimmuni come il diabete di tipo 1 e la tiroidite di Hashimoto. La diagnosi delle sindromi autoimmuni poliendocrine si basa sulla presenza di specifici sintomi e sulla conferma di alterazioni nel sistema immunitario. È importante sottoporsi a controlli regolari e ad esami di laboratorio per monitorare la funzionalità degli organi interessati e per valutare la presenza di eventuali complicanze. Il trattamento delle sindromi autoimmuni poliendocrine dipende dai sintomi e dalle complicanze presenti. Può includere l'assunzione di farmaci per sostituire gli ormoni mancanti, la gestione del diabete con insulina o farmaci antidiabetici, e il trattamento delle malattie autoimmuni associate con farmaci immunosoppressori o anti-infiammatori. È importante lavorare a stretto contatto con un team medico specializzato per gestire al meglio queste sindromi complesse e per prevenire o trattare le complicanze che possono insorgere nel corso della vita.di rari tumori (es. plasmocitoma), alcune sono sindromi congenite con anche un lieve ritardo mentale (es. sindrome di Wolfram che si associa a diabete, sordità e atrofia del nervo ottico). Il passo fondamentale che è stato fatto e ha permesso il progredire di questo campo di studi riguarda i metodi di ricerca. All'inizio si usava solo l'immunofluorescenza, una metodica abbastanza complessa. Negli anni sono stati identificati una serie di antigeni dal punto di vista molecolare e ciò permette di fare diagnosi non più con metodiche di immunofluorescenza in diretta ma tecniche più facili come ELISA o Radioimmunoassay (dosaggio radioimmunologico) in cui viene utilizzato l'antigene noto. Esiste una differenza fondamentale tra APS-1 e APS-2 sotto diversi aspetti: epoca di esordio, associazione con geni, autoanticorpi, etc.; mentre dal punto di vista clinico la APS-2 e APS-3 sono del tutto simili, con la differenza che nell'APS-3 non è

incluso l'iposurrenalismo autoimmune. Inoltre, vi sono differenze abbastanza rilevanti rispetto alle tempistiche di insorgenza fra una prima patologia autoimmune ed una seconda. Esempio, paziente ha anticorpi contro il pancreas endocrino (diabete mellito di tipo 1) e anticorpi contro la tiroide, ma ancora senza segni clinici di malattia endocrina, svilupperà la malattia endocrina? Molto probabilmente sì!

Si osserva in genere un andamento temporale tipico dell'insorgenza delle manifestazioni cliniche. Nell'APS-1 si passa da un iniziale overlap di candidosi e ipoparatiroidismo e infine avviene l'esordio della malattia di Addison. Si nota poi che il DM1 ha un'età di presentazione precoce, intorno ai 27 anni, mentre l'ipotiroidismo autoimmune e l'iposurrenalismo mostrano un'età alla più tardiva, intorno ai 30-40 anni.

Non sempre è possibile fare una previsione basata sugli anticorpi, ma nel 95% dei casi i

Pazienti che in futuro svilupperanno una malattia autoimmune hanno anche un titolo basso di anticorpi in sangue e con le tecniche oggi a disposizione si possono rilevare anche queste basse concentrazioni. Quindi solo il 5% di coloro che sviluppano la malattia autoimmune non hanno anticorpi presenti!

John Kennedy era affetto da poliendrocrinopatia autoimmune, tante malattie autoimmuni sviluppate nell'arco di 40 anni. Per tutta la vita ha avuto problemi gastrointestinali (probabilmente celiachia), poi è subentrata la malattia di Addison e infine ipotiroidismo.

C'è un gene noto per essere associato e causale nella patogenesi della APS-1. Si chiama APS1 o gene AIRE (Autoimmune Regulator) e codifica per un fattore di trascrizione presente nel timo che regola lo sviluppo e il differenziamento dei linfociti T, questo gene è localizzato a livello del braccio lungo del cromosoma 21. Esistono

tantissime mutazioni di questo gene (più di100!) con eredità autosomica recessiva (vuol dire che il gene coinvolto è localizzato su una delle 22 coppie di cromosomi, detti autosomi, e il carattere patologico si manifesta solo se sono alterate entrambe le copie del gene, carattere recessivo).

AIRE mutato altera la trascrizione degli autoantigeni tessuto-specifici nel timo non facendoli riconoscere al sistema immunitario come antigeni self. Non funziona la selezione negativa (eliminazione linfocitica sarebbero in grado di indurre una risposta auto-immune) e quindi ne consegue una perdita della tolleranza centrale. Permangono linfociti T di tipo reattivo che possono dare origine a meccanismi autoimmunitari in presenza di alcuni antigeni di istocompatibilità.

Alcuni polimorfismi di HLA (DR3, DR4, DQ2/8) predispongono maggiormente ai meccanismi autoimmunitari.

Quindi perché si verifichino queste malattie deve esserci la contemporanea presenza di:

Mutazioni del gene

ICA). Questi autoanticorpi sono diretti contro gli antigeni presenti sulle cellule delle isole di Langerhans nel pancreas. L'identificazione di ICA è di fondamentale importanza nella diagnosi precoce del diabete di tipo 1, in quanto la presenza di questi autoanticorpi è spesso associata alla distruzione delle cellule beta pancreatiche. I ICA possono essere rilevati utilizzando diverse tecniche di laboratorio, tra cui l'immunofluorescenza indiretta e l'ELISA (Enzyme-Linked Immunosorbent Assay). Nell'immunofluorescenza indiretta, i campioni di siero dei pazienti vengono incubati con sezioni di tessuto pancreatico umano, seguite da un anticorpo fluorescente che si lega agli autoanticorpi presenti nel siero. L'ELISA, invece, utilizza una piastra di microtitolazione rivestita con antigeni delle isole di Langerhans, ai quali gli autoanticorpi presenti nel siero si legano. La presenza di autoanticorpi viene quindi rilevata utilizzando un anticorpo coniugato a un enzima che produce un segnale colorimetrico. La diagnosi di diabete di tipo 1 viene solitamente confermata quando sono presenti due o più autoanticorpi, tra cui gli ICA, gli autoanticorpi contro l'insulina (IAA), gli autoanticorpi contro la tirosin-fosfatasi (IA-2) e gli autoanticorpi contro il peptide C dell'insulina (IAA). La presenza di questi autoanticorpi indica una risposta autoimmune contro le cellule beta pancreatiche e conferma la diagnosi di diabete di tipo 1. In conclusione, l'identificazione degli ICA è di fondamentale importanza nella diagnosi precoce del diabete di tipo 1. Questi autoanticorpi sono diretti contro gli antigeni presenti sulle cellule delle isole di Langerhans nel pancreas e la loro presenza è spesso associata alla distruzione delle cellule beta pancreatiche. L'ICA può essere rilevato utilizzando tecniche di laboratorio come l'immunofluorescenza indiretta e l'ELISA. La diagnosi di diabete di tipo 1 viene confermata quando sono presenti due o più autoanticorpi, tra cui gli ICA, gli IAA, gli IA-2 e gli autoanticorpi contro il peptide C dell'insulina.
Dettagli
Publisher
A.A. 2019-2020
32 pagine
SSD Scienze mediche MED/13 Endocrinologia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher BGandossi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Malattie correlate all'alimentazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Folli Franco.