Appunti di letteratura del mondo classico
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Essere governatore di una provincia romana era un modo per arricchirsi alle spalle dei cittadini. Sallustio si arricchì
molto. Tornato a Roma, Cesare era stato ammazzato. Sallustio però non fu fra coloro che si misero di nuovo a
combattere per avere potere, si ritirò a vita privata, aveva soldi da parte e pare si fosse fatto costruire a Roma una tenuta
con meravigliosi giardini (giardini sallustiani). Fino a quel momento non aveva scritto nulla ma in quel momento decise di
diventare scrittore. Si occupa di argomenti vicini a lui, argomenti di storia quasi contemporanea, vicende di cui era stato
protagonista o di cui per lo meno aveva sentito parlare. Le opere che ci sono giunte complete sono due, due monografie,
non una storia completa di Roma o di un periodo, ma affrontano due episodi della storia romana abbastanza recente,
una storia romana di 30 anni prima rispetto a Sallustio stesso (Sallustio scrive dalla fine degli anni 40 e muore nel 35
a.C., Ottaviano non è ancora imperatore, sono gli anni di contrasto tra Antonio e Ottaviano). La prima di queste opere
narra della congiura di Catilina. Riprende questo episodio in un’opera chiamata De Coniuratione Catilinae o De Bellum
Catilinae (la congiura o la guerra di Catilina). Catilina era un nobile che aspirava alla massima carica politica, ci aveva
provato in larga misura per vie legali ma non ci era riuscito e il ceto aristocratico gli era ostile. Prova ad organizzare
questa congiura ma Cicerone la sventa. Sallustio narra questa vicenda senza dare a Cicerone tutto il risalto che
quest’ultimo si era conferito. Sallustio aveva seguito Cesare nelle varie vicende e qui si conferma come suo seguace
quindi anche non si può dire che fosse ostile a Cicerone (che era già morto qualche anno prima) ma non gli era molto
favorevole. Inoltre cerca di capire in termini più ampi le cause profonde della congiura. Sallustio indica queste cause:
l’evoluzione e quindi anche la crisi di valori di questa società romana dopo le guerre puniche. Anche lui sottolinea questo
aspetto, lo fa in termini moralistici però il suo ragionamento è storicamente giusto, è quello che dicono anche gli studiosi
moderni. C’è una svolta negli usi e costumi dei ceti benestanti e questi ceti vengono presentati da Sallustio come uomini
sempre più corrotti e dediti al lusso (anche Sallustio però era come loro). L’analisi è giusta anche se un po’ moralista,
soprattutto nei primi capitoli, dove ricorda che l’uomo è composto di anima e corpo, bisogna pensare soprattutto ai beni
dell’anima intese come azioni non vivere come bestie dedite ai piaceri. Sallustio quando era un uomo coinvolto in
politica, seguace di Cesare, prima di diventare governatore, era stato anche un senatore e da questo senato era stato
espulso per un motivo generico: immoralità. Poteva essere una vendetta dei gruppi a lui ostili ma sicuramente queste
accuse non partono dal nulla. Questo ci aiuta a capire meglio il personaggio di Sallustio. Comunque in questo ritiro a vita
privata scrive e cerca di capire un po’ perché Roma è cambiata perché si è arrivati a questa crisi. Non è un’opera molto
ampia, un volumetto di 60 capitoli. L’altra opera si intitola La guerra di Giugurta (Bellum Iugurthinum), episodio
secondario attorno al 110 a.C., ambientata nel territorio di cui poi sarà governatore. Giugurta era un re locale (nel
territorio dell’odierna Tunisia circa). Giugurta era un giovane che si era impadronito del titolo di re di Numidia. In Numidia
vi era un re legato a Roma. Morto, aveva lasciato figli e il nipote, Giugurta, come eredi. Però quest’ultimo voleva regnare
da solo e quindi si sbarazza degli altri eredi. Aveva corrotto con denaro i comandanti romani che ufficialmente dovevano
rimette un po’ in ordine la situazione, perché Giugurta era un usurpatore. Gli eserciti mandati con i comandanti però non
avevano concluso nulla perché Giugurta li aveva comprati. Sallustio narra questa vicenda sottolineando la corruzione dei
nobili romani e spiega in questi termini perché Giugurta sia riuscito a difendere fino a un certo punto questo potere di
usurpatore. Questo succede perché era in combutta con ambienti politici di Roma che fingevano di vedere in lui un
nemico da combattere ma che in realtà lo lasciavano al potere perché erano stati pagati. Toccherà poi a Mario mettere
fine alla vicenda. Quest’opera è più lunga, quasi il doppio come estensione rispetto alla congiura di Catilina.
Sallustio scrisse anche un’altra opera che intitolò Storie, di cui noi però abbiamo pochi brani. Affrontava il periodo che va
dalla morte di Silla alla guerra di Pompeo contro i pirati, pochi anni, un decennio o un quindicennio. Non la completò
probabilmente perché morì ma anche di quel che aveva scritto noi abbiamo ben poco. Anche lì prese posizione contro il
ceto dei nobili che si stava guastando e stava rovinando la repubblica romana. Invece ci sono pervenute sotto il suo
nome due lettere a Cesare (ma non siamo sicuri che siano sue), di quando Cesare è ormai il signore di Roma. Da come
vengono scritti questi due testi non si tratta di lettere private (come le lettere di Cicerone ad esempio), sono lettere che
definiamo “lettere aperte”, destinate alla lettura di tutti. Sallustio in queste due lettere fornisce dei consigli a Cesare su
come procedere nella riforma dello stato romano e anche lì sottolinea la corruzione dei nobili, di questo ceto che è un po’
la causa del declino della repubblica romana. Qui le opinioni degli studiosi sull’attribuzione a Sallustio sono un po’
controverse. Parecchi le ritengono di Sallustio, altri le ritengono un falso: forse sono state scritte dopo la morte di
Sallustio come esercitazione scolastica, qualcosa che poteva girare nelle scuole del tempo. Lo stile di Sallustio non è
quello di Cicerone, è più sintetico e presenta difficoltà di lingua, al quale si ispirerà Tacito. Il latino di Tacito non è solo
valido e molto efficace ma presenta anche difficoltà.
Fine età Cesare.
Tito Livio (età di Augusto)
Con l’età di Augusto abbiamo Tito Livio. Tito Livio era di Padova, appartiene a quel gruppo di scrittori latini (Cornelio
Gallo, Catullo, Virgilio) del nord Italia. Aveva circa 10 anni meno di Virgilio. Ebbe una vita piuttosto tranquilla, non ci
risulta abbia svolto incarichi politici, pur vivendo in un tempo drammatico della storia di Roma. Scese a Roma e cominciò
a dedicarsi, da giovane, allo studio e alla stesura di opere letterarie. Sembra che avesse cominciato con l’occuparsi di
filosofia (ma non ci è pervenuta nessuna opera). Poi soprattutto cominciò la sua opera storica che lo tenne impegnato
tutta la vita. Parte dalle origini di Roma, comincia la sua opera con l’arrivo di Enea in Italia, abbiamo poi la parte dei 7 re
di Roma e prosegue fino ai suoi tempi. Tito Livio muore nel 17 d.C., tre anni dopo Augusto. Trascorre la sua vita
dedicandola allo studio, ci risulta che ebbe una figlia, una vita familiare regolare. Frequentava la corte di Augusto dove
era apprezzato e ci risulta che, non sappiamo in che misura, fosse stato una specie di maestro o che avesse dato lezioni
al futuro imperatore Claudio. L’opera di Tito Livio era monumentale: aveva 142 libri. Proprio l’eccessiva ampiezza
dell’opera ha fatto sì che con il tempo quest’opera sia andata in buona parte perduta. A noi sono giunti comunque
parecchi libri, 35. Abbiamo il racconto dell’età della monarchia e dei primi secoli della repubblica poi c’è un vuoto e si
riprende dal libro 21, che comincia con la seconda guerra punica di Annibale e poi vicende degli anni successivi (fino
libro 45esimo). 12/03/2015
Con quale spirito Livio raccontava la storia della città? Possiamo partire da una definizione che dava di Livio l’imperatore
Augusto; egli definiva Livio un “pompeiano”. Era una battuta perché se fosse stato un vero oppositore dell’impero non
sarebbe stato ammesso alla corte. Livio, per quel che possiamo dire dai libri giunti fino a noi, guardava con nostalgia
all’antica repubblica romana, ne illustrava i momenti di gloria, ad esempio nella descrizione della seconda guerra punica
mette in luce la capacità dei romani di quei tempi di superare le enormi difficoltà in cui si erano trovati (idealizzazione dei
romani e della loro potenza). Livio racconta con questo spirito di nostalgia e ogni tanto trapela un certo senso di
amarezza per i tempi in cui vive, pur senza dichiararsi contro l’impero, però nella introduzione alla sua opera (giunta fino
a noi) accenna ai suoi tempi e fa capire che c’è un certo declino, una preoccupazione da parte sua per questi
cambiamenti che ci sono stati. Non sappiamo con quale spirito raccontasse i tempi più vicini a lui, quelli delle guerre
civili, ma possiamo supporre che ne parlasse con sgomento anche se alla fin fine riconosceva in Augusto colui che
aveva, pur con mezzi non pacifici, restituito a Roma una situazione di pace. Anche Livio vive a cavallo tra il periodo delle
guerre civili e il periodo dell’impero di Augusto.
Seneca Padre (II)
Altri storici di questo periodo che sono attivi sotto gli imperatori successivi affrontano la storia con angolazioni diverse,
qualcuno è molto legato ad alcuni di questi imperatori altri invece hanno atteggiamento più critico. Uno di questi è
Seneca Padre, che avrà un ruolo di protagonista nel periodo di Nerone. Sappiamo che Seneca, oltre alle Controversie e
Suasorie, aveva scritto un’opera storica (lo sappiamo grazie a Seneca il filosofo). Quest’opera partiva dalle guerre civili,
periodo recente, e proseguiva fino agli ultimi anni della vita di Seneca padre (inizio del regno di Caligola). Lo spirito di
quest’opera era molto amareggiato, si lamentava che con le guerre civili e con quello che era avvenuto dopo si era persa
la libertà della repubblica. Il suo giudizio è molto chiaro. Seneca padre guardava con ammirazione a coloro che avevano
combattuto per difendere la repubblica, ammirava molto Cicerone per esempio, lo vedeva come una sorta di eroe.
L’opera non fu pubblicata quando Seneca Padre era ancora vivo, ma dal figlio, nei primi anni in cui era personaggio di
spicco. C’è un passo di quest’opera che rappresentava l’introduzione; è abbastanza curiosa nel modo in cui è impostata
e serve per capire lo spirito con cui Seneca padre affrontava le guerre civili e il periodo successivo. Paragonava la storia
di Roma, fin dalle origini, ad un essere umano, ad un uomo nelle varie fasi della vita e ne distingueva parecchie,
l’infanzia, la puerizia, l’adolescenza, la giovinezza e la vecchiaia. L’infanzia era il periodo in cui Roma era stata fondata
ed era cresciuta sotto i re. La giovinezza (quando Roma era adulta) era quello in cui Roma aveva combattuto le guerre
puniche (momento di svolta, apice della Roma repubblicana, getta le basi della sua superpotenza). Allo stesso tempo
comincia un periodo di involuzione e una svolta “negativa”. Seneca padre, pur con toni moralistici, vedeva nelle guerre
puniche un momento di svolta, l’apice ma anche un momento di crisi della repubblica romana. Dopo le guerre puniche
era cominciato un declino, un lento avvio verso la vecchiaia della repubblica romana, culminata con le guerre civili.
Questa vecchiaia porta alla morte? Su questo punto Seneca non prendeva una posizione ma il suo tono è
particolarmente amaro per quel che riguarda i suoi tempi. Questo modo di rappresentare Roma avrà seguito in scrittori
successivi. Ci sono anche pervenute notizie e testi di altri autori storici; sappiamo che negli ultimi anni del regno di
Augusto ci fu un’involuzione nell’atteggiamento dell’imperatore nei confronti degli scrittori (cfr Ovidio, condannato
all’esilio). Ma ci sono anche notizie riguardo a storici. Sappiamo che anche questi storici negli ultimi anni del regno di
Augusto e nei primi anni del regno di Tiberio si erano occupati della storia più recente, avevano affrontato l’argomento
delle guerre civili, con uno spirito di indipendenza. Ad esempio esaltando gli uccisori di Cesare, che consideravano degli
eroi e non dei criminali. Queste opere erano state, una volta pubblicate, fatte requisire e bruciate (censura). Invece ci
sono pervenute opere che risalgono al tempo dell’imperatore Tiberio e anche ai primi anni del regno di Caligola in cui
non si affrontano gli argomenti in questa maniera ma con un atteggiamento che è favorevole in larga misura a questi
imperatori (e questo spiega perché sono giunte a noi). Eccone alcune:
Velleio Patercolo
Abbiamo un’opera breve, poco più di un “manuale di storia”, che parte dai tempi più lontani per arrivare al tempo in cui
Tiberio è imperatore. L’autore era un generale dello stesso Tiberio e si chiama Velleio Patercolo. E’ un manuale di storia
romana in due soli libri, ciò che colpisce è che parlando dei tempi suoi fa un’esaltazione di Tiberio, a cui lui era grato
perché aveva fatto la sua carriera militare sotto Tiberio, e poi fa un elogio sperticato negli ultimi capitoli di quest’opera di
quel Seiano, che noi sappiamo si era montato la testa e che aveva anche pensato di succedere a Tiberio una volta
morto. In questo capitolo Seiano è visto come uomo di tante virtù: un esempio di adulazione dei potenti del momento.
Valerio Massimo
Abbiamo una biografia, opera divisa in tante parti che passa in rassegna un vizio o una virtù illustrata attraverso un
personaggio romano o straniero. Racconta esempi di onestà o disonestà portando esempi di personaggi storici. Scritta
sotto Tiberio ma quando Seiano era già crollato. E’ un’opera di tipo moralistico, vede una netta divisione tra bene e male.
Quando parla accenna a personaggi come Bruto e Cassio, visti in termini negativi. Anche quando parla dei Gracchi
vengono visti in termini negativi, come dei demagoghi. E’ un’opera che ebbe un certo successo nel corso dei secoli,
anche nel medioevo, perché sono molti capitoletti brevi, in 9 libri.
Curzio Rufo
Tra la fine del regno di Tiberio e l’inizio di quello di Caligola troviamo Curzio Rufo che scrive una storia di Alessandro
Magno. Non prende in considerazione la storia romana e scrive di questo protagonista macedone che si spinge verso
est e riesce a conquistare il grandissimo impero persiano in una campagna militare durata circa 10 anni e poi poco più
che trentenne era morto per cause naturali. L’opera ha tratti molto romanzeschi. Scrive quest’opera probabilmente
perché fa parte dello spirito del tempo; Caligola tendeva a proporre una monarchia di tipo orientale, con i tratti che aveva
tentato di imporre Alessandro Magno, un sovrano divinizzato. Sotto Nerone ci furono altri storici, di cui noi conosciamo a
malapena i nomi e qualche frammento solo perché sono citati negli Annali di Tacito.
Plutarco
Biografo greco nato intorno al 40 d.C., un personaggio la cui opera di biografo ebbe nei secoli una fortuna eccezionale,
soprattutto nel 1700, sia in Italia che nei paesi europei. Dal punto di vista umano ebbe una vita tranquilla, non cercò
onori. Viaggiò molto poco e si dedicò agli studi. Scrisse molto e quasi tutto delle sue opere è giunto fino a noi. Esse si
dividono in due parti: da un lato un gruppo di opere relativamente brevi (Opere morali) che trattano gli argomenti più
disparati dal punto di vista morale [ad esempio un’opera in cui cerca di affrontare il problema della tranquillità dell’animo;
in un’altra parla dell’educazione dei ragazzi]. Plutarco cita testi greci a lui precedenti e li riporta citando personaggi (ad
esempio personaggi di Omero). Dall’altra parte abbiamo l’opera per la quale è diventato più celebre nei secoli successivi:
Vite parallele. Sono biografie di uomini politici, o che ebbero successo, un ruolo politico, di uomini greci del passato e di
uomini romani. Li mette in coppia, cerca di stabilire un confronto tra un personaggio greco e uno romano. Spiega due
vite distinte e poi in un capitolo finale spiega perché li ha messi a confronto e perché secondo lui hanno qualcosa in
comune. Ad esempio la vita di Alessandro Magno la mette in parallelo con la vita di Giulio Cesare e al termine fa un
paragone tra i due. Un altro esempio è quello tra Cicerone e Demostene, messi a confronto perché entrambi furono
grandi oratori ed ebbero parte nelle vicende politiche dei loro tempi. All’interno di queste vite possiamo notare che il
racconto non procede, come per le opere storiche, cronologicamente, ma per rubriche. Plutarco presenta i suoi
personaggi sempre con un tono molto elevato, anche quando sono personaggi discutibili, non lo fa come pettegolezzo.
Scrive che il suo fine è quello di presentare il carattere di questi uomini.
Gli imperatori dopo Nerone
La dinastia Iulio-Claudia finisce con Nerone e comincia la dinastia Flavia. Alla morte di Nerone (giugno 68) Roma è in
pieno caos. Nell’arco di un anno e mezzo, tra giugno 68 e fine del 69, si succedono ben tre imperatori e ritornano le
guerre civili. E’ un momento disastroso per Roma. Questi uomini che prendono via via il potere sono comandanti di
eserciti. E’ un particolare interessante, torna in evidenza il tema dell’importanza dell’esercito. Questa potenza
sull’esercito si dimostra sempre più fondamentale per decidere sull’imperatore. Secondo punto importante: questi
comandanti sono nelle province dell’impero. Sono ancora di origine italica ma in quando vengono nominati imperatori dai
soldati non sono a Roma. Questi tre imperatori sono, in ordine: Galba, il comandante dell’esercito nella Spagna, una
delle province di Roma più antiche, risaliva al tempo delle guerre puniche; Otone governatore della Lusitania
(Portogallo), combatte contro Galba in Italia e vince, diventando imperatore; Vitellio, un terzo comandante che ha deciso
di tentare l’avventura del potere imperiale, si trovava lungo la frontiera del Reno, ai confini della Germania, combatte
contro Otone e diventa imperatore. Non è finita perché nel frattempo, sul finire dell’anno 69, c’è un quarto comandante
d’esercito, che è nel medio oriente, nella zona intorno alla Palestina: quest’uomo si chiama Vespasiano. Parte e diventa
nuovo imperatore definitivo. E’ un uomo non più giovane, ha circa 60 anni, proviene dal Lazio, non ha una grande
famiglia aristocratica alle spalle, appartiene al ceto medio e comincia un regno che dura 10 anni. I problemi che deve
affrontare sono molti: le casse dell’impero romano sono vuote. Queste continue guerre e la cattiva gestione dei soldi da
parte di Nerone hanno fatto sì che le casse si svuotassero velocemente. Le guerre tra questi uomini si erano inoltre
combattute in Italia e quindi anche le zone erano disastrate, saccheggi e violenze. Ad esempio una battaglia vicino a
Cremona ha esiti disastrosi (incendi, saccheggi, violenze). Vespasiano ricorse al sistema tipico: aumentò le tasse. Nei
confronti dei senatori ha un atteggiamento piuttosto critico, si sente forte dell’appoggio dell’esercito, che è il punto di
forza dell’imperatore (il “segreto” per chi voleva puntare al potere) e poi soprattutto la famosa guardia imperiale. Con una
politica tesa al risparmio Vespasiano riesce a rimettere in piedi le condizioni economiche di Roma e dell’impero. Il
giudizio degli storici moderni su Vespasiano è positivo. Non tendeva al lusso. Muore di morte naturale. Gli succede il
figlio, Tito (40 anni circa). Con l’imperatore Vespasiano comincia la dinastia Flavia (Tito Flavio Vespasiano). Tito tende a
non esasperare questi nobili e questo senato, cerca di stabilire un modo di convivere più misurato. Il suo regno è però
molto breve, dura due anni perché muore di morte naturale (81). Le fonti antiche ci parlano di lui in termini molto positivi.
Due cose sono importanti di questo regno: all’inizio di questo breve regno viene inaugurato a Roma un monumento,
l’anfiteatro Flavio, ovvero il Colosseo, deciso da Vespasiano che voleva dare lustro alla sua famiglia e abbellirla dopo i
tanti disastri. Inoltre nel suo primo anno di regno, nel 79, ci fu l’eruzione del Vesuvio che distrutte Pompei, Ercolano e
Stabia. Tito muore di morte naturale e gli succede il fratello Domiziano, anche lui figlio di Vespasiano. Domiziano ha un
progetto politico: quello di presentarsi come essere divino e sovrumano. Entra in rotta di collisione con i ceti più
tradizionali, con il senato e la nobiltà romana. Egli attua una politica molto dura nei confronti degli oppositori che
crescono, sono scrittori, senatori e anche uomini dell’ambiente militare che cominciano a dar segno di malcontento. Dal
punto di vista degli scrittori, degli intellettuali, anche Vespasiano non era stato molto benevolo soprattutto verso i filosofi
(aveva espulso e a volte fatto uccidere dei filosofi). Anche Domiziano attua questo tipo di politica verso i filosofi.
Comincia nell’81 e finisce nel 96, sono quindici anni. Le fonti antiche ci parlano di quest’età in termini molto negativi.
Abbiamo invece fonti di autori contemporanei a Domiziano che presentano questi autori in termini positivi. Una congiura
dei prefetti, dei pretoriani, ucciderà Domiziano nel 96. Con lui finisce la dinastia Flavia. C’è di nuovo il rischio di una
guerra civile. Questa volta si muovono soprattutto gli ambienti del senato e viene scelto in maniera pacifica un uomo sui
60 anni che non risultava ostile al senato ma neanche all’ambiente militare, Nerva. E’ un regno breve quello di Nerva
che deve rimettere anche lui le cose a posto, cerca di mediare fra nobiltà e interessi vari dei militari. Fondamentale
avvenimento del regno di Nerva è la nascita del criterio per scegliere il successore. Finora la successione dell’imperatore
era stata per dinastia (poteva essere un figlio o un parente). Qui invece si sceglie un criterio diverso, procedere
all’adozione. Si sceglie qualcuno che non è parente, viene scelto con un po’ di anticipo in modo che questo personaggio
si prepari. E’ un criterio che darà frutti perché grazie a questi imperatori per adozione fino a quasi intorno al 160 d.C. noi
avremo una serie di imperatori che sono sicuramente fra i migliori di tutto l’impero romano e Roma e le province vivranno
un periodo di prosperità economica e politica.
Il successore che sceglie Nerva è Traiano. Anche lui è un militare. Era di origine spagnola. Il primo imperatore che non
proviene né da Roma né dall’Italia. Traiano aveva il desiderio di risolvere il problema con i germani, cercare di
conquistare quel territorio. Comincia il regno nel 98 e durerà fino al 117 (19 anni). Buona parte di questi anni viene però
trascorsa da Traiano fuori Roma perché è un imperatore che vuole conquistare nuove terre al di fuori dell’impero romano
(è l’ultima volta che succede). Con la Germania non riesce a concludere nulla ma conquista nell’Europa dell’est la terra
della Dacia (l’odierna Romania), l’ultima provincia dell’impero romano. Con lui l’impero raggiunge la massima
estensione. Fa costruire la famosa colonna Traiana. Su questa colonna ci sono incise figure che rappresentano momenti
della guerra contro la Dacia. Aveva anche altri obiettivi e si spostò nel medio oriente per risolvere il problema dei Parti
(odierna Persia o Iran). Dapprima Traiano ottenne alcune vittorie, ma poi le cose non andarono bene, ci furono delle
sconfitte e Traiano morì di malattia in terra straniera nel 117. Un regno che gli studiosi giudicano in tempi positivi e ne
parlano bene anche le fonti antiche. Traiano fu un buon imperatore, fece costruire nuove biblioteche e monumenti. E’
sotto Traiano che Tacito scrive la sua opera storica. Poco prima di morire aveva scelto il suo successore Adriano, anche
lui di origini spagnole (117 - 138). Fu un regno ricco di sviluppi positivi. Innanzitutto Adriano decide di non procedere più
a conquiste territoriali. La guerra con i Parti stava andando male e Adriano stipula un accordo, arretra un po’, lascia
alcune conquiste e da questo momento non ci saranno più imprese di conquista da parte di imperatori romani. Adriano
era un uomo di cultura e praticò nei confronti dei suoi sudditi una politica molto buona; viaggiò moltissimo all’interno delle
varie province per rendersi conto dei problemi. Sappiamo che viaggiava non con una corte di seguaci ma con un seguito
di ingegneri e architetti, persone esperte nei loro campi che avevano il compito di rendersi conto della condizione delle
infrastrutture e di presentare e preparare dei progetti per migliorare le strutture di queste varie province. Scrisse anche
dei versi. Morì a Roma di morte naturale. Si era fatto costruire un mausoleo (oggi si chiama Castel Sant’Angelo). Una
scrittrice francese del ‘900, Margherita Yourcenar ha scritto un romanzo negli anni ’50, Memorie di Adriano. La Yourcenar
scrive un romanzo non “storico”, erudito, ma sa calarsi nell’anima di Adriano, riesce a riviverla.
Publio Cornelio Tacito (o Caio Cornelio Tacito)
Gli studiosi lo fanno risalire ad una data intorno al 55. Tacito nasce quando è appena incominciato il regno di Nerone.
Tacito è un contemporaneo di Nerone ma è appena nato e sarà un ragazzino quando morirà Nerone. Non sappiamo se è
nato in Umbria o in Gallia. Sappiamo che è nato in una famiglia benestante. Tacito fu coinvolto nella carriera politica per
tutta la sua vita (non come Livio). Comincia la sua carriera politica già al tempo dei Flavi, di Vespasiano. Continua anche
sotto Domiziano che sarà il momento più duro per lui perché era un tempo di persecuzione degli scrittori, per coloro che
non erano d’accordo con l’imperatore. Continuò anche sotto Domiziano la sua carriera politica ma non si espose
particolarmente, si è comportato con prudenza e ha assistito ai processi che l’imperatore ha intentato a uomini contro di
lui. Questa carriera riprende con forza sotto Nerva e Traiano e Tacito raggiunge anche il consolato (che però non aveva
più l’importanza del tempo della repubblica). Dopo il consolato divenne governatore della provincia d’Asia. Le notizie
sulla vita di Tacito si chiudono lì. Probabilmente morì intorno al 120 (all’inizio del regno di Adriano). Tacito era avvocato e
difende clienti per vicende private. Era un bravissimo oratore, sapeva parlare bene in pubblico. L’attività che ha
consegnato ai posteri comincia tardi, attorno ai 40 anni. Comincia a scrivere l’opera che arriva a noi sotto Domiziano.
Dice che con Nerva e Traiano si “respira” e inizia ad affrontare argomenti di tipo storico o comunque vicino alla storia. Le
prime sue opere sono piuttosto brevi. Le opere di Tacito sono tutte giunte a noi ma le maggiori mancano di qualche
parte, per esempio gli Annales non sono completi, abbiamo buchi.
Le opere precedenti agli Annali (opera ultima): innanzitutto c’è un’opera che si intitola dialogo sugli oratori, Dialogus de
Oratoribus, Tacito in quest’opera rappresenta tre personaggi che discutono con una certa affabilità (ma non sono toni
polemici). Ciascuno di questi personaggi ha un punto di vista proprio ma ne parlano con tranquillità. E’ un po’ lo stile di
alcune opere di Cicerone. L’argomento su cui discutevano è: come mai l’eloquenza, il modo di parlare in pubblico, è in
declino ai giorni nostri? Ciascuno di questi personaggi interviene, Tacito non interviene ma immagina se stesso presente
e da giovane. Non è un documento storico, probabilmente la discussione non è avvenuta. C’è chi dice che l’eloquenza è
in crisi perché i giovani non sono più preparati in modo adeguato dalle scuole. Un altro punto di vista è di ben altro
tenore: il cambiamento della situazione politica ha provocato il declino della retorica (punto di vista anche di Tacito).
Perché ci sia un’eloquenza viva ed efficace occorre che ci sia una libertà politica come al tempo della repubblica. Scrive
quest’opera nei primissimi anni del regno di Traiano, in cui, rispetto a Domiziano, c’era maggiore libertà e questi stessi
imperatori per adozione si compiacevano di sottolineare che si poteva parlare con più libertà. Tacito partecipa alla vita
politica del suo tempo e ha delle responsabilità ma guarda con nostalgia i tempi dell’età repubblicana. 13/02/15
Con Adriano comincia un periodo in cui l’impero romano decide di non fare compagne di conquista. A testimonianza di
questo Adriano fece costruire in Gran Bretagna una sorta di muraglia (Vallo di Adriano) che separava la parte dell’isola
britannica conquistata dai romani dal nord (Scozia), valore difensivo e simbolico, non volevano conquistare oltre).
Con l’impero vi è un maggiore controllo sui cittadini rispetto all’oligarchia. Tacito scrive due monografie, che riguardano
un argomento specifico. La prima è Germania, a metà strada tra storia e geografia, parla di usi e costumi dei germani
(che non divennero sudditi romani); quando Tacito decide di scrivere quest’opera Traiano è appena stato scelto, è un
valido comandante che ha dei propositi di conquista dei territori germanici e quest’opera si può inquadrare come un testo
con il quale Tacito vuole fornire informazioni su queste popolazioni del nord ai romani. Si divide in due parti: la prima
parte è di carattere generale (origini, struttura della loro società, religione, come vestono,..); la seconda parte passa in
rassegna le varie tribù indipendenti (talvolta alleate, talvolta in guerra tra di loro). Tacito guarda queste popolazioni con
due atteggiamenti: non nasconde la simpatia per il tenore di vita che sostengono, crede che sostengano una vita sana,
in contrapposizione con la corruzione presente a Roma al tempo (Tacito è sempre nostalgico dei tempi lontani, quando
Roma non era corrotta dal lusso delle famiglie aristocratiche). C’è una certa ammirazione che Tacito non nasconde e
sotto sotto vorrebbe quasi che i romani prendessero un po’ esempio da queste popolazioni del nord.
L’altro atteggiamento è però quello di paura. Riconosce che queste popolazioni del nord possono costituire un pericolo
grazie ai loro costumi più sani e quindi c’è il rischio che sconfinino dalle loro terre verso quelle dell’impero romano. Fa un
auspicio, ed è un ragionamento giusto, è ciò su cui aveva giocato Giulio Cesare per conquistare la Gallia: questi germani
sono uomini coraggiosi, conducono una vita sana anche se talvolta di fronte a una battaglia persa si perdono d’animo,
però ciò che aiuta noi romani (per il momento almeno) è il fatto che queste tribù sono spesso in discordia tra loro. Meno
male perché se si coalizzassero, se diventassero uno stato solido, con il loro tenore di vita, l’impero romano
minaccerebbe di crollare o di correre seri rischi. E’ una sorta di “profezia” se guardiamo quello che avvenne secoli dopo,
le invasioni barbariche. Gli studiosi tedeschi non le chiamano invasioni barbariche, parlano di spostamenti di popoli
perché queste tribù non avevano una sede fissa, si fermavano in un luogo per un determinato periodo (non erano
popolazioni dedite ad una vita di tipo agricolo ma di caccia, sfruttamento del territorio immediato) e quando quel territorio
era sfruttato al massimo ne cercavano uno nuovo. Questo è il contenuto della Germania di Tacito, molto studiata in
Germania perché parla degli antenati. Queste popolazioni del nord non avevano una letteratura scritta, non usavano la
scrittura anche se la conoscevano. Tramandavano vicende attraverso canti e recitazioni a memoria. E’ un testo
importante per i tedeschi. Il limite di quest’opera è che si basa su fonti scritte.
L’altra opera simile alla Germania si intitola Agricola. Riguarda un personaggio parente di Tacito, il suocero. Tacito aveva
sposato la figlia di Agricola, era un militare che soprattutto al tempo di Domiziano si era trovato ad affrontare
un’impegnativa campagna militare in Britannia con il proposito di ampliare questo territorio verso il nord. I risultati c’erano
stati, Agricola aveva ottenuto dei successi che avevano esteso territori della Britannia verso il nord. Finita la campagna
militare Agricola era entrato a Roma ma poco dopo era morto in circostanze misteriose. Si andava dicendo che fosse
stato avvelenato per ordine dell’imperatore Domiziano. Tacito scrive questo testo quando Domiziano è ormai morto per
ripercorrere tutta la vita di Agricola, aspetto biografico del testo, ma al tempo stesso molto elogiativo. Può essere
considerato quasi come un elogio funebre. Tacito si ferma anche qua e là sulla figura di Domiziano perché era sotto
questo imperatore che Agricola aveva ottenuto i suoi successi militari in Britannia però poi era avvenuta una morte in
circostanze misteriose. Tacito riporta le voci che correvano, ma non è sicuro neanche lui: si pensava che Domiziano lo
avesse fatto eliminare. Perché però Domiziano avrebbe fatto eliminare Agricola, generale vittorioso? Per una sorta di
gelosia, di invidia. Riteneva che potesse fargli ombra. Tacito anche in questo testo si sofferma sugli usi e costumi dei
Britanni, c’è un’amplia digressione di carattere antropologico e anche qui dimostra di apprezzare certe consuetudini
britanniche. Dal punto di vista della lingua e dello stile troviamo già un latino che è particolarmente tacitiano. Un latino
che non è facilissimo, talvolta sottintende delle parole, usa frasi molto sintetiche. Si nota già in queste due opere uno
stile più personale (non è così nel dialogo degli oratori, dove abbiamo un latino più ciceroniano). A proposito del dialogo
degli oratori ci sono stati in passato anche nella prima metà del 900 degli studiosi che sostenevano che il dialogo degli
oratori non sarebbe stato scritto da Tacito, ma ormai è un’ipotesi che non ha più grande seguito. Uno dei motivi che
veniva addotto è proprio la lingua e lo stile, molto diverso da quello di Germania, Agricola e delle opere storiche.
Le due opere storiche sono nell’ordine le Storie e gli Annali. Entrambe queste opere non ci sono giunte nella loro
interezza. Le Storie probabilmente erano costituite da 14 libri, noi abbiamo i primi 4 e una parte del 5. Di cosa
parlavano? Del periodo che va dalla morte di Nerone alla morte di Domiziano, un brutto periodo della storia romana.
Tacito l’aveva vissuto in prima persona. L’altra opera sono gli Annali che dovevano essere almeno in 16 libri e Tacito
tornava indietro, non parlava del periodo successivo alla morte di Domiziano (il suo) ma tornava indietro e partiva dalla
morte di Augusto. Cominciano dalla morte di Augusto e proseguivano fino alla morte di Nerone. Di quest’opera abbiamo i
libri che vanno dal primo al sesto (con qualche lacuna, il 5 è in buona parte perduta) e parlano del regno di Tiberio. Poi
c’era il regno di Caligola e i primi anni del regno di Claudio, di cui noi non abbiamo niente, dal 7 fino ad una parte del
libro 11. A noi è poi arrivata l’ultima parte del libro 11, quello in cui troviamo la vicenda di Claudio e Messalina. Abbiamo
ancora l’ultima parte del regno di Claudio nel XII e poi arriviamo fino a una parte del XVI, con il regno di Nerone, ma non
fino al termine, ci mancano gli ultimi due anni circa, andata persa la parte in cui Tacito narrava la morte e la fine di questo
regno. Sembra che volesse anche occuparsi dei suoi tempi, parlare del regno di Nerva, di Traiano, però questa
promessa che aveva fatto non venne mantenuta. Si mise a scrivere dal regno precedente, il regno di Tiberio e non arrivò
ai suoi giorni. Dal punto di vista della lingua e dello stile si prosegue con questo latino molto personale che troviamo già
nella Germania e nell’Agricola. Ci sono termini anche inventati e qua e là ci sono anche racconti con notevole efficacia
poetica e soprattutto sono di poesia tragica. Quello che vedremo è, nel gruppo di capitoli degli annali in cui è narrata la
morte di Agrippina, Tacito ha questo tono da poeta tragico, che riesce a calarsi nella vicenda terribile in cui un figlio
decide di sbarazzarsi della propria madre. Una parte di questa tragedia sarà sviluppata nell’Ottavia.
Caio Svetonio Tranquillo
L’altra fonte che ci farà da guida è Svetonio. Sembra fosse nato a Ostia, non è sicuro ma è l’ipotesi più attendibile.
L’anno di nascita non è noto con precisione. Gli studiosi lo mettono intorno al 70 d.C. (più giovane di Tacito di una
quindicina d’anni). Apparteneva a una famiglia equestre, ceto medio - borghese, non una famiglia altolocata come quella
di Tacito e da quel che sappiamo non particolarmente benestante. Abbiamo varie notizie dalle quali emerge che Svetonio
sentiva il bisogno di appoggiarsi a potenze del tempo per avere aiuti, incarichi (un lavoro). Il primo che ricordiamo è un
uomo che fa parte anche della letteratura latina di questo tempo, Plinio il Giovane, anche molto amico di Tacito, più o
meno coetanei. Ben addentro anche Plinio ai salotti buoni della Roma imperiale dei tempi di Nerva e Traiano, ebbe
anche lui un consolato e fu governatore in Asia minore. Da questo Plinio Svetonio aveva avuto degli aiuti. Plinio il
Giovane si chiama così perché un suo zio viene definito Plinio il Vecchio. Alla morte di questo Plinio, Svetonio si era
trovato senza aiuto di tipo “economico” ma aveva avuto la fortuna di appoggiarsi ad un altro personaggio, un militare,
Setticio Claro, prefetto del pretorio. Aveva avuto appoggio da questo importante personaggio e grazie a lui era riuscito ad
ottenere un incarico alla corte di Adriano (quindi dopo il 117, quando sale Adriano al potere). In particolare era segretario
capo, segretario personale dell’archivio di Adriano, un incarico di notevole peso. Grazie a questo incarico, che gli
consentiva libero accesso negli archivi della corte, Svetonio poté documentarsi a fondo per scrivere le proprie opere.
Egli era un uomo di studio, scrisse, molto, sono opere soprattutto di erudizione, lingua, letteratura, scrisse anche in
greco. Però di tutto questo materiale a noi è giunta solo una parte, molte perdute, di alcuni abbiamo frammenti. E’ giunta
a noi la parte che lo caratterizza come un biografo. Svetonio è passato alla storia come biografo. Scrisse le vite di tanti
personaggi più o meno importanti della storia e della cultura romana. Innanzitutto scrisse un’opera intitolata gli uomini
illustri (cfr Cornelio Nepote). Era divisa in varie parti, la sezione dei poeti latini, dei grammatici, storici, oratori. Di tutto
questo a noi è giunto poco, alcune vite di poeti (Vigilio, Orazio), la sezione dei grammatici, qualcosa sugli oratori e il
resto è perso. Invece è giunta a noi l’opera sua più famosa: le vite di 12 Cesari, che all’inizio aveva una dedica a questo
suo protettore, il prefetto del pretorio Setticio Claro (che non è pervenuta). Comincia con Giulio Cesare. Prosegue questa
serie di 12 Cesari fino alla morte di Domiziano, quindi dinastia Iulio Claudia, i tre imperatori di un anno e mezzo e la
dinastia Flavia. Non parlava di Adriano (imperatore regnante) o di Traiano (imperatore precedente). Perché comincia con
Cesare che non fu un vero e proprio imperatore? Egli è in sostanza colui che da’ il via all’impero romano. Le
caratteristiche di queste vite sono quelle tipiche: seguono delle rubriche, una prima parte parla della famiglia (risalendo
anche addietro nei secoli) ma sempre in termini sintetici, si descrivono gli atti buoni che hanno compiuto e poi soprattutto
le azioni negative, le nefandezze che compirono o che a loro furono attribuite. Quante mogli ebbero, quali amanti, le loro
depravazioni sessuali, i loro gusti a tavola. Si parlava di eventuali imprese militari, poi si arrivava al momento della morte,
veniva descritta più o meno ampiamente. Non sono caratteristiche inventate da lui ma c’è una tradizione che risale ai
greci nell’impostare le vite, anche Plutarco, nato trent'anni prima di Svetonio, quando presenta i suoi personaggi li
tratteggia con gli stessi criteri. Un po’ diverso è lo spirito, Plutarco è più solenne nel presentare i personaggi, cita anche i
vizi ma lo fa con uno stile un po’ più elevato. Svetonio invece si lascia molto andare e si capisce bene che gli piacevano i
pettegolezzi. Ci dice ad esempio che Augusto aveva molto freddo, portava una fascia di lana al girovita e sulle cosce,
una camicia, quattro tuniche e una toga molto spessa. E’ probabile che raccontasse un fatto vero, raccontato da persone
che frequentavano la corte. Le fonti sono fonti storiche ma anche private perché erano documenti disponibili negli archivi
privati dell’imperatore a cui lui aveva accesso. Una parte di questi materiali è stata distrutta ma una parte veniva
conservata, testi non pubblicati e lui poteva attingere a queste informazioni riservate. Talvolta cita poesie orali che
ricorrevano riguardanti questi personaggi. Non fa così Tacito che si basa su fonti scritte e storiche e segue il criterio
annalistico, sia nelle Storie che negli Annali narra le vicende dei vari personaggi seguendoli anno dopo anno. Il periodo
migliore di Svetonio però fu piuttosto breve, solo di circa 3 anni poi fu “licenziato” da Adriano e anche esonerato dal
proprio incarico Setticio Claro. Probabilmente dobbiamo considerare l’ambiente della corte, l’incarico di prefetto del
pretorio era molto importante e c’erano forse invidie a corte e gli invidiosi avevano messo in cattiva luce Setticio Claro e
Adriano, credendo a queste voci, lo esonerò dal suo incarico. Le fonti antiche che narrano questo dicono che Setticio
Claro e Svetonio avevano una certa familiarità eccessiva verso la moglie di Adriano. Non è facile capire che senso di
familiarità. Forse era solo un pretesto per cacciare da corte questi personaggi. Dopo questa notizia non abbiamo altro su
Svetonio. Gli studiosi mettono l’anno della sua morte intorno al 140 d.C.
Dione Cassio
Storico greco di secoli dopo nato intorno al 155 d.C. e morto intorno al 220-230 d.C. Scrisse in greco un’opera che è un
po’ l’equivalente delle Storie di Tito Livio, partiva dall’origine di Roma e arrivava ai suoi tempi. Di quest’opera è giunta
una sola parte. Ebbe anche lui incarichi politici sotto gli imperatori del suo tempo, uno storico documentato. All’interno di
questa opera storica parla anche di Nerone ma la parte riguardante Nerone scritta da lui è andata persa, abbiamo solo
riassunti di questa parte compilati da altri secoli dopo sempre in greco.
Nerone
Partiamo dal XII libro degli Annali che riguarda ancora il regno di Claudio, sono gli ultimi anni del regno di Claudio. E’ lì
che si creano le premesse in base alle quali Nerone diventerà imperatore e lo vedremo come imperatore all’inizio del
libro XIII ma già fin dal XII ci sono riferimenti a Nerone e alla sua famiglia. Il libro XII è giunto completo. La suddivisione
di questo libro e degli altri (libro, capitolo e a volte divisione in paragrafi) non è propria di Tacito. Tacito aveva solo la
suddivisione in libri. La suddivisione in capitoli e talvolta in paragrafi risale a tempi più recenti, a quando cominciano a
essere pubblicate edizioni a stampa. Questi libri degli Annali di Tacito si possono suddividere in due momenti, ci sono
due blocchi di avvenimenti che Tacito considera. C’è sempre un gruppo di capitoli che parlano di ciò che avviene a
Roma, soprattutto nel palazzo imperiale, centro del potere, tutte le vicende quindi legate alla corte, che sono soprattutto
vicende negative in questi tempi di cui parla Tacito. Poi ci sono particolari che riguardano Roma, che però possono
essere solo fatti di cronaca che non riguardano direttamente l’imperatore. L’altro blocco grande riguarda ciò che avviene
nelle province. Soprattutto sono vicende di guerra, magari un popolo si ribella e Tacito dice quanti uomini furono inviati e
altre informazioni. Segue sempre il criterio annalistico. Dividiamo l’analisi in vicende interne ed esterne.
Il XII per quel che riguarda le vicende di corte si possono intitolare, con un titolo nostro, la “presa di potere d’Agrippina”.
Agrippina era la madre di Nerone; era una delle figlie di Germanico, quel giovane e bravo generale del tempo di Tiberio
morto in circostanze misteriose mentre combatteva in medio oriente (anche lì si era vociferato che Tiberio avesse fatto
avvelenare questo nipote). Agrippina è la sorella di Caligola e perciò Nerone è il nipote di Caligola. Di questa donna
Tacito aveva parlato in libri precedenti però sono notizie andate perse perché ne parlava con Caligola (libri che non
abbiamo più). All’inizio del libro XIII Agirppina ha circa 30 anni, due matrimoni alle spalle, il primo di questi matrimonio
con un personaggio non molto famoso ma di una buona famiglia (dei Domizi), il marito si chiamava Domizio Enobarbo.
Dal matrimonio di Agrippina e Domizio nasce Lucio Domizio Enobarbo (il nostro futuro Nerone). Questo matrimonio non
durò molto perché Domizio muore. Agrippina si risposa con un personaggio non molto noto, Passieno Crispo. Aveva solo
un pregio: era molto ricco. Anche lui muore e non nascono figli da questo matrimonio. Si vociferava che Agrippina
avesse avuto parte nella morte di Passieno Crispo. Queste vicende avvengono durante il regno di Caligola e Agrippina si
trova coinvolta in un intrigo di palazzo e il fratello Caligola la condanna all’esilio.
E’ un brutto momento per Agrippina e Nerone, che ha 3 anni. Sono privi di tutti i beni. Nerone fu affidato a una zia, una
sorella del padre Domizio, che però Svetonio ci dice che Nerone in quel momento ebbe una educazione molto modesta
perché affidato alle cure di un ballerino e di un barbiere. Però poi Caligola muore in una congiura di palazzo e prende il
potere Claudio che rivede le decisioni prese da Caligola e fa richiamare in patria Agrippina e il piccolo Nerone torna con
la madre, vengono resi i beni e comincia una vita più decorosa per lui. Claudio fa uccidere la moglie Messalina
ufficialmente per adulterio ma probabilmente perché stava preparando una congiura con l'amante. Su questa morte di
Messalina si chiude il libro XI. Il libro XII si apre con un problema che viene discusso a corte, sembra quasi una riunione
di famiglia. Si pone il problema di trovare una nuova sposa a Claudio, uomo di circa 60 anni. Ci sono intorno a lui dei
liberti, ciascuno dei quali avanza una candidatura, una proposta, appoggia una nobildonna che ruota intorno alla corte.
Ci sono tre liberti (alla corte di Claudio avevano grande importanza). Tacito sottolinea questo aspetto del potere dei liberti
in termini molto negativi, lo giudica in maniera molto negativa ma gli studiosi moderni ritengono che Claudio avesse
messo in piedi un sistema di tipo amministrativo da lui controllato e gestito attraverso i liberti. Pallante è il liberto che
appoggia Agrippina. Da quel che ci viene detto si era arricchito molto e appoggia la candidatura di Agrippina a nuova
sposa di Claudio. Alla fine la candidatura di Agrippina prevale su quella degli altri liberti e ci si prepara quindi a questo
matrimonio. Era un matrimonio puramente politico. C’è anche un notevole divario di età. Claudio ha circa 60 anni e
Agirppina ne ha 30. A parte il divario di età, ciò che crea un problema è che Agrippina è la nipote di Claudio (Germanico
è fratello di Claudio). Non c’era la consuetudine nel mondo romano di un matrimonio fra parenti così stretti perché si
configurava come un incesto. Questa situazione nuova poteva suscitare problemi tra il popolo e si risolve proponendo
una legge in base alla quale si concede che una nipote possa sposare uno zio. Viene creata questa norma che dovrebbe
valere per tutto il popolo romano (legge ad personam). Il senato approva e si può quindi celebrare il matrimonio tra zio e
nipote. Parte di qui la corsa al potere di Agrippina che doveva essere molto ambiziosa sia per sé che per il figlio. Doveva
avere un legame molto stretto con Nerone, lei gli apre la strada verso il potere senza scrupoli, anche macchiandosi di
omicidio. Anche nella tragedia Ottavia viene sottolineato questo aspetto. Lei vuole che il figlio sia imperatore ma a
comandare sul figlio e sul regno deve essere lei. Il dramma avviene quando il figlio vuole governare e questo porterà al
matricidio. Agrippina diventa l’imperatrice dei romani, Tacito ci racconta che subito, dal momento in cui è imperatrice, si
sente la prima donna della corte. Agrippina è una donna con una lucidità estrema e sa che deve, se vuole procedere
nella vita di corte e giungere, attraverso il figlio, al potere, circondarsi di personaggi a lei legati. Anche perché non
bisogna dimenticare che Claudio ha già dei figli: Ottavia e Britannico (legittimi). Di per sé, nel caso di una successione al
trono dal punto di vista legale, l’erede al trono a cui si dovrebbe pensare sarebbe Britannico. Agrippina comincia a far
passi per questo potere e fa adottare Lucio Domizio Enobarbo (suo figlio) e così fa aggiungere al suo nome anche
Nerone. Su questa parola Svetonio ci fornisce un particolare riguardante l’origine: non era una parola propria della lingua
di Roma, era dialetto sabino, popolo vicino a Roma subito conquistato dai romani nei primi temi di Roma, era una parola
che significava forte e coraggioso. Svetonio era un uomo di studio che si documentava quindi gli possiamo credere.
14/03/15
Gli Annali di Tacito vanno dalla fine del 48 fino alla fine del 54. Sul finire del 54 verrà ucciso Claudio. L’opera di Tacito nei
codici degli Annali ha pure un secondo titolo, una sorta di sottotitolo, “dalla morte del divo Augusto”. Tacito comincia a
raccontare infatti dalla morte di Augusto e dal problema della successione. Anche l’opera di Livio ha un sottotitolo, Storie
- dalla fondazione di Roma. Agrippina è sempre più potente e sposando Claudio inizia ad accaparrarsi più potere per lei
e per il figlio, cerca di accentrare di più il potere sul figlio. Nerone ha in questo momento 12 anni. Agrippina vuole trovare
una sposa per Nerone (anche se ha 12 anni). Vuole far sposare Nerone con Ottavia, figlia che Claudio aveva avuto da
Messalina. L’età precisa di Ottavia non si conosce ma doveva essere nata verso il 40 e quindi aveva forse 9 anni. C’era
un problema: Ottavia era già stata fidanzata a qualcuno più anziano di lei, un nobile del tempo, di buona famiglia, ma
non era strettamente legato alla corte di Claudio. Questo personaggio si chiamava Lucio Silano. Agrippina che muove le
pedine di questo gioco decide di calunniare questo Silano per metterlo in cattiva luce e far rompere il fidanzamento tra i
due. Si escogita una notizia di tipo scandalistico, Silano aveva una sorella, andavano d’accordo e si mette in giro la voce
che avevano una relazione (incesto) e il senato rapidamente allontana Silano. Si scioglie il fidanzamento con Ottavia (da
che pulpito l’accusa di incesto brutta zoccola!). Per il matrimonio non c’era ancora età minima legale e Nerone e Ottavia
si fidanzano. Seneca il filosofo ebbe piena parte nel regno di Nerone e anche prima che Nerone salisse al potere. Lo
troveremo parlando dell’Ottavia un po’ perché in una parte dei codici che ci hanno tramandato le tragedie di Seneca è
compresa anche l’Ottavia sotto il suo nome e inoltre perché egli è un personaggio di questa scena. Agrippina decide di
richiamare Seneca dall’esilio e gli dà una carica politica importante, la pretura, e poi lo nomina precettore di Nerone.
Cap VIII Libro XII parte finale in cui si dice che Agrippina richiama Seneca e lo nomina maestro di Nerone. Perché
prende questa decisione? Perché Seneca era uno scrittore, un filosofo molto noto in quel tempo e Agrippina voleva
compiere un gesto di clemenza che la presentasse agli occhi dei romani come una benefattrice, qualcuno che influisce a
favore di un personaggio celebre. E poi perché sperava che Seneca fosse riconoscente a lei per averlo richiamato
dall’esilio e avergli dato un incarico di prestigio, educare il figlio dell’imperatrice. Tacito dice che era fedele ad Agrippina
ma ostile a Claudio (evidentemente aveva parlato dell’esilio nei libri che non abbiamo).
Seneca il filosofo
Il nome completo di Seneca il filosofo è Lucio Anneo Seneca. Abbiamo già citato qualche volta il padre, Marco Anneo
Seneca. I Seneca erano una famiglia di origine spagnola, non erano nati in Italia, probabilmente famiglie di coloni italici
emigrate in Spagna. Seneca era nato a Cordoba, l’anno preciso non lo conosciamo, si presume attorno al 4 a.C. o il 2
a.C., negli ultimi anni del primo secolo a.C. La famiglia di Seneca era benestante, era gente di buone risorse
economiche, di buona cultura, gente non nobile, non aristocratici, ma benestanti. Lucio Anneo Seneca era il secondo di
tre fratelli. Il primo fratello farà una carriera politica e anche Seneca il filosofo ma il terzo no, per propria scelta. I Seneca
tornano a Roma quando Lucio era un bambino. Non sappiamo neanche se andò ancora una volta tornato a Roma, non è
possibile stabilirlo dalle sue opere. Ad ogni modo gli spagnoli anche oggi guardano con favore la figura di Seneca.
Sin da giovane comincia a dimostrare interesse per la filosofia e si orienta soprattutto verso uomini che aderiscono alla
filosofia stoica e al pitagorismo (che credeva alla trasmigrazione delle anime). Seneca comincia a frequentare da
giovane i filosofi stoici e pitagorici e prende sul serio i consigli che fornivano questi filosofi, non solo lo studio delle teorie
di questi filosofi ma anche consigli pratici. Queste filosofie erano sentite come una religione che non bisogna solo
conoscere nei suoi elementi di base ma cercare di viverli anche. Seneca figlio, il filosofo, comincia anche a vivere
secondo questi valori mettendo in pratica alcuni consigli che davano, per esempio il consiglio di un tenore di vita sobrio,
anche con la rinuncia a determinati cibi (cfr religioni che hanno privazione di cibi). Una di queste pratiche consisteva nel
rifiuto di mangiare carne perché si diceva che siccome c’è la trasmigrazione delle anima è possibile che stai mangiando
tua nonna morta. Seneca credeva talmente tanto in questo che inizia ad avere tanti problemi di salute, era un malato
cronico. Aveva comunque trovato modo di far coesistere le malattie con la sua attività. Seneca non morirà per le proprie
malattie ma morirà perché Nerone gli ha mandato l’ordine di uccidersi. C’è anche un altro problema, siamo al tempo
dell’imperatore Tiberio, Seneca è giovane e Tiberio guarda con sospetto alle pratiche filosofiche che talvolta sanno di
pratiche magiche e aveva anche già provveduto a cacciare dei filosofi, degli astrologi, era pericoloso quindi ostentare il
proprio “credo”. Su consiglio del padre che non aveva visto bene le pratiche di Seneca, Seneca figlio decide di rinunciare
a queste forme di digiuno a malincuore. Al tempo stesso però la salute di Seneca era precaria e allora poteva
permettersi di andare a trascorrere un periodo di convalescenza per rimettersi in forze altrove e il luogo che si sceglie è
l’Egitto. Probabilmente non solo per motivi di salute ma anche per allontanarlo da quell’ambiente romano pericoloso
(Seiano, molte spie, ecc). Seneca figlio va in Egitto, ma non ci va da “sconosciuto”, il governatore dell’Egitto in quegli
anni era uno zio di Seneca perché la moglie del governatore era una sorella della mamma (i Seneca erano persone
importanti). Sappiamo anche che i Seneca in Egitto avevano molti beni. Lì trascorre una serie di anni dove si rimette in
forze e si dedica agli studi, caratteristica costante della vita di Seneca. Era un uomo di larghi interessi culturali, le opere
da lui scritte infatti abbracciano i campi più diversi. Approfitta per studiare gli usi e costumi dei faraoni e degli egizi che
però non abbiamo (una delle sue prime opere). Termina questo periodo che probabilmente era stato di alcuni anni e poi
ritorna a Roma dove comincia anche a partecipare alla carriera politica. Si fa conoscere come studioso di filosofia e
come oratore, teneva anche discorsi in pubblico, ovviamente non discorsi di natura politica ma poteva difendere clienti
per questioni private, o cose così. Tutto questo gli procura una certa notorietà. L’imperatore non è più Tiberio ma
Caligola. Abbiamo qualche notizia riguardo a un pericolo di vita che corse Seneca sotto Caligola: sembra che
l’imperatore non lo vedesse bene, non sappiamo bene perché ma sembra che volesse eliminarlo. Ci è pervenuto un
giudizio di Caligola sulle opere di Seneca: non le giudicava molto bene, diceva che lo stile di Seneca, il modo in cui
scriveva le proprie frasi, era come sabbia senza calce, non c’era qualcosa di solido, come se fosse un castello di sabbia
che può andar giù da un momento all’altro. In effetti il modo di scrivere che ha Seneca è diverso in buona parte da quello
di Cicerone, ad esempio, perché usa frasi molto brevi (mentre Cicerone si compiace di periodi lunghi e complessi),
Seneca ha un altro stile, più efficace. Caligola aveva magari anche supposto che Seneca potesse mettergli ombra,
aspirare a qualcosa di troppo altro, voleva farlo condannare a morte. Intervenne a favore di Seneca una cortigiana,
un’amante di Caligola che riuscì con una specie di battuta a salvare la vita di Seneca (lei dice “ma lascialo vivere questo
Seneca tanto non ha vita lunga”: Seneca è così malato, così cagionevole che ha i giorni contati). Questa notizia ci
proviene da Dione Cassio. Ciò che è interessante è che senza dubbio, vera o non vera questa notizia, fra Seneca e
Caligola non correva buon sangue, in quanto nelle opere di Seneca che sono giunte noi ci sono parecchie pagine
dedicate a Caligola, visto in termini estremamente duri. Seneca doveva avere qualche ragione personale per parlare
così male di Caligola, come tiranno sanguinario e crudele. Comincia nel 41 il regno di Claudio. Sembra che il pericolo
per Seneca sia finito e non è così: tocca a Seneca uno dei periodi più amari della sua vita, Claudio va al potere, la sposa
di Claudio in quel momento è Messalina e per ordine di Messalina Seneca viene condannato all’esilio, viene esiliato
all’improvviso (nel 41) nell’isola di Corsica (il terzo che vediamo, Cicerone, Ovidio e Seneca). Seneca viene condannato
all’esilio da Messalina che non aveva avuto mai niente a che vedere con Seneca. Seneca fu condannato all’esilio per un
intrigo che coinvolgeva una principessa della corte, Giulia Livilla, sorella di Agrippina e Caligola. Si diceva che c’era una
relazione tra Giulia e Seneca. Messalina temeva altri personaggi femminili che frequentavano la corte di Claudio, questa
Giulia Livilla non era una principessa di rilievo, non contava nulla ma era stata la sorella di Caligola, imperatore predente,
e di Agrippina. Messalina temeva che Giulia Livilla con l’appoggio di personaggi di spicco (tipo Seneca) potesse trovare
un seguito, arrivare al potere e far cacciare Messalina. La Corsica al tempo dei romani era una provincia, un luogo in
buona parte ancora semibarbaro, molto agreste, un personaggio come Seneca, abituato alla vita di corte e frequentare
la città di Roma, non poteva partire contento per un luogo simile. Rivive la situazione di Ovidio e parte per una provincia.
Comincia nel 41 questo esilio in Corsica, Seneca viene richiamato nel 49 (come ci dice Tacito). In questi 8 anni scrive
delle opere, almeno due sicuramente appartengono a questo periodo, per altre non si sa. Ricordiamo le due opere, che
appartengono ad un genere letterario di filosofia, sono due consolazioni. Sono opere brevi, di 20 o 30 capitoli. Era un
genere di filosofia molto diffuso già nel mondo greco con il quale qualcuno, un pensatore, si proponeva di consolare
qualcun altro perché a questo altro era capitata una sventura, poteva essergli morto un partente o una sventura di altro
genere. C’era qualcuno che attraverso una serie di argomenti, a volte molti luoghi comuni, si proponeva di consolare
qualcuno. Seneca scrive queste due opere dedicate a due persone, una è “consolazione a Elvia”, sua madre. Perché
Seneca vuole consolare la madre? La consola del fatto che lui, il figlio, è andato in esilio, questo è il motivo di fondo del
testo. In un certo senso Elvia ha perduto il figlio. Seneca più che parlare della madre parla di sé e di come vive nell’esilio,
è un documento importante per sapere come Seneca trascorreva le sue giornate in Corsica e lo fa presentando gli
argomenti tipici con i quali si cerca di consolare una madre e si basa anche lì su luoghi comuni che riguardavano l’esilio,
cerca di alleviare il dolore dicendo che l’esilio è solo un cambiamento di luogo, non ha importanze se uno è a Roma o
altrove, ci sono interi popoli che cambiano posto. Un altro motivo è che, dice alla madre, di trascorrere le giornate
studiando, guardando il cielo, studiando l’ambiente e possiamo credergli. Non sappiamo in che anno preciso ha scritto la
consolazione. Seneca presenta la sua vita in esilio in una luce positiva.
Ricorda anche qualche particolare della sua vita privata, ricorda che aveva perso un figlio poco prima di partire per
l’esilio e ancora poco prima (però punto incerto, studiosi non sicuri) avesse perso la prima moglie. Seneca si presenta
fiducioso scrivendo alla madre e attinge alla filosofia e agli dei che non abbandonano gli uomini. Però c’è l’altra
consolazione che viene scritta da Seneca a Polibio (nessun legame con lo storico Polibio), un liberto della corte di
Claudio, piuttosto importante in quegli anni, occupava una carica di segretario personale dell’imperatore. Sappiamo già
l’importanza dei liberti al tempo di Claudio. A questo Polibio era morto un fratello e Seneca vuole consolare Polibio e
anche qui ci sono i luoghi comuni: questo fratello è morto ma vivrà una vita felice nell’aldilà, la morte tocca a tutti. Ma il
punto importante di questa consolazione è un altro: Seneca qui ci parla della sua vita in esilio in termini molto negativi.
Presenta la sua vita come difficile, in un luogo rozzo senza cultura, senza vita civile di alcun genere e fa un grande
elogio di Claudio, dell’imperatore Claudio, dello stesso Polibio che viene presentato come un uomo di alto tenore.
Seneca vorrebbe che questo Polibio a cui lui si rivolge intercedesse presso Claudio per farlo richiamare a Roma, noi
sappiamo che al tempo di Claudio in effetti talvolta erano stati richiamati degli esuli e anche Seneca puntava su questo
(cfr Ovidio). Seneca non fu richiamato (almeno non grazie a questa cosa). Come stava veramente questo Seneca? Avrà
avuto degli alti e bassi in questo esilio. Per Elvia possiamo pensare che abbia esagerato un po’ per farla stare tranquilla.
In passato alcuni studiosi hanno detto che la consolazione a Polibio non è di Seneca ma è un falso per gettare discredito
su di lui. Alcuni storici pensavano che Seneca fosse talmente un filosofo stoico al cento per cento che non poteva essersi
abbassato ad adulare Polibio per chiedere il ritorno a Roma. Oggi non c’è più nessuno che neghi la paternità senecana
di questa consolazione. Bisogna vedere Seneca come un uomo in carne ed ossa, con le sue debolezze.
Ci sono altre operette filosofiche che possono risalire a questo periodo. Una si chiama “La Provvidenza”, si pone il
problema: perché a uomini buoni capitano sofferenze nella vita? E Seneca risponde con un argomento tradizionale tipico
delle religioni: gli dei vogliono mettere alla prova gli uomini buoni. Un’altra si intitola “La fermezza dell’uomo saggio”,
esaltazione della figura dell’uomo stoico. L’ideale dello stoico è lasciare da parte tutte le passioni e mostrare fermezza
anche in circostanze dure. Qui presenta un modello: Catone l’Uticense, personaggio che non aveva voluto arrendersi a
Giulio Cesare e si era ucciso per non diventare un suddito di Cesare. E’ anche un esempio della fortuna di Catone nel
corso dei secoli. C’è anche un’altra opera che si intitola “L’Ira”. Tutti questi argomenti non sono novità introdotti da
Seneca, appartengono a filosofi anche antichi. Seneca attinge ad un patrimonio comune di argomenti e poi ci mette del
suo. Presenta l’ira in termini molto negativi. Presenta la persona che cede all’ira come qualcuno che cede a una
passione smodata, un uomo che si degrada, abbandonandosi a qualcosa di sbagliato, invece di credere nella ragione,
nella fermezza, cede alla passione. Qui cita vari esempi di personaggi storici greci e latini e in particolare cita Caligola
che viene presentato in termini molto neri e cupi ma il fatto che Seneca lo presenti così lascia capire che c’era stato
qualcosa di molto grave fra i due.
A questo punto arriva il richiamo di Agrippina, Seneca torna a Roma e comincia una nuova fase della sua vita, quella più
nota, sarà legata d’ora in poi alle vicende di Nerone, di questo giovane che nel 49 ha 12 anni.
Cap V libro XII = criterio annalistico che usa Tacito, lo introduce così (leggi l’inizio). I romani indicavano l’anno con i nomi
dei consoli. Qui nel cap V troviamo questa prima indicazione (i cap da I a IV indicano ancora il 48) il cap V comincia con
l’indicazione dei consoli: erano consoli Caio Pompeio e Quinto Veranio. Al cap XXII viene condannata a morte una
donna. Cap XXV notizia su Nerone che viene adottato da Claudio. Il nome di Nerone gli viene conferito dal senato
(Senato burattino mosso da Agrippina). Agrippina riceve un nuovo titolo, riceve il titolo di Augusta. Silano si è ucciso il
giorno del matrimonio tra Agrippina e Claudio. Nel frattempo c’è sempre il problema di Britannico, il figlio legittimo di
Claudio e di per sé sarebbe l’erede al trono, alla morte di Claudio. Cosa fare di questo Britannico? E’ più giovane di
Nerone, ha 4 anni di meno. E’ ancora un bambino ma crescerà. Agrippina cerca i mezzi per isolare Britannico,
emarginarlo sempre di più, in questi capitoli Tacito ci mostra questa donna che si impegna e riesce a isolare britannico.
Claudio è un personaggio che accetta tutto quello che suggerisce Agrippina, un altro modo che hanno le fonti antiche per
presentarci questo uomo (succube delle donne e dei liberti). Gli studiosi moderni non concordano, dicono che Agrippina
non aveva tutto quel potere che Tacito e gli altri presentano. A Nerone si fa cominciare una carriera politica prima di
quanto gli anni lo consentissero per mettere in buona luce agli occhi del pubblico e per far si che britannico appaia
sempre di più come un bambino ma in questo modo la differenza tra i due risultava di più.
Nel Cap 41 apprendiamo che a Nerone viene data la toga virile che si dava ai giovani romani all’età di 17 anni (maggiore
età). Aveva 14 anni, siamo nel 51, era un ragazzino ma gli viene concessa la toga. Tacito riporta anche un piccolo litigio
tra Britannico e Nerone. Britannico era stato salutato da Nerone con “Britannico” e Britannico lo aveva salutato con il
nome di Domizio e Nerone si era risentito (perché era il nome che usava prima di essere stato adottato).
Al 42 troviamo un altro personaggio di cui parleremo più avanti, sempre per questo tentativo di accentrare il potere
Agrippina decide di promuovere a una carica di prestigio un altro personaggio. Adesso si tratta di risolvere il problema di
chi sarà il capo dei pretoriani, della guardia imperiale, il prefetto dei pretori. In origine erano due. I capi dei pretoriani
erano due ed erano uomini legati a Messalina. Agrippina ritiene opportuno e non sbaglia che sia bene licenziare e
congedare questi due capi e sceglierne uno solo che sia legato a lei. Così questo nuovo sarà grato a lei per questa
promozione e in più lei giocava anche sul fatto che apparteneva alla sua famiglia: Germanico era molto popolare e la
figlia, Agrippina, contava solo già per essere sua figlia. Nomina un nuovo personaggio: Affranio Burro. Sarà collaboratore
di Seneca nella guida di Nerone e dalle notizie di Tacito risulta che questa collaborazione fu sempre ottima (cosa strana
perché erano due uomini molto diversi e entrambi con responsabilità notevoli nei confronti dell’imperatore). Tacito lo
presenta come un buon militare, un buon ufficiale, ma gli studiosi hanno messo in dubbio questo parere perché non
risulta che Burro avesse compiuto particolare imprese militari e non le compirà in seguito perchè sarà sempre a Roma.
E’ un luogo comune per Tacito presentare tutti gli uomini militari come molto valorosi e bravi in battaglia. Più che altro
Burro aveva notevoli capacità in campo amministrativo e organizzativo e Agrippina probabilmente conosceva queste
competenze e voleva un uomo affidabile al suo fianco. Burro veniva dalla Gallia. Le province entrano sempre più luoghi
che contano, del potere. L’impero romano è ormai un impero sovrannazionale. Questo coinvolge anche la letteratura.
Proprio a partire da Seneca e dall’età di Nerone vediamo come dalla Spagna giungono a Roma altri autori di origine
spagnola. Nel I secolo d.C. abbiamo gente che viene dalle province che va a Roma e fa i propri studi. La letteratura
latina varca i confini dell’Italia. Burro provincia quindi dalla Gallia, che si è romanizzata ed è ormai diventata provincia
dell’impero molto ricca e prospera, non crea particolari problemi dal punto di vista militare a differenza di altre parti.
Cap 58 abbiamo le nozze. Siamo nell’anno 53 e la notizia del matrimonio tra Nerone (14 anni) e Ottavia (13 anni) viene
data in poche righe. E’ l’inizio per Ottavia di un periodo nero. Il matrimonio con Nerone fu un vero disastro. Di Ottavia è
difficile dare un ritratto perché le fonti ce ne parlano poco, non abbiamo notizie particolari ma il matrimonio con questo
giovane facile ad avventure amorose con altre donne è difficile. Ci avviciniamo alla fine del regno di Claudio di cui ci
parlano gli ultimi capitoli di questo libro. Tacito ci presenta questa fine del regno come una cosa improvvisa. Sembra che
Claudio avesse avuto qualche ripensamento a proposito di Britannico, sembrava che adesso volesse lui al potere. Aveva
in proposito di lasciare a lui il trono: di fronte a questo Agrippina si spaventa e decide di affrettare la fine di Claudio, di
risolvere così il problema.
Cap 64 I presagi. In questo capitolo si ricordano dei presagi, dei fatti strani che avvengono a Roma e che puntualmente
questi storici antichi registrano, talvolta ci credono talvolta li registrano per dovere di cronaca. Anche nell’opera storica di
Livio sono molto frequenti questi elenchi di presagi che avvengono in momenti piuttosto critici, quando sta per succedere
qualcosa di negativo, una sconfitta militare o la morte prossima di un personaggio importante come Claudio.
19/03/15
Capitoli conclusivi XII libro Annali di Tacito.
Muore Claudio e Nerone diventa imperatore. C’erano stati dei prodigi (i presagi) (anche per la morte di Giulio Cesare, in
passato). Era un tema costante, soprattutto nelle fonti annalistiche. Claudio aveva avuto dei ripensamenti a proposito
della posizione di Britannico. Stando alle fonti, Agrippina dopo questo ripensamento decide di eliminare lo zio e marito
Claudio con il veleno. Sceglie una donna, Locusta, esperta in veleni, per preparare il veleno. Questo veleno viene servito
a Claudio su dei funghi, di cui lui era Ghiotto. Claudio mangia il fungo ma questo veleno non fa subito effetto. Claudio è
colto da qualcosa che lo libera miracolosamente dal veleno: la diarrea fa si che questo veleno venga evacuato. Si
coinvolge rapidamente il medico personale di Claudio in un’azione che era normale nei banchetti dei romani: per
continuare a mangiare e ad ingozzarsi ad un certo momento si usavano espedienti per rimettere e riprendere a mangiare
(con una piuma d’uccello spinta in gola per causare conati). Il medico spinge in gola una piuma cosparsa del potente
veleno e così Claudio muore. Agrippina si è liberata dello zio-marito, ma la situazione va affrontata con cautela: non
viene comunicato subito da Agrippina alla corte e ai figli di Claudio che l’imperatore è morto. Si ricorre ad un espediente:
si comunica la notizia che l’imperatore è ammalato e si sta auspicando che si salvi. Agrippina ha cura che i figli di
Claudio vengano tenuti in altre stanze. Aspetta in modo che tutto sia pronto per proclamare Nerone imperatore. Qui entra
in gioco un pizzico di superstizione: degli astrologi avevano detto ad Agrippina che Nerone sarebbe diventato imperatore
e lei aspettava questo momento. Quando tutto è pronto si comunica apertamente che Claudio è morto. Esce Nerone,
accompagnato da Burro, le guardie di sorveglianza (pretoriani) vengono informate e si domandano dove sia Britannico
(non sarebbe lui l’erede?). Nerone viene caricato sulla lettiga e condotto all’accampamento dei pretoriani ed essi lo
salutano come imperatore. Il passaggio in senato ratifica quanto hanno deciso i pretoriani: Nerone è imperatore. Non ha
ancora compiuto 17 anni (è l’ottobre del 54, lui nato a dicembre). Agrippina ha raggiunto quell’obiettivo che si era
proposta. Ci sono riti tipici che si fanno alla morte dell’imperatore: viene divinizzato. Particolare: non viene letto il
testamento di Claudio perché non si vuole che si espliciti che Nerone sia stato preferito al figlio Britannico. Fine libro XII.
Sul problema dell’avvelenamento di Claudio le fonti antiche sono parecchie e sono quasi tutte concordi che Claudio sia
avvelenato con il fungo. Anche Svetonio nelle pagine in cui parla della vita di Claudio conferma questi particolari. C’è uno
scrittore antico però secondo il quale questa faccenda dell’avvelenamento di Claudio era solo una diceria messa in giro,
scrittore di origine ebraica, scrive in greco, Flavio Giuseppe. Gli studiosi moderni si dividono tra le due ipotesi (morto per
disturbi intestinali e non per veleno). Anche il fatto di aspettare ad annunciare la morte dell’imperatore è qualcosa che nel
corso della storia ogni tanto capita quando si tratta di personaggi potenti che sono a capo di stati totalitari.
Gli eserciti contano sempre di più e ne abbiamo un esempio anche qui: chi è che proclama Nerone imperatore? I
pretoriani. Viene accompagnato da Burro (prefetto del pretorio) e i pretoriani, militari più vicini all’imperatore che devono
scortarlo e difenderlo, sono coloro che lo proclamano imperatore. Il senato si limita a ratificare. Le province conteranno
parecchio perché diventeranno imperatori dei comandanti che avevano a disposizione eserciti dalla loro parte.
Nell’ultimo capitolo del libro, il 69esimo, Tacito per dire che i pretoriani proclamano Nerone dice: imperator consalutatur,
l’imperatore è salutato. La parola è usata come la usiamo noi invece ai tempi della repubblica era usato nel senso di
generale che aveva ottenuto una vittoria.
Vicende interne
C’è una notizia secondo cui Claudio negli anni dell’impero ampliò il cosiddetto pomerio intorno a Roma. Il pomerio era
una striscia di terra che circondava la città di Roma, delimitata da pietre. Aveva un significato simbolico, risaliva a tempi
lontani e rispecchiava, secondo la tradizione, il solco che avrebbe tracciato Romolo con l’aratro per fondare la città. Poi
questo pomerio venne, crescendo la città, sempre più esteso e spostato in avanti. Anche Claudio contribuì a questo.
Altre vicende riguardano ulteriori prodigi come terremoti o anche il problema della carestia, la mancanza di cibo. Sotto il
regno di Claudio vennero cacciati dall’Italia gli astrologi, coloro che si occupavano attraverso profezie e consultazioni
degli astri, di preannunciare avvenimenti di tipo negativo. Ci fu poi un provvedimento utile: per evitare che le acque del
lago Fucino intorno a Roma si disperdessero fu costruito un canale al tempo di Claudio e questo provvedimento venne
festeggiato con una battaglia navale sul lago. Questi lavori non erano stati eseguiti bene e ci fu da rimettere le mani a
quest’opera. Inoltre: esenzione delle tasse di alcune città dell’impero romano, in particolare della città di Bisanzio (poi
chiamata Costantinopoli e l’attuale Istambul), per 5 anni. Tacito approfitta di questa notizia per dedicare un capitolo alla
storia di Bisanzio, da quando era stata costruita fino ai suoi tempi. (cfr Capitoli libro XII: da 1 a 9, 22, 25 e 26, 41 e 42, da
57 a 59, da 64 a 69 > Agrippina e Claudio). 23-24, 43, 52, 53, 56, da 60 a 63 > vicende interne.
Vicende esterne
Tutti gli altri capitoli riguardano le vicende estere: Il secondo grande argomento di ciascuno di questi grandi libri è la
politica estera. Sia per Claudio che per Nerone non c’è un rapporto stretto con le province.
Medio oriente: sono frontiere calde anche ai giorni nostri. C’è di nuovo il problema dei Parti, vasto impero che
corrisponde grosso modo alla Persia o all’Iran dei giorni nostri. I romani avevano già avuto a che are con i parti in termini
molto negativi, ai tempi di Giulio Cesare uno dei triumviri che aveva formato il triumvirato (Crasso) aveva cercato di
invadere il regno dei parti ma viene sconfitto e muore. In seguito ci aveva riprovato anche Marco Antonio, prima dello
scontro con Ottaviano Augusto e anche in quell’occasione era stato sconfitto. Con Augusto le cose erano andate meglio:
lui più che un uomo di battaglie era un politico e con la mediazione, con accordi, era riuscito a stipulare una specie di
trattato di pace con i parti. I parti avevano restituito le bandiere che erano state catturate ai romani al tempo della
vicenda di Crasso. Attraverso questi accordi si era convenuto che i Parti potevano rivolgersi all’imperatore di Roma per
chiedere loro un re (avevano dato degli ostaggi di famiglie nobili). Arrivano a Roma degli ambasciatori dei Parti per dire
che venga condotto un giovane sotto scorta romana per diventare loro re. La cosa viene accettata dai romani, questo
giovane parte per la patria e combatte anche contro un avversario ma gli va male. Per scherno non viene ucciso ma gli si
tagliano le orecchie.
C’è un’altra regione che faceva un po’ da paese, stato, tra l’impero romano e l’impero dei parti, era un territorio un po’
conquistato dai romani e un po’ dai parti, l’Armenia. C’è un personaggio armeno protetto dai parti e uno protetto dai
romani, i romani in questo periodo non hanno fatto dell’Armenia una provincia, è uno “stato satellite”. A volte gli armeni si
trovano un re imposto dai parti e a volte uno imposto dai romani e a farne i danni sono gli abitanti del territorio. Gli
ufficiali romani però spesso si lasciano corrompere.
Un’altra regione viene coinvolta, la Giudea, nella zona della Palestina. In questi anni di Claudio i romani lì avevano
esercitato e attraverso i loro governatori esercitavano notevole brutalità nei confronti dei giudei e c’era stata una rivolta
però la pace fu ristabilita.
Il fronte della Britannia: tornerà sulla scena al tempo di Nerone. La Britannia era stata conosciuta dai romani
rapidamente perché Giulio Cesare aveva fatto un’incursione durante la guerra di Gallia. Poi c’era stata la conquista della
parte meridionale, l’Inghilterra.
Tacito ci informa che delle tribù britanniche si erano ribellate e le vicende avevano causato parecchie difficoltà ai romani.
Alcune di queste tribù sono i Siluri e i Briganti. Il re dei Siluri aveva combattuto contro i romani ma poi era stato sconfitto
e condotto prigioniero a Roma. Per quanto riguarda i Briganti, era una guerra fra marito e moglie, erano stati sposi il re e
la regina, si erano separati e avevano coinvolto anche le truppe romane.
L’altro fronte caldo è al confine con la Germania: la Germania non fu mai conquistata dai romani. Al tempo di Claudio fu
fondata una colonia che prese il nome di Agrippina, diventata da poco la sposa dell’imperatore. In più perché lì Agrippina
era nata. Questa città che viene fondata lì si chiamava Colonia Agrippinensium e adesso si chiama solo Colonia.
Tacito inoltre ci informa che c’erano tribù germaniche in movimento, tribù nomadi.
I Catti: circa dopo 40 anni erano stati liberati prigionieri romani fatti prigionieri quando erano stati sconfitti ai tempi di
Augusto nella foresta di Teutoburgo.
Gli Svevi: avevano un re che era stato imposto dai romani però questo re si era comportato con eccessiva crudeltà nei
confronti del popolo ed era stato cacciato dagli svevi stessi. I romani non intervengono per imporre nuovamente sul trono
questo personaggio o un altro, lasciano un po’ fare. Va a finire bene per i romani. I romani ottengono che i nuovi re degli
svevi prendano ordini da Roma, si dichiarino alleati. Quanto al re spodestato, i romani lo accolgono nel loro territorio e gli
assegnano delle terre dove vivere con i suoi seguaci.
Cap da 10 a 14, da 15 a 21, da 27 a 30, da 31 a 40, da 44 a 51 e 54 e 55. Fine libro XII.
Tacito ricorda di aver “violato” la regola del procedere anno per anno, un eccezione che conferma la regola: si sente in
dovere di precisare che queste cose non sono capitate tutte in quell’anno ma le ho volute unire per maggior sintesi e
chiarezza. (da 31 a 40, il cap preciso è il 40, alla fine, c’è questa osservazione).
Svetonio su questo argomento
Svetonio parte parlando delle origini della famiglia di Nerone. Racconta per qualche capitolo la storia di questa famiglia,
dei Domizi Enobarbi. Svetonio siccome è un erudito si compiace anche di fornire spiegazioni sull’origine del nome.
Enobarbo perché alcuni di loro avevano la barba rossa (eno barbo = barba color rame). Nerone secondo Svetonio aveva
ereditato tutti i vizi e nessuna virtù dei suoi antenati. Il padre di Nerone secondo Svetonio era un personaggio
detestabile. Svetonio vuole spiegare tutte le nefandezze di Nerone per via ereditaria. Svetonio in questi primi capitoli fa
anche una piccola carta di identità: ci dice dove sono nati, il giorno, il mese e l’anno. Nerone era nato ad Anzio, fuori
Roma, 15/12/37 d.C. Svetonio ci dice che era nato nove mesi dopo la morte di Tiberio (marzo del 37) e per indicare il
giorno preciso ci dice che era nato 18 giorni prima delle calende di gennaio. Le calende corrispondevano al primo giorno
di ogni mese. 18 giorni prima corrisponde al 15 dicembre tenendo conto di come contavano i romani, contando il giorno
di inizio e di fine.
Svetonio ci dice anche che Messalina avrebbe tentato di far ammazzare il piccolo Nerone ma egli stesso su questo non
è sicuro, poteva anche essere una notizia falsa. Un particolare curioso è il motivo del sogno: c’è sempre un sogno che
ha un valore premonitore. Questo sogno riguarda Seneca, Svetonio ci informa che quando Seneca ebbe l’incarico di
diventare maestro di Nerone, aveva avuto un sogno in cui gli sembrava di avere come allievo anziché Nerone Caligola.
Svetonio spesso e volentieri cita questi sogni e dimostra di credere a questi sogni. Questi argomenti vanno dal cap 1 al 9
della vita di Nerone di Svetonio. Svetonio torna sull’argomento dell’avvelenamento di Claudio anche su qualche capitolo
della vita di Nerone (cap 33). Riferisce alcune battute di Nerone riguardo alla morte di Claudio; ci dice che Nerone
parlava in termini molto positivi dei funghi perché grazie ai funghi il patrigno era stato eliminato. Poi ricorda anche un
gioco di parole che faceva Nerone. Nerone usava la parola “morari”, che di per sé vuol dire dimorare, abitare.
Se pronunciamo la parola insistendo sulla o, mōrari (quantità lunga), voleva dire essere pazzo. Sappiamo che Claudio
era considerato sciocco e stupido e ci si prendeva gioco dei suoi handicap. Claudio aveva smesso di abitare sulla terra e
al tempo stesso di essere pazzo sulla terra.
Cap 52 di Svetonio: ci parla degli studi che aveva compiuto Nerone da ragazzo sotto la guida di Seneca, prima di
diventare imperatore. Sappiamo che Nerone aveva studiato varie materie però con due eccezioni: due settori erano stati
esclusi. La madre Agrippina aveva voluto che non studiasse filosofia. Il motivo è che la filosofia ferma l’attenzione su
problemi della vita, anche il tema del potere, il rapporto con gli uomini, e poteva essere considerata una materia
pericolosa perché poteva mettere nella testa di Nerone delle idee negative. L’altra materia esclusa, almeno in parte, era
stabilita per volere di Seneca. Secondo questa notizia Seneca non voleva che Nerone studiasse il modo di esprimersi di
antichi oratori, la tradizione della retorica. Questo perché Seneca aveva uno stile molto diverso da quello che era
Cicerone o altri oratori, un modo di esprimersi più sintetico, frasi più brevi. Nerone è infatti figlio del proprio tempo come
stile letterario.
20/03/15
Libro XIII Annales
Anche qui abbiamo due grandi momenti, politica interna e vicende del palazzo e le vicende delle province.
Politica interna, ovvero le vicende palazzo (con qualche notizia di cronaca di Roma, non strettamente legata a Nerone o
Agrippina) e politica estera. Dura dal 54 al 58. Il regno di Nerone inizia con due omicidi, non progettati da lui, ma dalla
madre: la prima è un fratello di Silano (primo fidanzato di Ottavia) ucciso con veleno, il secondo è Narciso (potente sotto
Claudio, aveva sostenuto un’altra donna quando bisognava scegliere una moglie dopo la morte di Messalina); viene
imprigionato e poi ucciso. Il tema di fondo di questo libro, per quanto riguarda il palazzo imperiale, è lo scontro tra
Nerone e la madre Agrippina. Questa donna aveva fatto di tutto e di più per portare il figlio sul trono imperiale e l’obiettivo
era di governare per interposta persona del figlio. Agrippina, nella sua corsa verso il supremo potere, aveva cercato degli
appoggi: il liberto Pallante (colui che l’aveva sponsorizzata come possibile moglie di claudio) e poi Burro e Seneca (a cui
aveva dato importantissimi incarichi a corte, riteneva potessero essere riconoscenti a lei, ma così non sarà). Fin
dall’inizio, Burro e Seneca cercano di frenare la voglia di Agrippina a salire al trono, vogliono contenere le aspirazioni di
governo di questa donna. In uno dei primissimi capitoli di questo libro, Tacito presenta Burro e Seneca. Di ciascuno di
loro, Tacito sottolinea diverse caratteristiche: Burro proviene dall’ambiente militare (nonostante non abbiamo
testimonianze dei suoi ruoli in campo militare) e di Seneca viene sottolineata la sua voglia nell’istruire Nerone nell’arte
del parlare e poi nella comicas, il modo di porgersi agli altri, l’affabilità. Non abbiamo notizia di questi due personaggi in
dissenso, sono molto affiatati. Seneca era lì a corte con la sua persona, la sua esperienza, si occupava dell’istruzione di
Nerone, ma non aveva un incarico determinato, mentre Burro aveva l’incarico ufficiale di prefetto del pretorio. Qui, Tacito
fa presente come i nostri due uomini guidassero Nerone alternando momenti di severità a momenti più relax, distensione
(piaceri sessuali, aveva 17 anni). Vengono assegnati nuovi onori divini al defunto Claudio (siamo nei giorni successivi
alla sua morte), soltanto per cercare di mascherare la morte di Claudio e lo “scontro” tra Nerone e Agrippina. Nerone in
pubblico osserva un rispetto nei confronti della madre (abbiamo addirittura monete con il viso di Agrippina di fianco a
quello di Nerone). Il capitolo successivo ci parla di riti in memoria di Claudio: discorso funebre per il defunto, tradizione
molto antica, tenuto da un parente del defunto. Qui è Nerone che pronuncia il discorso funebre per Claudio. Il contenuto
di questo discorso viene riassunto da Tacito, si ricorda la carriera del defunto, parlandone sempre bene. Nerone
pronuncia questo discorso ricordando le varie cariche che aveva tenuto Claudio e anche ricordando i suoi interessi
culturali. Claudio, soprattutto prima di diventare imperatore, aveva anche scritto opere di carattere storico, più che di
storico come erudito, con lo stile di Svetonio, aveva questi interessi. Questi testi di Claudio non ci sono giunti ma Nerone
ricorda questa cosa. Tutta questa parte viene seguita dal pubblico con attenzione e serietà ma quando Nerone ricorda
che Claudio era stato un uomo saggio, accorto, intelligente, tutto il pubblico scoppiò a ridere. Claudio aveva fin da vivo
questa fama di sciocco, stupido. Tacito ci ricorda che questo discorso funebre era stato scritto da Seneca e da’ un breve
giudizio sullo stile di Seneca e sul suo modo di scrivere. Seneca aveva scritto anche quel breve discorso ai pretoriani di
Nerone. La mano di Seneca interviene nello scrivere i discorsi di Nerone qua e là. Il discorso era stato ben scritto, ben
strutturato, Tacito continua dicendo che era stato preparato molto bene da Seneca perché egli sapeva avvalersi di uno
stile consono ai gusti dell’epoca, come piaceva a quel tempo. E’ un particolare che trova conferma in altre fonti antiche:
in effetti lo stile di Seneca quando egli era vivo aveva trovato molti ammiratori e anche epigoni, imitatori. Questo gusto di
stile alla Seneca era passato di moda una volta morto e si era tornati a uno stile a cui si preferiva guardare a Cicerone.
Tacito conclude il capitolo osservando che nessuno dei personaggi precedenti si era fatto scrivere un discorso da un
altro, perché erano anche bravi oratori. Nerone fin da bambino aveva mostrato molto interesse per la scultura, la pittura,
il canto, la poesia e la guida dei cavalli, l’equitazione. Per quel che riguarda scultura e pittura non abbiamo testimonianze
particolari quanto invece al canto e la poesia sono costanti fino alla fine del suo regno. Per la poesia possiamo dire
qualcosa perché ci è pervenuto qualche breve frammento.
Discorso programmatico che Nerone legge al senato dopo la morte di Claudio. Non sappiamo se sia stato scritto da
Seneca ma gli studiosi moderni suppongono che sia così. Questo discorso Tacito lo riassume in un capitolo.
Un’opera fondamentale di Seneca in stretto rapporto con Claudio è l’Apokolokyntosis. Seneca si vendica dell’esilio di
Claudio scrivendo un testo breve che ci è pervenuto in cui si immagina che egli sia morto e vada nell’aldilà cercando di
andare in cielo per essere considerato anche lui una divinità. E’ un testo satirico. Nell’aldilà ci sono degli dei, in
particolare uno, che lo respingono dicendo che Claudio ha tradito e ha rinnegato la tradizione della famiglia Iulio Claudia.
E’ Augusto che sferra questo duro attacco, il “dio” Augusto. L’operetta si chiude con questo povero Claudio che viene
trascinato negli inferi condannato a vivere nell’Aldilà. Vengono ricordate varie nefandezze che aveva compiuto in
quest’opera. Ciò che è curioso è il titolo: Ludus de morte Claudii, scherzo sull’imperatore Claudio. Il titolo però più
caratteristico e sul quale gli studiosi han discusso a lungo sono due parole greche: Apokolokyntosis, divinizzazione
(apoté, cfr apoteosi) di una zucca (zuccone). Questo termine era già diffuso sia in greco che in latino.
Qui si sfoga anche Seneca e dimostra di mettere un po’ da parte le meditazioni filosofiche per vendicarsi in maniera
aperta e “bassa” nei confronti di quest’uomo che lo aveva trattato male. E’ scritto parte in versi e parte in prosa
(prosimetro). La risata del popolo durante il discorso funebre di Nerone è anche da inquadrare con quest’opera satirica
che è tutta una presa in giro dell’imperatore defunto. Gli studiosi si sono domandati se Seneca pubblicò quest’opera in
quel momento ma sembra di no sembra che circolasse solo tra chi era legato alla corte. Siccome Seneca occupava un
ruolo importante a corte non poteva pubblicare un testo così pesante e offensivo nei confronti del defunto Claudio, che
era da “onorare”, ufficialmente. Le opere di Seneca sono strettamente legate alla sua vita di corte.
Il discorso di Nerone: è un po’ una costante per chi sale al potere presentarsi facendo delle promesse. Lo spirito del
discorso di Nerone è che non farà gli errori di Claudio: darà maggiore libertà al senato, parla di processi che con Claudio
avvenivano tra poche persone e non c’era dibattito su quelli che erano i problemi della giustizia. Afferma che non
manifesterà odio o oltraggio verso questi senatori, non si abbandonerà a discordie nei loro confronti e terrà separata la
propria vita, del palazzo imperiale, da quella dello stato. Sembra che all’inizio volesse dimostrarsi diverso da Claudio o
Caligola, si parla di un “quinquennio felice” tra gli antichi, come se i primi 5 anni potessero essere una sorta di ritorno
all’antichità. Gli studiosi non sono però molto d’accordo su questa definizione. All’inizio probabilmente era così perché
c’erano Seneca e Burro. Ma non dimentichiamo Agrippina. Spesso ascoltava nascosta dietro una tenda nel palazzo
imperiale ciò che diceva Nerone ai suoi consiglieri. Un giorno erano arrivati degli ambasciatori armeni e Agrippina non si
era più trattenuta dietro la tenda ed era entrata per andarsi a sedere vicino a Nerone: un gesto politicamente scorretto,
perché Roma aveva la figura maschile come imperatore, la figura femminile non poteva essere così importante. Allora
qui c’era stata un’accortezza diplomatica di Seneca che riceveva con Nerone questi imperatori: Seneca aveva “salvato la
situazione” dicendo a Nerone di andare incontro alla madre che arrivava per salvare le apparenze, come se fosse stata
una scelta dell’imperatore.
Seneca tiene dei discorsi mettendo in luce il discorso della clemenza, sottolinea la clemenza. Cesare aveva utilizzato
molto la clemenza perdonando alcuni oppositori. Cesare forse anche per spirito di umanità ma soprattutto per
propaganda aveva fatto questo. Questo concetto viene sbandierato anche agli inizi del regno neroniano, nei discorsi che
Nerone faceva ma Tacito ci dice qualcosina di più: ci dice che questi discorsi erano sempre composti da Seneca. Anche
qui dobbiamo ricordare un’altra opera di Seneca di quegli anni: la Clemenza. Non ci è pervenuta in modo completo, ciò
che abbiamo occupa due libri, secondo la suddivisione dei testi antichi, ma sappiamo che proseguiva ma il resto è
andato perduto. Seneca la pubblicò nei primi anni del regno di Nerone, è un documento di quel momento ed è dedicata a
Nerone, è una sorta di manifesto politico, di programma che Seneca propone a questo suo allievo. Il concetto di fondo di
quest’opera è che Nerone deve fare di questa virtù il suo punto forte, per governare i sudditi del vasto impero che gli dei
gli hanno concesso. Nerone non deve obbedire a nessuno come imperatore, si sottolinea questo, che l’imperatore gode
di una forma di governo che è monarchia assoluta. Viene messa da parte tutta la finzione in cui c’era il senato che
collaborava, ecc. Seneca è molto chiaro, presenta Nerone come monarca assoluto. Però egli deve trovare nella
clemenza ciò che può fermare il suo potere assoluto. Lo invita a non abusare di questo potere assoluto e ad avvalersi di
questa virtù che deve trovare in sé, la clemenza. E’ un testo importante, rientra in una tradizione filosofica di testi scritti
per essere presentati agli uomini del loro tempo. Questo testo esce agli inizi del regno di Nerone ma c’è un punto difficile
da interpretare: questo testo è stato scritto poco prima che Nerone facesse avvelenare Britannico o dopo
l’avvelenamento? Pochi mesi di differenza. Se fosse stato scritto dopo vorrebbe dire che Seneca in qualche modo finge
di ignorare questa macchia enorme e presenta Nerone come il giovane imperatore che deve attingere alla clemenza.
Intanto entra in scena un nuovo personaggio che non avrà un primissimo piano ma sarà sempre sullo sfondo della vita di
Nerone fino alla sua morte. Nerone era un ragazzo che, a parte gli interessi artistici e culturali, fa esplodere la passione
amorosa: troviamo il nome di una prima innamorata del nostro Nerone, una liberta. Comincia ad avere come compagni
di avventure amorose Ottone e un altro. Questo legame amoroso tra Nerone e Atte trova l’opposizione di Agrippina. Però
Tacito fa presente che Nerone si era innamorato intensamente di questa Atte e a non ostacolare questo amore si erano
messi i suoi amici più anziani (Burro e Seneca). Tacito spiega questo dicendo che Nerone o non andava proprio
d’accordo con Ottavia, o proprio non c’era un’intesa. Oppure perché il gusto del proibito era sempre più affascinante.
Soprattutto c’è un’altra particolarità: Burro e Seneca lasciavano che Nerone si godesse questo amore perché avevano il
timore che incappasse nell’amore di qualche matrona e questo avrebbe suscitato scandalo perché sarebbe stato un vero
adulterio. I liberti non erano più schiavi ma avevano comunque una reputazione inferiore. Per l’uomo romano libero
avere un’avventura amorosa con donne di condizione bassa era già diffuso ai tempi della repubblica. Agrippina continua
ad opporsi e questo non fa che allontanare il figlio dalla madre. Per salvare le apparenze, Seneca decide di utilizzare
un’espediente. Egli aveva fra i suoi amici un certo Anneo Sereno e si fa circolare la voce che fosse lui l’amante di Atte e
Sereno presentava ad Atte doni che in realtà erano di Nerone.
Pallante, il liberto che aveva appoggiato Agrippina e che si occupava delle finanze, viene cacciato da Nerone senza
pretendere che presentasse i conti, quella che era la situazione delle finanze romane, senza che presentasse i registri
della contabilità che era chiaramente molto manovrata. Agrippina in questo modo perde questo appoggio. Si sta facendo
il vuoto intorno ad Agrippina per farla contare sempre meno. Agrippina però non si arrende e cerca di accostarsi a
Britannico. Egli viveva a corte in una condizione secondaria. Sembra che Agrippina voglia mettere prima o poi Britannico
al posto di Nerone. Divulga queste notizie, dice che si presenterà nell’accampamento dei pretoriani. Da un lato si vede
lei e da un lato si vedranno Burro e Seneca. Tacito ci dice che Agrippina presenta Burro e Seneca in termini molto
negativi. Tacito dice che a Burro mancava una mano, non sappiamo per quale ragione ma possiamo supporre che
l’avesse persa in guerra. Seneca viene presentato come colui che era stato un esule e con una lingua da professore, in
senso negativo. Lei parla a favore di Britannico mentre immaginava che Burro e Seneca avrebbero parlato a favore di
Nerone. Nerone viene preso dal panico e decide di uccidere Britannico. Abbiamo una situazione che ha qualche
analogia con l’avvelenamento di Claudio. Britannico ricevette il veleno dai suoi servi, da chi stava con lui. I servi fedeli a
Britannico erano stati allontanati per circondarlo da servi fedeli a Nerone.
Anche questo veleno non ha effetto perché forse viene espulso tramite diarrea o forse non era abbastanza efficace.
Nerone si arrabbia e minaccia i suoi collaboratori. Si prepara un nuovo veleno potentissimo e si decide di darglielo
durante un banchetto, una situazione ufficiale di corte dove c’erano tutti i commensali. Le bevande degli uomini di corte e
anche i cibi erano prima assaggiati da qualcuno. Avevano il compito proprio perché c’era il rischio di essere avvelenati.
Si presenta a Britannico durante il banchetto una bevanda caldissima, l’assaggiatore la assaggia, non nota nulla di
particolare, la passa a Britannico che la mette alle labbra e si accorge che era troppo calda e chiede che venga messa
dell’acqua fresca ed è lì che viene messo il veleno. Questa bevanda viene bevuta da Britannico e lui muore.
Nessuno si muove e tutti osservano i volti per capire chi aveva avvelenato Britannico. Nerone ha una prontezza di spirito
e dice che non c’è da preoccuparsi perché Britannico soffre di epilessia e che avrà avuto uno dei suoi attacchi e più tardi
si riprenderà. Agrippina è pallida, si capisce che lei non c’entrava e anche Ottavia, che vede con la morte del fratello un
brutto segno per lei, perdeva un altro appoggio e si trovava sempre più in una corte in cui era alla mercé di Nerone e dei
suoi amici.
Tacito osserva che Ottavia benché fosse giovane riesce a nascondere tutto questo tumulto interiore di pensieri che le
causa la morte del fratello. Nella notte stessa Nerone fa celebrare i funerali. Ricorda un particolare “grave”, dice che
alcuni scrittori di quei tempi che poco prima di avvelenare Britannico Nerone avrebbe abusato sessualmente di lui. Poi
Nerone recita la parte di chi ha perso un cognato e un fratellastro. Agrippina ha perso Pallante e Britannico e si avvicina
sempre più ad Ottavia e capisce che se vuole ancora giocare una parte nella lotta per il potere deve puntare su di lei. La
madre aveva una scorta propria di soldati e Nerone gliela toglie e poi la sfratta dal palazzo imperiale, le da’ un’altra
dimora, per renderla sempre più da se stesso. I fedeli di Agrippina la abbandonano perché non ha più nessuna
importanza o rilevanza e circolano voci secondo cui lei vorrebbe risposarsi con qualcuno per metterlo sul trono al posto
di Nerone. Nerone, giunte queste voci su un possibile matrimonio, si spaventa e vorrebbe sbarazzarsi della madre. Però
chi riesce in questo momento ad invitarlo alla calma è Burro.
21/03/15
La vita notturna di Nerone. Sia Tacito che altre fonti ci informano che Nerone, senza farsi riconoscere, si divertiva a
frequentare le vie di Roma nel cuore della notte e a partecipare alla vita di prostitute, accompagnato dai suoi amici più
fedeli. Partecipava anche volentieri a risse che nascevano in queste circostanze. A volte era stato anche malmenato. In
un secondo momento Nerone aveva deciso di farsi accompagnare da una scorta militare per questo motivo. Le fonti
antiche che parlano di questa vita notturna toccano l’argomento con toni moralistici, scandalizzati. Tacito si pone così nei
confronti di questi avvenimenti, guarda con vergogna e disgusto Nerone per questo suo atteggiamento.
Sabina Poppea
E’ la seconda moglie di Nerone. Tacito ci dice che apparteneva ad una buona famiglia nobile del tempo ma i genitori e
anche gli antenati non avevano raggiunto cariche politiche particolarmente rilevanti, non avevano compiuto fatti di
grande rilievo. Il nonno di Poppea era arrivato al consolato ma niente di che. Quando Tacito ce la presenta questa donna
è sposata con un uomo che si chiama Crispino. A lei interessava frequentare persone altolocate, raggiungere onori e
ricchezze che non le mancavano ma ne voleva di più. Puntava su una tipica arma femminile: la bellezza. Poppea è una
splendida donna, molto attenta a curare la sua bellezza. Quando diventerà imperatrice avrà sempre con sé un gruppo di
asine perché aveva l’abitudine di fare il bagno nel latte di asina. Al tempo stesso con la bellezza aveva anche una
notevole intelligenza. Tacito ci dice che conosceva molto bene le arti della seduzione. In pubblico non si faceva vedere
molto spesso ma quando usciva copriva una parte del volto come se volesse fare la signora riservata e pudica ma al
tempo stesso lasciar intravedere una parte. Tacito ci dice che non distingueva fra marito e amanti. Tutto quello a cui
pensava era l’utile e dove vedeva l’utilità lei trasferiva il suo piacere. Tacito conclude questo capitolo dicendo che in
questo momento era sposa di questo Crispino, cavaliere romano dal quale aveva avuto un figlio. Mentre però era sposa
di Crispino si era lasciata conquistare da Ottone. Divorzia da Crispino e Ottone diventa il nuovo marito di Poppea. Ottone
si vantava di essere il marito di una bellissima donna raffinata e quando lasciava Nerone gli diceva “adesso vado dalla
mia donna e facciamo l’amore”. Questo infiammava Nerone. E’ difficile capire se Ottone agisse di proposito o era uno
sprovveduto o se lo faceva per essere ancora più legato a Nerone, per averne in qualche modo dei vantaggi. Comunque
Poppea comincia a frequentare la corte neroniana e lo fa con uno stile di seduzione molto alto. Per suscitare sempre più
la passione di Nerone fa la signora molto pudica. Poppea e Nerone diventano amanti ma c’è ancora Ottone: che fare?
Nerone lo nomina governatore della Lusitania (odierno Portogallo) e non lo vedremo più tornare. Ottone sarà il secondo
imperatore dopo Nerone (Galba poi VS Ottone, che prevale, ma poi viene eliminato da Vitelio). Siamo intorno all’anno
56-57. Le vicende riguardano il 68-69 (“guerra successione post neroniana”). Tacito conclude questo capitolo dicendo
che nel Portogallo fu un buon governatore di questa provincia romana. Tacito come stile, scrivendo le sue opere storiche,
ha presente Sallustio. Anche nel testo dedicato alla congiura di Catilina Sallustio descrive una donna di quel tempo,
entrata nella cerchia di Catilina e la tratteggia in termini scandalizzati (Sempronia). Dice che era una gran bella donna,
disponibile a tutto. E’ probabile che Tacito avesse presente quella pagina di Sallustio delineando il ritratto di Poppea. Per
il lettore antico di Tacito era facile pensare alla pagina di Sallustio. Ci sono ancora un paio di capitoli che riguardano
alcuni personaggi della cerchia di Nerone.
Seneca: ci viene detto che fu attaccato da Suillio, che era stato molto potente al tempo di Claudio, quando ancora
Claudio era sposato con Messalina poi una volta che Messalina era morta e Claudio era caduto sotto il dominio di
Agrippina Suillio aveva perso rilievo. Suillio si occupava di incriminare le persone, era un delatore, si incaricava di
accusare le persone contro Messalina, parlava in pubblico, faceva “l’avvocato”. Nei primi anni del regno di Nerone era
stato attaccato da avversari (non è detto che fosse stato Seneca) comunque in questa difesa che fa di sé stesso Suillio,
accusa anche Seneca. Tacito riassume una serie di accuse che Suillio lanciava nei confronti di Seneca. Sono accuse
che si basano su fatti di cui abbiamo parlato: Suillio dice che Seneca era stato condannato all’esilio giustamente e poi a
questo proposito cita, con Seneca, la figura di Giulia Livilla che era stata coinvolta con lui in questa vicenda poco chiara
(è Suillio una delle fonti che abbiamo sull’eventuale legame amoroso tra Giulia Livilla e Seneca).
Dice: quest’uomo che scrive di filosofia poi si comporta così? Poi prende di mira un altro aspetto e probabilmente
corrisponde al vero: la famiglia dei Seneca era molto ricca e aveva rendite in altri territori dell’impero, a cominciare
dall’Egitto. Sono rendite molto cospicue e si accenna anche che tutta la famiglia dei Seneca avrebbe praticato l’usura.
Vengono lanciate queste accuse e viene rinfacciato anche il legame con Nerone: Seneca si è arricchito anche grazie alle
sue “amicizie” (cfr elargiti beni di Britannico da parte di Nerone dopo morte Britannico). Tutto questo è rinfacciato a un
uomo per dirgli: guardate che bel filosofo, scrive di nobili principi e nella vita pratica si comporta in tutt’altro modo. Nel
capitolo successivo Tacito ricorda che Suillio venne condannato all’esilio. Dimostrazione del fatto che Seneca aveva dei
nemici. Probabilmente a quegli anni appartiene una sua opera filosofica: la vita felice (de vita beata). Qual è la vita felice
di cui parla? Lo studio e la vita dell’uomo saggio secondo lo stoicismo. Però in quest’opera in alcuni capitoli parla
apertamente di se stesso: dice che a lui vengono rinfacciate determinate cose che non sono tipiche della vita di un
saggio (ricchezze, tenore di vita lussuoso). E’ chiaro che chi leggeva queste opere pensava probabilmente a questi
attacchi di Suilio. Seneca non nega nulla: dice che ha effettivamente un tenore di vita sfarzoso però dice che lui sta
cercando la saggezza e non ci è ancora arrivato, è un uomo in cammino verso questo traguardo.
Poi Tacito parla di fatti che riguardano l’Italia, parla dell’economia: le fonti antiche e storiche non dedicano grande spazio
a problemi di tipo economico. Capitoli: da 1 a 5, da 10 a 25, 42-43, 45 e 46.
Capitoli da 50 a 51 Tacito dice che Nerone in un determinato momento aveva deciso di fare qualcosa che anche oggi
sarebbe splendido: abolire le tasse indirette. Il senato e gli uomini che aveva interpellato subito avevano detto che era
una bella decisione ma poi avevano cominciato a frenare. Soprattutto erano presi di mira i dazi doganali, quando si
entrava da qualche parte, molto cari soprattutto in Italia, si pagava per far entrare merci dalle province o oltre frontiera.
Gli studiosi che si sono occupati di questo argomento han detto che eliminare questi dazi avrebbe favorito il libero
commercio. Il senato si oppose perché queste tasse erano affidate a ditte di appalto, uomini che si occupavano di questo
e vivevano di questo: erano i pubblicani che erano diventati molto potenti fin dal tempo della repubblica. Riscuotevano le
tasse con mezzi leciti e illeciti ma anche con abusi: pretendevano più del dovuto da chi doveva pagare e si arricchivano
moltissimo. C’erano di sicuro in senato uomini che erano legati a questi pubblicani e cercavano di non danneggiare i loro
“amici” e se stessi e volevano frenare queste nuove disposizioni. Eliminare i dazi doganali, inoltre, avrebbe danneggiato
le merci italiane e italiche, gli agricoltori italiani che potevano quindi vendere le loro merci con più facilità perché non
erano sottoposte a dazio. Con arrivo di merci straniere senza dazio ci sarebbe stata molta più concorrenza.
L’effetto fu che furono emanati dei decreti su queste tasse indirette ma non ci fu una vera e propria eliminazione, si disse
che ci sarebbe stata più “trasparenza”. Tacito osserva, alla fine, che queste nuove disposizioni avevano poco valore e
vennero presto abbandonate.
Al capitolo 32 di questo libro c’è una vicenda particolare: cronaca familiare. Si parla di una donna dell’alta nobiltà che si
chiama Pomponia Grecina, sposata con un uomo che era stato un comandante in Britannia, aveva avuto dei successi
nella guerra contro i Britanni al tempo di Claudio, un matrimonio ben riuscito, una famiglia per bene, nessuna situazione
scandalosa. Questa donna però fu accusata di seguire un culto religioso straniero. L’espressione che usa Tacito è
superstitionis externe rea, imputata di superstizione straniera. Venne concesso, secondo un’antica tradizione, al marito di
istituire un processo in casa. Si istituì questo processo e il processo ebbe esito favorevole alla donna, non subì una
condanna da parte della parentela che si era riunita in casa (rito di tempi remoti). Tacito ricorda che questa donna ebbe
lunga vita ma sempre appartata. Secondo gli studiosi questa donna era una cristiana. Non siamo sicuri, Tacito non parla
ancora dei cristiani ma siamo in quegli anni e questa potrebbe essere una delle prime testimonianze della penetrazione
del cristianesimo a Roma. Il cristianesimo cominciò a diffondersi a Roma fra i ceti più umili e bassi, fra i nulla tenenti che
cercavano nel cristianesimo una forma di riscatto. Qui invece avremo una notizia che riguarda l’alta società romana
(cosa più rara). E’ possibile che alla corte di Nerone ci fossero dei cristiani ma nei ceti bassi. Secondo notizie non
documentabili (è un’ipotesi) una cristiana della corte di Nerone sarebbe stata Atte, l’amante di Nerone. Su questa figura
di Pomponia Grecina un poeta italiano vissuto fra 800 e primo 900 ha scritto un testo (Pascoli).
Capitolo 44: vicenda di amore di personaggi sconosciuti, amore tragico concluso con uccisione di lei, forma di adulterio
concluso tragicamente. Questo capitolo precede il 45 che è quello in cui comincia la vicenda di Poppea e Nerone.
Capitoli: da 26 a 34, 44, da 47 a 49, da 50 a 52 e 58.
La vicenda di Poppea e Nerone nell’opera storica precedente di Tacito ha un’altra versione. In un capitolo che ci è
pervenuto, quando Tacito parla dell’arrivo in Italia di Ottone ricorda anche lì qualche notizia di Ottone. Si ferma sulla
vicenda di Poppea e Ottone e ci da’ una versione un po’ diversa rispetto a quella del XIII degli annali.
Nelle Storie dice che Nerone sia diventato amante di Poppea quando era ancora sposata con Crispino e ha convinto
Ottone a sposarla per usarlo come “paravento”. Ottone in quel momento non sarebbe stato innamorato di Poppea, se ne
sarebbe innamorato una volta sposati e Nerone a quel punto decide di allontanarlo.
Politica estera: da 6 a 9, da 34 a 41, da 53 a 57.
Qui si parla dell’Armenia, puntualmente oggetto di contesa tra romani e parti. Veniamo informati che i parti avevano fatto
scorribande in Armenia, sotto protezione romana, e c’era stato panico a Roma. Corbulone viene nominato come
generale. Parte per l’Armenia e comincia a cambiare qualcosa per quel che riguarda l’impero romano. Corbulone
comincia ad imprimere una disciplina molto rigida e i risultati si vedono! I parti devono ritirarsi dall’Armenia che torna
sotto il protettorato romano. Il senato onora Nerone e Corbulone con grandi feste. I parti desideravano che in Armenia
diventasse re il fratello di colui che era l’imperatore dei parti in quel momento. L’imperatore dei parti si chiamava
Vologese. Suo fratello si chiamava Tiridate. C’è un incontro tra Corbulone e Tiridate. Corbulone invita Tiridate a chiedere
direttamente a Nerone se gli può essere concessa la corona dell’Armenia. I romani decidono però alla fine di arrivare di
nuovo alle armi e si cerca di conquistare la capitale dell’Armenia che viene chiamata Artassata. Gli armeni decidono di
arrendersi e non di subire un assedio, accolgono i romani. La situazione è questa: romani con Corbulone decidono di
risparmiare i civili ma di distruggere la capitale. La vicenda in questo libro si chiude con grandi festeggiamenti a Roma
per questa vittoria.
Sul fronte della Germania ci sono movimenti di tribù nomadi. Ricordiamo i nomi: i Frisi sconfinano nel territorio romano.
Ci sono degli scontri con l’esercito romano e i capi di questa tribù vengono mandati a Roma. Tacito ci ricorda che questi
germani, questi barbari quando arrivano a Roma rimangono colpiti dalla città. Con questi capi alla fine non si conclude
nulla, i Frisi vengono costretti con la forza a lasciare le terre ai confini dell’impero in cui si erano inseriti. Viene ricordata
un’altra tribù, gli Ampsivari, che erano stati cacciati da un’altra tribù e sono costretti a trovare un’altra sede. Siccome non
sono molto forti vogliono allearsi con i romani ma questi ultimi non sono d’accordo e nascono piccoli scontri. Gli
Ampsivari cercano altre tribù per farsi aiutare ma nessuno vuole e quindi vengono sconfitti.
Lotte tra i Catti e gli Ermunduri per entrare in possesso di un fiume ricco di sale.
Particolari storiografici che emergono dai capitoli di questo libro: capitolo nono si conclude con una frase di Tacito che si
aggiunge a quello che abbiamo già detto a proposito di un capitolo XII. Narrando alcuni momenti di questa guerra per
l’Armenia, Tacito conclude dicendo che ha riunito fatti avvenuti in più anni: dice che ha violato l’ordine annalistico, ma lo
fa per ragione di maggiore comprensibilità. Al capitolo XVII che riguarda la morte di Britannico, la parte
dell’avvelenamento, Tacito per introdurre questa notizia dice che parecchi, la maggior parte degli scrittori di quel tempo,
del tempo di Nerone, raccontano questa vicenda di eventuale abuso sessuale. Qui troviamo uno dei criteri che segue
Tacito quando cita le sue fonti: talvolta dice solo “pleriques scriptores”, la maggior parte degli scrittori. Non dice dove,
non cita. Sempre a proposito delle fonti troviamo nomi di storici al capitolo 20. Ne troviamo ben 3 accennati, riguardano il
momento in cui si era tentato di coinvolgere Agrippina in un processo dicendo che aveva tentato un colpo di stato. Tacito
dice che si era cercato di coinvolgere Burro in questa vicenda. Due storici dell’età di Nerone riferiscono che questo non
era vero, non si era dubitato sulla fedeltà di Burro. I nomi sono Plinio (Plinio il vecchio) e Cluvio. Poi aggiunge un terzo
nome, ricorda Fabio Rustico che nella sua opera storica tendeva ad elogiare Seneca di cui era stato amico. Aveva scritto
un’opera storica con una difesa di Seneca, favorevole a Seneca.
Ultima cosa di metodo da notare è al capitolo 31: un capitolo in cui si parla di fatti esterni a Nerone. Tacito ricorda che in
un determinato anno non successe quasi nulla degno di nota e usa una punta polemica contro chi si abbandona a
raccontare fatti di cronaca spicciola che sarebbero più da narrare in altri tipi di opera. Si riferisce a pubblicazioni che
venivano chiamate Acta Diurne, i fatti del giorno, una specie di pubblicazione che era stata ideata ai tempi di Giulio
Cesare.
Persio
Scrive un’opera non molto ampia, solo sei satire, l’opera si intitola proprio Satire e affronta i tempi tradizionali di questa
genere. Anche Orazio e Seneca hanno scritto satire. Persio ebbe vita breve, morì di malattia a 28 anni. Personaggio
appartato rispetto ad altri scrittori che ruotavano introno alla corte di Nerone. Nato in Toscana a Volterra e poi arrivato a
Roma dove era entrato nell’ambiente degli stoici. Però sappiamo che non si era avvicinato a Seneca, Seneca non lo
aveva colpito in maniera particolare. Persio si era avvicinato ad un certo Trasea. Aveva aderito con molta convinzione
agli ideali stoici e nelle sue satire parla di argomenti della satira da questa angolazione. Ciò che stupisce è l’estrema
convinzione di questo stoicismo visto in termini molto severi anche se lui era molto giovane. Argomenti molto moralistici.
E’ una poesia difficile. Spesso usa espressioni e immagini che risultano oscure. 26/03/15
Svetonio libri IX-X
Riguardano i primi anni di Nerone, quando tutto procedeva bene. Svetonio ricorda una frase di Nerone, detta quando
dovette firmare una condanna a morte: 'vorrei non saprei scrivere'.
Cap.26: vita notturna Nerone;
Cap 28: accenno all'amante Atte, e all'interno di un capitolo in cui vengono ricordate le avventure sessuali di Nerone;
Cap 33: dove viene ricordata la morte di Britannico per avvelenamento (particolari di Tacito).
Tacito Libro XIV Annali
Avvenimenti anno dal 59-62. Primo avvenimento di cui si occupa (capitoli iniziali): uccisione della madre Agrippina.
La vicenda viene narrata da Tacito in un capitolo in cui immagina un discorso tra Nerone e Poppea, ormai sua amante
dopo che Ottone fu mandato in Lusitania; Poppea però vuole diventare la sposa dell'imperatore. Uno degli ostacoli è
Agrippina, la quale non è d'accordo con questo legame, non per ragioni morali, ma solo politiche (Agrippina punta le
carte su Ottavia, sposa figlia di Claudio, e sa che Poppea la emarginerebbe ancora di più. Ottavia invece non ha
abbastanza peso per incidere davvero). Tacito immagina che Poppea tenga un discorso a Nerone, in forma indiretta. Il
succo del discorso è che Poppea cerca di spingere Nerone ad agire contro Agrippina: lo attacca dicendo che in fondo è
solo un debole, perchè prende ordini ancora della madre e non agisce contro di lei, spingendo perchè si passi dal ruolo
di amanti a sposi, altrimenti minaccia di abbandonarlo. La figura di Poppea è sempre vista in maniera negativa.
Tacito prosegue soffermandosi su Agrippina, anche qui vista negativamente e senza scrupoli.
Agrippina è stata emarginata; allora Tacito ricorda che secondo qualche fonte storica, Agrippina era ricorsa alle armi
della seduzione (come fece anche Poppea), e si narrava che Agrippina un giorno si era presentata a Nerone per tentare
di sedurlo. Durante un banchetto, mentre Nerone era preso dall'ebrezza, Agrippina ci avrebbe provato (questo a quanto
detto da Cluvio Rufio). Tacito continua a dire che a questo momento terribile di incesto, si era posto rimedio grazie a
Seneca, che aveva fatto intervenire Atte, con il ruolo di salvare Nerone. Ormai Atte è l'amante abbandonata, era ormai
subentrata Poppea, ma aveva ancora modo di farsi ascoltare da Nerone. Seneca perciò l'incarica di parlare con Nerone
e di farlo stare attento, soprattutto per lo scandalo che questa relazione potesse suscitare. La cosa quindi non sarebbe
avvenuta. Questa è la versione di Rufo. La versione che Tacito trova in Fabio Rustico è diversa: il tentativo di un rapporto
doveva esserci, ma a desiderarlo non era stata Agrippina ma Nerone, e sarebbe stato sempre fermato per merito di Atte.
L'ipotesi che Tacito preferisce è quella di Cluvio, e anche 'altri autori' affermano che sia stata Agrippina a volere questa
relazione fermata da Atte. E Tacito non esclude questo volere di Agrippina, anche per il fatto che Agrippina si era già
concessa sessualmente sempre per desiderio di potere.
Nerone sente sempre più il peso di Agrippina, invadente nei propri confronti. Sicuramente Agrippina era una donna
possessiva nei confronti del figlio, e il figlio cercava di liberarsi da questa ossessione e possessività. Nerone decide
allora di togliere di mezzo la madre uccidendola. Il problema è come uccidere Agrippina: era un problema difficile perchè
anche Agrippina se ne intendeva di uccisione (Claudio, Britannico). Il veleno non era l'arma più sicura nei suoi confronti,
e aveva anche avuto modo di prendere degli antidoti o abituandosi a prendere piccole dosi di veleno in modo che il loro
corpo potesse abituarsi alla sostanza. La via più sicura era quindi quella di ricorrere all'eliminazione con altre forme di
violenza: si ricorre così a liberto Aniceto, personaggio noto fin dall'infanzia a Nerone, era stato uno dei suo istitutori; era
un personaggio che aveva fatto carriera, capo della flotta romana vicino a Miceto. Aniceto allora suggerisce a Nerone di
far imbarcare Agrippina su una 'nave' e la cabina in cui doveva alloggiare Agrippina, farla precipitare: metterci su del
piombo che attraverso un marchingegno facesse crollare il soffitto e poi attraverso il lavoro di marinai,
quest'imbarcazione venisse affondata in modo da farlo sembrare un naufragio. Nerone sembra essere d'accordo. Si
decide allora di avviarla durante giorni di festa nel mese di Marzo (feste in onore della dea Minerva); Nerone in quei
giorni si trovava a Baia, che era allora un luogo di 'villeggiatura'. Riesce a invitare lì la madre Agrippina: prima fa
spargere delle voci facendo credere di volersi riconciliare con la madre, e dopo la invita a un banchetto di riconciliazione
a Baia. Agrippina, benché conoscesse bene Nerone, crede a queste voci; arrivata, Nerone va ad accoglierla, la prende
per mano e la conduce in una località vicino a Bauli dove erano state sistemate queste imbarcazioni, presentate ad
Agrippina come se fossero fatte per lei; ad Agrippina, a quanto scrive Tacito, erano comunque giunte voci di fare
attenzione. Così, incerta se credere o meno, si era fatta portare in lettiga, per via terrena. Però poi c'è questo banchetto,
Tacito accenna che Nerone le aveva riservato il posto d'onore (con letti tricliniari); il banchetto durò a lungo e alla fine
l'aveva accompagnata alla spiaggia dove doveva imbarcarsi, e Agrippina questa volta ritiene non ci sia alcun inganno,
crede davvero sta volta a Nerone, e la vicenda si conclude che Nerone l'abbraccia e la guarda con intensità, o per darle
un ultimo sguardo prima di eliminarla o per accentuare la falsità della sua messa in scena.
Il racconto da questo momento in poi è estremamente elevato, fra le pagine più celebri e famose di Tacito scrittore:
comincia dicendo che gli Dei sembrava volessero far capire quello che stava accadendo, perchè il mare era tranquillo e
la notte stellata; il battello prende il largo e Tacito presenta Agrippina in questa cabina, insieme con due addetti alla sua
persona. L'argomento di cui parlavano era proprio il fatto che Nerone si fosse riconciliato con la madre, c'era una certa
soddisfazione e tranquillità: all'improvviso il soffitto della cabina sprofonda, ma non avviene ciò che auspicava Nerone.
Uno dei due uomini muore, mentre Agrippina e la sua dama sono protette dalle spalliere del letto che riescono a salvarle
in quel momento. Poi, c'erano anche dei marinai complici, che dovevano sfasciare l'imbarcazione; ma essendoci anche
marinai non complici, si crea un momento di confusione: c'è che cerca di salvare il salvabile e chi vuole distruggere tutto.
Le due donne si gettano nelle acque, e la dama, fingendosi Agrippina, viene ammazzata dai marinai complici. Agrippina
invece, più astuta, era stata ferita alla spalla ma si allontana a nuoto. Viene poi soccorsa da altre imbarcazione
giungendo infine alla propria villa di Bauli. Lì comincia a meditare su quello che è avvenuto, e allora capisce che non era
stato un incidente ma che era stato tutto preordinato dall'imperatore, decide però di stare al gioco. Chiama uno dei suoi
liberti dandogli l'ordine di andare da Nerone e dirgli che per volere degli Dei si era salvata del naufragio e anche di non
precipitarsi da lei in quanto aveva bisogno di riposo. Intanto Agrippina si fa curare la spalla, e Tacito conclude
sottolineando come si preoccupa del testamento della sua dama per potersi poi procacciare le ricchezze.
Nerone intanto attende notizie, egli era molto spaventato. Quando apprende che Agrippina si è salvata, il suo spavento è
estremo: temeva che Agrippina potesse giungere da lui, che si impadronisse del potere.
Nerone allora chiama Burro e Seneca per chiedere consiglio: non si sa se Burro e Seneca erano stati precedentemente
informati da Nerone del suo desiderio di uccidere Agrippina con questa messa in scena, oppure se li informa in questo
momento (questo è un punto non chiarito). All'inizio i due mantengono il silenzio, non sanno se lasciar perdere o meno.
Il primo a muoversi è Seneca che si volge verso Burro e gli chiede se bisognava ordinare ai soldati di sbarazzarsi di
Agrippina: Burro dice che siccome si trattava della figlia di Germanico, un generale, era rischioso dare ai soldati questo
incarico, probabilmente non l'avrebbero eseguito. Così Burro si rivolge ad Aniceto, nuovamente: deve essere Aniceto a
risolvere la situazione. Aniceto stavolta non esita, dichiarandosi disposto a sbarazzarsi di Agrippina.
Nel frattempo a Nerone giunse quel messaggero mandato da Agrippina, e fa gettare fra i piedi di Agermo una spada,
come se fosse stata portata da lui, come se volesse eliminare Nerone da parte di Agrippina.
Tacito si sposta a Bauli, dove si trovava Agrippina. Si era sparsa la notizia che Agrippina aveva corso pericolo, così gli
abitanti della zona erano accorsi sulla spiaggia per congratularsi con lei per essersi salvata dal naufragio (loro credevano
all'incidente). Mentre erano tutti sulla spiaggia di Bauli, improvvisamente giunge un gruppo di uomini mandati da Aniceto,
venuti per ordine di Nerone; la folla viene allontanata, la villa di Agrippina viene circondata da questi uomini che fanno
irruzione, allontanano gli schiavi e Aniceto si avvia alla stanza da letto di Agrippina (-> descrizione alto livello letterario,
interessa notare l'uccisione della madre da parte del figlio, viene anche messa da parte la figura di Agrippina che
comunque non era un personaggio positivo).
Agrippina era nella sua camera da letto con un lumicino accesso, e lì con Agrippina era rimasta una sola schiava.
Agrippina era preoccupata, si domandava che fine avesse fatto Agermo. Inizia a capire che la situazione sta
precipitando, quando anche l'ultima ancella se ne va. Agrippina le rivolge poche parole, e poi vede Aniceto con due
militari insieme; allora si rivolge a questi tre, sola ormai, e dice che se erano venuti per ordine di Nerone, che voleva
sapere se si era ripresa, andava bene così, ma se erano venuti per compiere un assassinio, lei non pensava che il figlio
potesse giungere a tanto. Questa gente circonda il letto su cui si trovava Agrippina e uno dei tre comincia a colpirla con
un bastone e un altro ha un pugnale; qui la scena raggiunge l'apice ed è la conclusione della vita di Agrippina, che
pronuncia due parole: distesa sul letto lei porge il ventre a questo pugnale e dice 'colpisci il ventre' e poi viene finita con
varie pugnalate. Colpisci questo ventre che generò un figlio così degenere. 'Colpisci il ventre'. Queste parole si ritrovano
in altre due fonti antiche, una è nella tragedia Ottavia, l'altra fonte è su Dione Cassio, più tardo di Tacito; ma il problema è
sapere chi avesse potuto sentire queste parole, gli unici erano i tre assassini.
Possibile che avessero riferite queste parole? E' quindi anche possibile che Agrippina non abbia detto nulla; l'ipotesi più
probabile è che siano una sorta di tradizione formatasi dopo, a partire dai primi storici di questa vicenda, per dire come
Agrippina volva sottolineare l'enormità del gesto che un figlio stava compiendo nei confronti della madre.
Secondo Tacito Agrippina avrebbe detto solo 'Colpisci il ventre'; il testo di Dione Cassio, in greco dice 'colpisci questo, o
Aniceto, perchè ha generato Nerone'; nell'Ottavia, l'espressione sarebbe 'si deve colpire questo con il ferro che ha
generato un tale mostro’. Tacito si sofferma ancora su altri particolari: secondo alcune fonti, Nerone avrebbe voluto
vedere il corpo della madre lodandone il bel corpo; secondo altre fonti questo comunque non sarebbe avvenuto.
Funerali della madre: rapidi, la stessa notte in cui fu uccisa. Sulla tomba di Agrippina si racconta ci fosse un liberto che si
era dato la morte, non si sa se per affetto o se perchè sapeva che cmq ci sarebbero stati dei seguaci che l'avrebbero
fatto fuori.
Tacito conclude il capitolo ricordando che Agrippina aveva avuto anni prima delle profezie da parte di astrologi che lei
avrebbe consultato, per sapere se Nerone sarebbe diventato imperatore, e questi avrebbero detto di si e che l'avrebbero
anche uccisa; Agrippina a tal proposito avrebbe detto 'mi uccida, purché diventi imperatore'.
Si dice che Nerone, dopo la morte di Agrippina, avesse avuto dei ripensamenti: degli incubi, si svegliava impaurito
aspettando con ansia il sorgere del sole, come se il fantasma di Agrippina potesse tornare (credenza degli antichi).
A sollevarlo provvedono gli uomini intorno a lui, anche Burro; qui anche lui cerca di mitigare questi incubi, manda dei
soldati a confortarlo; ci sono preghiere rivolte agli dei, si cerca di dare credito alla notizia che stava facendo girare
Nerone: cioè che Agrippina meditava di ucciderlo. Questo è il messaggio che viene mandato. Viene emanata una
comunicazione ufficiale in cui Nerone correva pericolo di vita a causa di Agrippina e che lei quindi fu uccisa per
punizione. Si narra anche che dopo Nerone si sia recato a Napoli, e lì comunica al senato questa falsa notizia.
Tacito ci dice che la lettera, questa messa in scena, era stata scritta da Seneca, a nome di Nerone, e che questo gli
aveva creato una cattiva reputazione: il filosofo che scrive tanti precetti, si abbassa a scrivere questo cumulo di
menzogne a favore dell'assassino. Comunque si sta al gioco. C'è un solo personaggio che sembra invece di non starci:
Tràsea, quel senatore che aveva idee stoiche che lasciò capire di non essere d'accordo per tutti i festeggiamenti per ciò
che non corrispondeva al vero. Tacito però non giudica questa protesta di Trasea. 27/03/15
Morte di Agrippina nel 59 ora Nerone si esprime in maniera libera dal punto di vista artistico, fino ad allora si divertiva a
guidare quadrighe di avorio e adesso inizia a sviluppare desiderio di esprimersi al pubblico, cantare comporre versi e
guidare le quadrighe all’aperto e i maestri gli concedono un compromesso: decidono di fargli realizzare uno di questi
desideri e scelgono quello di guidare queste quadrighe. Lo fa inizialmente semi nascosto però poi è lui stesso a
diffondere la voce così che la gente accorra. Tacito è scandalizzato per questo, molto moralista, lo definisce come un
modo per incentivare l’ozio e per vantarsi e c’è il rischio che molta gente lo imiti. Nerone in effetti invitava un botto di
donne dell’aristocrazia ad imitarlo e spesso venivano anche pagati. Poi i progetti di Nerone sono più ampi, infatti inizia ad
organizzare questa manifestazione sportiva, che doveva essere annuale, li chiama i giochi della gioventù, gli iuvenalia,
Tacito li critica molto perché venivano costruiti anche alloggi e locande per coloro che assistevano e lo vede come un
invito al vizio. Perelli paragona Tacito a un prete di campagna visti queste idee moraleggianti. A questi giochi partecipano
anche gli aristocratici. Burro è amareggiato però partecipa e batte le mani. Anche perché vi assisteva il campo dei
pretoriani a queste cose. Dovevano essere giochi di vario genere: esibizioni musicali (canto abbinato a poesia), di tipo
atletico o guidare carri. Riferimento anche comportamento Burro (Seneca no citato ma probabilmente anche lui si
comportava così): egli era presente con i suoi soldati a queste manifestazioni, ed (amareggiato) elogiava questi giochi.
Nerone si era creato un seguito che aveva il compito di incitarlo quando lui si esibiva (augustiani). Giovani di bell’aspetto
e appartenevano a famiglie elevate o povere ed erano pagati bene. Ultimo punto che riguarda attività di Nerone: a corte
dopo il banchetto riuniva un gruppo di poeti (non molto famosi) con i quali discuteva dei versi che componeva e loro
dovevano correggere i suoi versi. Erano di scarso valore come poeti: solo così erano disposti a correggere i suoi versi.
Inoltre seguiva le discussioni di filosofi di diverse tendenze, da lui convocati. Li gradiva sentire per svago mentre
litigavano.
Nel 60 Nerone prende un’altra iniziativa per quanto riguarda le attività di svago, dopo aver fondato gli annuali giochi della
gioventù fonda i giochi neroniani ogni 5 anni (due edizioni, nel 60 e nel 65). Ogni 5 anni perché vuole differenziarsi dalle
olimpiadi, giochi greci ogni 4 anni. In genere in Grecia le cose si facevano ogni 4 anni e a Roma ogni 5. Tacito dedica
due capitoli a questo argomento e presenta chi era contrario e chi era favorevole a questi argomenti. Conservatori:
questo porta a degenerazioni, ulteriori giochi creerebbero altri problemi di ordine pubblico e corruzione morale e al
riguardo si dan notizie di storie dello spettacolo. Si parte da Pompeo: fu l’uomo che fece costruire per primo il teatro
stabile! In origine i teatri venivano montati, le commedie recitate e poi smontati. Il teatro stabile di Pompeo serviva anche
per esibizioni con belve feroci e giochi dei gladiatori. Dai conservatori viene ricordato questo punto di partenza che ha
portato ad una degenerazione dei tempi precedenti. Si ricorda che in tempi remoti gli spettatori romani non avevano
sedie su cui sedersi. A favore si dice che si trattava di concedere uno svago per alcuni giorni e il fatto che Pompeo
avesse costruito un teatro stabile era una cosa che faceva risparmiare perché adesso rimane sempre e non ci sono costi
per rimettere in piedi una struttura ogni volta. Dagli altri capitoli su questi argomenti è chiaro che Tacito propende per i
conservatori ma si mette anche nei panni dei progressisti. Onestamente Tacito conclude dicendo che questa prima
edizione dei giochi non causò particolari incidenti e tutto rimase nei limiti della moderazione. Si ricorda che era apparsa
una cometa in cielo, che spesso indicava un cambiamento di qualcosa soprattutto per quando riguarda gli uomini di
potere: alcuni alla vista di questa cometa pensarono che il tempo di Nerone come imperatore fosse quasi finito e si
cominciavano a far nomi di successori. Circolava il nome di un certo Plauto, uomo di nobile famiglia imparentato con la
famiglia Iulio Claudia. Era un uomo completamente diverso da Nerone, era serio, rispettava le tradizioni, non dedito ai
vizi. C’era stato anche un fulmine in una villa dove Nerone stava banchettando che aveva colpito il banchetto a cui stava
partecipando l’imperatore e anche lì alcuni hanno visto in questo un segno del cielo.
Gli dei, che ci vogliono dire che qualcosa sta per succedere. Nerone è preoccupato da queste voci. Ancora non lo uccide
ma lo manda in esilio. Questo capitolo si conclude dicendo che Nerone si era ammalato dopo aver fatto il bagno in una
fonte sacra. Gli studiosi si sono domandati se questo desiderio di spettacoli era solo un pallino di Nerone per coinvolgere
altri in queste manifestazioni o se c’era una sorta di programma politico dietro queste scelte, un progetto che mirasse al
cambiamento della società aristocratica, dando loro una nuova mentalità. Qualche studioso ha chiamato questo progetto
“neronismo”. Altri sono più cauti e non credo che ci fosse un vero e proprio progetto (anche il prof la pensa così). Nerone
era imperatore e aveva la possibilità di dare ordini e aveva uomini che prendevano ordini da lui e non c’erano limiti.
Come diceva Seneca, nella Clemenza, i limiti li poteva avere dentro di sé. Già Caligola aveva avuto questi progetti di
grandezza (Nerone attraverso i giochi porta avanti progetti di grandezza). Svetonio dice che la voce di Nerone aveva
poco volume (bassa) e di brutto suono. Nerone continuava a prendere lezioni di canto.
Per quanto riguarda la poesia possiamo dire un po’ di più perché alcune opere ci sono arrivate anche se dopo il suo
regno molte delle sue opere furono eliminate. Un’opera a cui Nerone teneva molto era un poema epico, un testo lungo,
dedicato alla guerra di Troia. Questo poema aveva come eroe, grande protagonista, non Ettore o Enea, ma Paride, colui
che aveva rapito Elena, anche lui troiano, causando secondo il mito tutta la guerra di Troia, che veniva presentato anche
come un atleta, un uomo sportivo, che si collega bene alla figura di Nerone. Egli vedeva in Paride la proiezione di se
stesso. Si chiamava Troica, “cose troiane”. Può darsi che una parte del poema, secondo una celebre tradizione,
l’avrebbe cantata Nerone accompagnandosi con la cetra da una torre del suo palazzo mentre Roma stava bruciando.
Qualche verso ci è pervenuto attraverso citazioni di altri scrittori. Svetonio dice che negli archivi imperiali, a cui poteva
accedere, gli erano capitati fra le mani dei testi scritti da Nerone e risultavano corretti con delle aggiunte, sempre di
pugno di Nerone. Ha potuto vedere che Nerone si occupava dei suoi testi personalmente e non correzioni di altri, come
ci dice Tacito. Possiamo credere a Svetonio. Citazione: il collo della colomba di Venere, mosso, risplende. Venere era
una delle dee venerate a Troia. In originale risulta un buon verso per lo stile che ha. Allitterazione della lettera c in latino.
Anno 59 svolta con eliminazione Agrippina. Altro grande anno di svolta è il 62, la fine di Ottavia e, prima, la fine di Burro
e poi anche il ritiro a vita privata di Seneca e arrivo a corte di altri personaggi che spingono Nerone in altre direzioni.
Legge di lesa maestà, chi la violava correva il rischio di essere condannato a morte. Danneggiamento non solo del
sovrano ma anche della patria oppure un uomo che sta occupando un’importante carica politica. Vengono pubblicati con
dei versi o degli scritti nomi di persone che hanno diffamato Nerone. Ci sono processi ma questi personaggi non
vengono condannati a morte, egli vuole mostrarsi apparentemente clemente e li condanna all’esilio. A difendere uno di
questi personaggi era intervenuto Trasea, di tendenze stoiche.
Momento in cui muore Burro: due versioni, incertezze. Una morte naturale per tumore alla gola ma correva anche la
voce secondo cui Burro sarebbe stato avvelenato per ordine di Nerone. Tacito le riferisce entrambe (studiosi moderni
pensano più a tumore). Si racconta anche che Nerone va a trovare Burro e gli chiede come sta e Burro dice che “per
parte sua sta bene” forse per dire che lui ha la coscienza a posto e Nerone no. Burro era sceso a compromessi anche se
in generale era un uomo onesto. Fu compianto dai romani e anche Tacito vedeva in lui un uomo legato alle antiche
tradizioni di Roma. Successore Burro? Nerone applica una regola usata in precedenza: nominati due prefetti del pretorio
e abbiamo visto che questa regola era stata seguita da imperatori precedenti, da Augusto, poi Agrippina aveva rimosso i
due prefetti e Nerone torna al doppio incarico. Fenio Rufo, aveva già avuto incarichi di responsabilità a Roma e li aveva
svolti onestamente. Nerone doveva proporsi di nominare qualcuno che risultava gradito agli aristocratici scegliendo
Fenio Rufo. Il secondo prefetto del pretorio è Tigellino, un personaggio presentato in maniera dura dalle fonti antiche.
Origini umili, carriera fatta senza scrupoli. Entra in contatto con Nerone e si era insinuato nelle sue simpatie tanto da farsi
scegliere come prefetto del pretorio.
Morte di Butto conseguenza: egli era legato a Seneca, sempre andati d’accordo. Morte di Burro rovina la potenza di
Seneca, quest’ultimo vede venir meno il suo appoggio a corte, ambiente sempre più ostile agli onesti. Tacito dice che la
morte di Burro spezza la potenza di Seneca. Nel libro XIII Seneca aveva molti invidiosi intorno (cfr Suilio, ma anche altri).
Questi nemici vengono allo scoperto e cominciano a diffondere voci malevoli contro Seneca, accuse che ricalcano quelle
di Suilio. Voci dicevano a Nerone che Seneca era in gara con lui per chi si arricchiva di più, per chi scriveva meglio, e si
dice anche che Seneca si faceva beffa di Nerone per come cantava, scriveva e inoltre gli si diceva che ormai non poteva
più essere allievo di Seneca, ormai è adulto e non può sottostare ai suoi ordini. Quanto ai versi di Seneca, quando Tacito
ne parla, si riferiscono alle tragedie, Seneca ne scrisse nove e sono alcune migliaia di versi (anche apokolokuntosis,
prosimetro). Inoltre ci sono brevi testi di Seneca non raccolti da lui, giunti attraverso altre fonti, in cui ci parla dell’esilio in
Corsica. Di fronte a queste accuse Seneca prende una decisione: chiede a Nerone di ritirarsi, vuole restituire a Nerone
una serie di beni e ricchezze avute da lui e poi ritirarsi dalla corte per vivere appartato. Seneca chiese più volte a Nerone
di ritirarsi però Tacito presenta tutto come una sola richiesta e immagina un colloquio tra i due su questo problema. E’ un
discorso lungo. In Tacito non ci sono citazioni letterali, spesso sono elaborazioni libere. Seneca si rivolge a Nerone
chiedendogli il ritorno e secondo Tacito lo fa con uno stile solenne e diplomatico. Seneca chiede di ritirarsi a vita privata
per dedicarsi agli studi perché ormai è anziano e non può più affrontare impegni elevati a corte. Nerone dice a Seneca
che non può perché sarebbe per lui un disonore riprendere le ricchezze di Seneca a lui date per i suoi metodi e aggiunge
che non è così anziano, ancora uomo capace di fornire appoggio e consiglio al giovane Nerone che ha ancora bisogno
dell’aiuto altrui. Il tutto concluso da due gesti che vogliono sottolineare l’ipocrisia, raffinata, di Nerone verso Seneca: lo
abbraccia e lo bacia. Seneca a questo punto, anche se non ufficialmente, si ritira un po’, comincia a frequentare meno la
corte. Seneca conta ormai poco agli occhi di Nerone e a quelli dei suoi consiglieri. Tigellino decide di spingere Nerone ad
eliminare due personaggi che potevano essere pretendenti al trono: Plauto (Asia minore, esiliato) e Silla (Gallia, esiliato),
discendente del famoso Silla. Si dice che a Nerone fosse portata la testa dei due “nemici” e che egli abbia scherzato
vedendo la loro testa. Poppea è sempre nel ruolo di amante di Nerone e Ottavia è messa da parte, ma ancora moglie e
imperatrice ufficiale. Poppea però vuole diventare moglie e comincia a farlo capire a Nerone. Ottavia non da’ motivo o
pretesto perché si giunga alla sua condanna a morte, è umile, estranea a questi complotti. Si dice che Ottavia aveva
come amante uno schiavo suonatore di flauto: vengono torturate le schiave di Ottavia perché confessino. Alcune di
queste non confessano altre sì. Inoltre Nerone dice che Ottavia era sterile e non poteva quindi dargli un erede al trono.
Ottavia viene allontanata da corte e poi matrimonio tra Nerone e Poppea. Inizialmente ad Ottavia vengono assegnate
case appartenute a Burro e poi a Plauto, in un secondo momento viene allontanata fuori da Roma in Campania,
strettamente sorvegliata da una scorta militare. In Roma però ci sono proteste, il popolo amava questa giovane
principessa. Ad un certo punto si sparge per Roma la voce che Nerone aveva ripreso con sé Ottavia e c’è una sorta di
manifestazione popolare di simpatia verso Ottavia che è stata richiamata e al tempo stesso di ostilità per Poppea. E’ solo
una voce sbagliata, Nerone manda dei soldati a disperdere la folla però Nerone e Poppea cominciano a temere la figura
di Ottavia, soprattutto Poppea. 28/03/15
Nerone decide di sbarazzarsi a titolo definitivo della sua prima moglie. Un personaggio torna: Aniceto, il liberto che aveva
avuto l’idea di come sbarazzarsi della madre Agrippina. Aniceto era il capo della flotta vicino al promontorio e in questi
anni (3 anni) passati dalla morte di Agrippina non ha altre occasioni di mettersi in mostra. Nerone non lo aveva neanche
gratificato molto. Nerone stesso richiama Aniceto: gli propone di confessare pubblicamente che è stato amante di
Ottavia. Aniceto non ha moto da scegliere: o accetta di confessare questo complotto oppure viene eliminato anche lui.
Gli viene proposto anche una gratificazione in denaro e accetta. Confessa anche di più di quello che dovrebbe
confessare, aggiunge particolari. Aniceto confessa che lei aveva scelto lui perché voleva spodestare Nerone dal trono
con un capo di flotta. Aniceto viene esiliato in un “esilio dorato” in Sardegna dove poi morirà di morte naturale. Nerone fa
presente questa cosa al senato e ai pretoriani e si aggiunge un particolare: da questa relazione di Ottavia e Aniceto è
sorta una gravidanza di Ottavia ma lei aveva abortito. E’ una contraddizione: lei era stata accusata di sterilità! Ottavia era
già stata esiliata in Campania e la si sposta in un’isoletta allora chiamata Pandataria ed è oggi Ventotene (vicino ad
Ischia). Era un’isola in cui altri personaggi erano stati esiliati (anche Augusto aveva esiliato lì la figlia Giulia). Tacito
ripercorre molte vicende negative della vita di Ottavia. Non abbiamo notizie del suo aspetto fisico. Sembra che la
bellezza di Poppea fosse diventata così famosa che c’era anche una crema con il suo nome. Questo esilio non basta a
Nerone, vuole far sparire Ottavia per sempre. Viene incatenata e poi le si tagliano le vene. Ma il sangue non esce con
rapidità, perché lei è terrorizzata. Allora si decide di risolvere il problema soffocandola in un bagno. L’acqua calda
favorisce l’afflusso del sangue. Le viene tagliata la testa e portata a Poppea. Doveva avere circa 20 anni (probabile 22
anni). Ci furono i soliti festeggiamenti e ringraziamenti agli dei perché era stata uccisa colei che aveva tentato il colpo di
stato. Tacito ricorda con amarezza. Vennero eliminati sempre in quell’anno due liberti della corte neroniana: uno di questi
è Pallante, che aveva “sponsorizzato” Agrippina con Claudio. Ucciso con il veleno. Anche se ormai conduceva una vita
appartata, ancora non era morto e Nerone non poteva prendere le sue ricchezze e quindi lo uccide perché troppo
vecchio. Notizia di un tentativo di coinvolgere Seneca in un tentativo di spodestare Nerone ma Seneca ne rimase fuori e
non venne coinvolto in processi o altro. Fine fatti legati al palazzo imperiale.
Altre vicende interne: a Pompei si erano svolti dei giochi gladiatori ed erano arrivati a vederli anche uomini da altre zone,
dei dintorni. Erano scoppiati degli incidenti. Scontri con la città di Nocera. Anche dei morti. Notizie arrivate a Roma, da
dove si decide che per 10 anni a Pompei non si sarebbero più organizzati giochi gladiatori. Altra vicenda: prefetto della
città di Roma (Pedanio II) era stato ucciso da un suo schiavo. Allora la legge disponeva che alla condanna a morte
fossero destinati non solo lo schiavo ma anche tutti gli altri che in quel momento si trovavano in casa, tutta la servitù. Il
popolo di Roma aveva protestato per questa azione e il senato doveva decidere e allora Tacito riporta le discussioni dei
senatori a favore e contro questa scelta che bisognava fare. Viene riportato un discorso di un “conservatore” che è
favorevole alla morte di tutti gli schiavi. La colpa è di uno però perché gli altri non hanno prevenuto questa cosa se la
sapevano?
Altre vicende minori da vedere da soli.
Province
Vicende delle province: nel libro XIV altri problemi dell’Armenia. Tigrano Certa città dell’Armenia: Corbulone marcia con
le sue truppe verso la città, scontri in precedenza con tribù della zona. Anche Tigrano Certa apre le porte e così evita il
massacro. Tranne alcune teste calde che si rifugiano nella rocca della città e Corbulone deve conquistare questa rocca
con la forza. I parti vogliono mettere le mani sull’Armenia, i romani fermano questa invasione e mandano a governare
l’Armenia come re un ostaggio locale che avevano a Roma, un certo Tigrane. E’ un re di comodo, che prende ordini dai
romani. Gli armeni accettano malevolmente questo re.
Provincia della Britannia: zona turbolenta non ancora romanizzata, zona calda. Generale Paolino cerca di conquistare
l’isola di Mona dove però deve affrontare una dura battaglia. Abbiamo una descrizione degli uomini e delle donne
schierati sulla spiaggia quando i romani giungono e devono sbarcare per assalire l’isola. E’ una descrizione di rilievo
letterario: Tacito ci dice che sulla spiaggia erano schierate e pronte a battersi anche le donne. Portavano in mano torce e
con loro a parte uomini e donne c’erano sacerdoti locali (i famosi druidi, anche sacerdoti dei galli). Erano vestiti a “lutto”,
neri. Questo impaurì i romani. Alla fine però i romani riescono a conquistare l’isola grazie all’incoraggiamento del
generale. C’era un’altra tribù su un’altra isola e i romani erano alleati con loro. Iceni sono la tribù. Muore il re che fa una
sorta di testamento e per mantenere buoni i rapporti con i romani nel testamento aveva lasciato parte delle sue ricchezze
all’imperatore dei romani e poi aveva lasciato una parte dei suoi beni alla moglie e alle figlie. L’avidità dei romani è però
smisurata e si impadroniscono con la forza di tutti i beni e non solo: viene percossa la regina Boudicca e le figlie
vengono violentate. Gli Iceni, spinti anche dalla regina, si ribellano! Come avviene in queste ribellioni i romani sono
disorganizzati e i ribelli ottengono vittorie e riescono a distruggere alcune città della Britannia ormai romanizzate.
Paolino rimedia e decide di procedere e abbandona alcune località ormai romanizzate perché era difficile difenderle: è
stata abbandonata Londinium e viene saccheggiata. Inizia una battaglia tra le tribù capeggiate da Boudicca e Paolino.
Tacito scrive i discorsi tra i due (li immagina). Vincono i romani alla fine. E’ stato un massacro delle tribù di Boudicca.
Da Roma Nerone manda un liberto, uno dei suoi seguaci, per mettere un po’ di ordine in questa situazione britannica
perché c’erano contrasti tra i vari capi romani. Vine mandato Policlito il liberto. Le popolazioni locali sanno che è un
liberto e da’ disposizioni ai generali e si fanno beffa di lui che era uno schiavo e impone regole ai generali.
Capitoli: morte di Agrippina, Ottavia, burro, Nerone artista, (cap da 1 a 16, da 20 a 22, da 48 a 65). Vicende interne di
roma (da 17 a 19 - 27 e 28 - da 40 a 47). Vicende di armenia e britannia: da 23 a 26 arm, da 29 a 39 la Britannia.
Svetonio cap 10, 11,12, 20, 22, cap 28, 34-35, 39, cap 52
Libro XV
Gli anni che troviamo in questo libro vanno dal 62 al 65, anno della congiura fallita e della morte di Seneca. Nerone
diventa papà, nasce bambina chiamata Claudia Augusta. Nasce ad Azio (anche città di nascita di Nerone stesso). Grandi
festeggiamenti. Poi muore solo a 4 mesi. Quando gli adulatori e i senatori si erano avvicinati ad Azio per congratularsi
della nascita della bambina, ad uno di questi viene impedito di esserle vicino: Trasea. Opera si conclude con la morte di
Trasea! Continuava ma quello che ci è arrivato è solo fino a lì. Sembra anche che ci fossero stati screzi tra Trasea e
Seneca ma poi si erano rappacificati. Anche Trasea era di tendenze stoiche come Seneca ma seguiva questa filosofia in
termini più rigidi rispetto a Seneca.
Neorne artistico: decide di andare in “tournée” a Napoli perché città di tradizione greche. secondo Tacito dopo che
Nerone si era esibito il teatro si era svuotato e c’erano state scosse di terremoto per fortuna teatro era vuoto. Secondo
Svetonio invece la scossa ci era stata mentre si stava esibendo ma lui volle continuare.
Nerone doveva compiere una tournée fuori di Italia, in Grecia dopo quella di Napoli ma non ci va. Si ferma a Benevento
dove assiste a giochi gladiatori in suo onore e poi rientra a Roma con il proposito di andare in Grecia più avanti. ma alla
fine questo viaggio viene rimandato. Si racconta che fosse entrato in un tempio a Roma per invocare gli dei e chiedere il
loro sostegno in vista del viaggio in Grecia ma all’improvviso cominciò a tremare e ad avere paura e allora abbandonò
l’iniziativa di questo viaggio. Nerone pensava anche di visitare anche altre province romane oltre alla Grecia. Nerone
partecipa a banchetti organizzati da Tigellino presto trasformati in orge e Tacito moralista racconta con uno stile
scandalizzato. Parla di un banchetto sul lago su una zattera belle donne begli schiavi bevande raffinate e buon cibo e si
scopava tutti insieme. Tacito ricorda anche che durante uno di questi banchetti Nerone celebrò il suo matrimonio con un
omosessuale. Omosessualità accettata ed era anche argomento di carattere letterario. Saffo Grecia amore lesbo.
Richiami amore omosessuali fra uomini anche in Catullo e Tibullo.
Incendio di Roma: Nerone è innocente. 19 luglio 64. Incendio di Roma. Tacito dice che scoppia questa sciagura a Roma
e “non si sa se per caso o per dolo del sovrano”. Tacito dice che le fonti tramandavano entrambe le ipotesi. Tutte le fonti
antiche però tranne Tacito dicono che era stato Nerone. Gli studiosi del 900 dicono che non è stato lui.
Motivi sono più di uno:
Nerone non era a Roma ma ad Azio e gli viene comunicato dell’incendio solo quando arriva a Roma.
• Nerone stava facendosi costruire un palazzo di collegamento, la Domus Transitoria, voleva collegare il suo palazzo
• imperiale con le proprietà che aveva in un’altra zona di Roma.
Tempo: il 19 luglio era una notte di luna piena quindi particolarmente e non il tempo più adatto per sguinzagliare in città
• degli schiavi che appiccassero il fuoco perché potevano essere visti facilmente
Gli incendi a Roma scoppiavano facilmente. Condizioni città destinate a questo tipo di sciagure.
•
Come nacque questa voce? perché gli aristocratici non erano contenti, aveva eliminato molti di loro e li aveva costretti a
partecipare ai giochi e a manifestazioni, facendoli cantare e recitare, quindi umiliandoli. In oltre il fatto che Nerone si
abbandonasse a queste spese (stava costruendo questo palazzo) aumentava le tasse. Anche questo accresceva l’odio e
l’invidia verso quest’uomo. In più tendenza quando c’è grande sciagura dare colpa a chi governa. Voce cresce Nerone
ha bisogno di un capro espiatorio e sceglie i cristiani. 9/04/15
Libro XV (II)
Incendio doloso o accidentale? Le fonti di Tacito hanno tramandato entrambe le versioni. Nostre fonti solo colpevolezza
di Nerone: Tacito è l’unica fonte che ci dice che l’incendio è accidentale. Tacito ricorda come si sviluppa l’incendio:
comincia dalle parti del circo massimo (uno dei quartieri più degradati di Roma), si amplia e brucia le insulae, enormi
caseggiati, case popolari con molti piani. Piani bassi abitati da gente semi benestante, più si saliva e più aumentava la
popolazione con poco reddito. Rischio di crolli, costruite male. Vi sono vie strette e tortuose, il soccorso era difficile, in
più gli abitanti di quei quartieri si lasciano prendere dal panico e accrescono le difficoltà di poter intervenire. Tacito
ricorda tre categorie di persone “più deboli” in questa situazione: donne, anziani e bambini. Cap 38 si conclude con un
particolare interessante: Tacito ricorda che se qualcuno cercava di spegnere le fiamme, di intervenire, c’erano altri, molti,
dice Tacito, che impedivano con minacce di spegnere le fiamme e si vede addirittura qualcuno che lanciava delle torce
per far divampare di più l’incendio. Chi lanciava queste fiamme diceva che qualcuno l’aveva ordinato. Tacito non prende
posizione, lascia aperta doppia possibilità: o questi dicono così perché erano sciacalli per rubare o perché era stato
comandato. Secondo studiosi più recenti è probabile che fossero sciacalli. Lo scenario si sposta da Roma ad Anzio
perché Nerone in quel momento era lì. Si muove da Anzio solo quando si rende conto che l’incendio si sta avvicinando
alla Domus Transitoria. Tutto sta bruciando anche nei quartieri aristocratici di Roma: Tacito dice che Nerone fece partire
soccorsi per fermare l’incendio e alleviare le sofferenze di coloro che avevano perso i loro beni. Lascia che chi ha perso
la casa venga ospitato nei propri giardini, fa costruire edifici improvvisati, fa arrivare dal porto di Roma dei viveri di prima
necessità per sfamare questa gente. Inoltre riduce il prezzo del grano. Tutto questo non basta, incendio continua e
comincia a svilupparsi questa voce dicendo che è stato lui a incendiare Roma. Si dice che mentre la città sta bruciando
Nerone canta nel palazzo, secondo Tacito, mentre secondo altre fonti si sarebbe affacciato da un balcone vestito da
attore tragico a recitare, accompagnandosi con la centra, dei versi suoi sulla distruzione di Troia.
Questo incendio durò sei giorni, una pausa e poi riprese successivamente perché la situazione urbanistica di Roma
favoriva questi incendi (e anche vento). Una ripresa di circa un giorno poi finisce. Tacito ricorda che andarono distrutte
tante abitazioni ma anche tanti templi antichi, portici molto belli. L’incendio era arrivato anche ai beni di Tigellino. Si
continua a diffondere la notizia di Nerone incendiario, anche dicendo che egli volesse costruire una nuova città
chiamandola con il suo nome. Il bilancio fu tragico: da 14 quartieri si passa a 11, 3 furono completamente distrutti, altri 7
non furono distrutti totalmente ma ebbero molti danni. Tacito ricorda alcuni templi che furono distrutti (molto antichi).
Ricorda la data: 19 luglio del 64. Secondo quello che dice Tacito: 14 giorni prima delle calende di agosto. La Domus
Transitoria venne distrutta (non abbiamo notizie su come si stesse sviluppando), invece Tacito e altre fonti si soffermano
su una nuova costruzione che Nerone si sta facendo costruire: Domus Aurea. Espressione non inventata ma si trova in
poeti greci molto antichi (tipo Saffo) per indicare la dimora degli dei in cielo. Segno di un progetto politico che aveva in
mente: presentare anche l’abitazione sua e della sua corte come quella di un Dio. E’ uno degli esempi con il quale
Nerone dimostra di voler andare verso la divinizzazione. Nelle province dell’impero romano orientale concetto di
divinizzazione accettato facilmente mentre in occidente no. Riprende atteggiamento di Caligola. Non era un palazzo,
erano tante costruzioni separate da campi, porticati che le collegavano. Voleva proporla come sede imperiale di modo da
dare un’impressione molto sfarzosa di Roma. Tacito ci ricorda gli architetti: Severo e Celere. Sono rimaste circa 150
stanze, sono visitabili. Soffitti ornati con pitture (alcune ancora presenti) in più aperture che consentivano al soffitto
tramite marchingegni di aprirsi e di far cadere per i banchettanti petali di rose, essenze profumate. A parte le zone con i
campi e vigneti c’erano spazi in cui si voleva dare l’impressione della selva incolta (volutamente, moda del tempo). Per
quanto riguarda le pitture di questi ambienti si sono confrontate con le pitture rimaste nelle ville signorili di Pompei: anche
lì c’erano cose simili, quindi rispettano tendenze e mode artistiche dell’epoca. Davanti al palazzo di Nerone, quello in cui
lui abitava, si fece costruire una statua enorme che lo raffigurava (35m di altezza); il proprio volto era circondato dai raggi
del sole, c’era anche il desiderio di raffigurarsi sotto le fattezze di Apollo, dio sole. Quando il regno di Nerone crollò la
statua non era ancora costruita completamente. Inizia costruzione dopo incendio (65) e nel 68 (Nerone cade) non è
ancora finita. Sotto il regno di Ottone, lui riprende la costruzione di questa statua ma il regno fu breve e dopo di lui il
regno breve di Vitellio e quando andò al potere Vespasiano, imperatore diverso e “avaro” (perché le casse dello stato
erano vuote), lasciò perdere il proseguimento della Domus Aurea e fece sostituire il volto di Nerone con un’immagine che
rappresentava solo il Dio sole. Nel frattempo in quella zona si cominciò a costruire l’anfiteatro Flavio (Colosseo).
Siccome questa statua veniva chiamata “Il Colosso”, da lì l’anfiteatro Flavio viene chiamato il Colosseo. Nerone ebbe
anche altri progetti a parte la costruzione della casa. Mise in piedi quello che oggi potremmo chiamare “piano
regolatore”. Il suo progetto era costruire vie più ampie, quartieri più spaziosi e queste iniziative partirono ma che fossero
portate a termine nel giro di pochi anni, anche dopo la fine del regno di Nerone, è un altro discorso perché da fonti di
decenni successivi Roma non era molto diversa. Tacito ricorda che quando Nerone cominciò a far costruire vie più
spaziose e abitazioni più elevate c’era anche chi guardava con nostalgia i tempi precedenti perché con queste vie più
spaziose c’era il rischio di perdere l’ombra.
Di fronte a continui malumori che si stavano creando Nerone dovette metterci un punto, anche fine alle voci che lo
indicavano come incendiario e scelse i cristiani come capro espiatorio: prima persecuzione dei cristiani (fino a
Costantino). Persecuzioni da qui in poi dipendevano non solo dai cristiani ma da altre circostanze che non partono subito
dalla volontà dell’imperatore (come Nerone). In tempi successivi le conseguenze che potevano far partire la
persecuzione dei cristiani: scoppiava una carestia o pestilenza, i pagani cercavano di dare spiegazione a queste brutte
cose a cui non riuscivano a rimediare dicendo che gli dei pagani non volevano risolvere questi problemi perché c’erano i
cristiani che erano tutti strani. Gli imperatori dovevano accettare questa situazione e favorire queste persecuzioni. I
cristiani poi quando venivano arrestati, in larga misura, si rifiutavano di dichiarare che l’imperatore era un essere divino.
I cristiani erano persone di ceto umile, anche se qualcuno di ceto aristocratico cominciava ad esserci (cfr precedenti:
Pomponia e Atte). Anche tanti schiavi (tipo di vita diverso).
Quella di Tacito è una delle prime testimonianze di un pagano sui cristiani. Ci sono anche testimonianze dei cristiani sui
cristiani: le prime testimonianze scritte sono “Le lettere di Paolo” che risalgono agli anni del regno di Nerone. Il
cristianesimo all’incendio di Roma ha circa 30 anni e comincia a diffondersi grazie agli apostoli. Paolo all’inizio ebreo
persecutore poi si converte e scrive lettere (in greco - lingua internazionale), che costituisce il nuovo testamento con i
vangeli, di poco posteriori alle lettere di Paolo. Tacito ha fonti precise sui cristiani: ci dice che il promotore del
cristianesimo era Cristo che era stato suppliziato dal procuratore Ponzio Pilato (sotto l’imperatore Tiberio). Tacito dice
che il cristianesimo sembrava quasi finito con la morte di Cristo ma invece continua. Tacito definisce il cristianesimo
come existiabilis superstisio: sciagurata superstizione. Tacito era molto conservatore. Conservava marmellate, pomodori,
carciofi sott’olio. Anche se Tacito a volte dice che gli dei sembravano non preoccuparsi di quel che stava succedendo, ha
dei dubbi sul paganesimo. Non accettava senza porsi delle domande. Per quanto riguarda il paganesimo, un aspetto
particolare è che per i romani credere negli dei non era tanto un’atto di fede era un atto politico, una tradizione e gli
uomini politici, che ci credessero o meno, dovevano accettare questa tradizioni. Tacito era un uomo di governo quindi
aveva certe responsabilità politica. Tacito continua dicendo che il cristianesimo parte dalla Giudea e si diffonde fino ad
arrivare a Roma, espressione molto dura: dove da ogni parte confluiscono le scelleratezze e le cose di cui vergognarsi
(riferendosi al cristianesimo).
Tacito racconta cosa si fa di questi cristiani perseguitati. La persecuzione è molto lunga, tre secoli ma mondo molto
variegato, c’era chi aderiva con grande convinzione e restavano così anche se perseguitati, e affrontavano la morte con
fermezza, ma c’era anche chi cedeva. Si comincia ad arrestarli, cedono sotto tortura, alcuni cedono altri no. Sotto
diverse accuse venivano imprigionati: il motivo principale era quello di essere incendiari, la seconda accusa invece era
“odiatori del genere umano”. Questo perché i cristiani vivevano la loro fede in modo appartato e quindi dalle consuetudini
della vita romana e si presentavano come dei diversi, come gente che viveva in un modo diverso dalla quasi totalità della
popolazione ed avevano un’altra visione della vita.
Poi vengono narrate le pene. Alcuni rivestiti di pelli di animali feroci e poi sotto queste pelli di animali lasciati in pasto ai
cani perché strazino le loro carni. Altri vengono crocifissi (condannati coloro che non erano cittadini romani o agli
schiavi). Alcuni di loro vengono bruciati. Il capitolo di Tacito si chiude dicendo qualcosa che fa onore a Tacito: dice che
questi cristiani erano colpevoli, non tanto dell’incendio ma ostili alla religione tradizionale, quella che “bisognava” seguire,
però prova anche un senso di pena per questi uomini mandati a morte per il gusto di infierire su di loro, per sfogare la
crudeltà di Nerone. Quando Tacito scrive gli Annali un suo amico, Plinio il Giovane, anch’egli letterato e uomo politico -
governatore della Bitinia, all’interno dell’odierna Turchia -, deve affrontare il problema dei cristiani della Bitinia. Gli
vengon portati e li deve giudicare, deve esprimere un giudizio di assoluzione o di condanna, è scrupoloso, non impulsivo
o violento e non sa come giudicarli. Da un lato quando li interroga constata che non si sono macchiati di colpe particolari
però sono ostinati a dichiararsi seguaci di un Dio e non degli dei. Per prendere una decisione scrive una lettera a Traiano
ed egli risponde dicendo di valutare caso per caso (molto diverso dall’atteggiamento di Nerone). Forse Plinio una delle
fonti di Tacito per i cristiani. Si diceva che erano cannibali (cfr mangiare corpo di Cristo e bere sangue).
Nerone si procurò dei soldi mettendo tasse sui popoli delle province e di altre città d’Italia per abbellire Roma e per
continuare la costruzione della Domus Aurea. Inoltre provvide a far depredare i templi delle statue e degli dei che si
trovavano in Grecia e in Asia minore. Un po’ quello che fanno tutti gli imperatori e conquistatori.
Sembra che nel 64 qualcuno, per ordine di Nerone, volesse ammazzare Seneca ricorrendo al veleno. Seneca però era
riuscito ad evitare questo avvelenamento: Tacito adduce due motivi. O perché il liberto non l’aveva fatto o perché Seneca
era molto guardingo ed era stato molto attento, aveva un tenore di vita molto semplice, nel bere e nel mangiare. Questo
capitolo si chiude con la “dieta” di Seneca.
Congiura di Pisone contro Nerone
Complotto organizzato da un gruppo di personaggi molto eterogeneo nell’anno 65. Fallisce. C’è una serie di morti (tra cui
Seneca). Congiura di aristocratici, militari, donne. Vari motivi ma in generale i militari erano abbastanza disgustati di
prendere ordine da un imperatore che era distante dalle tradizioni romane che pubblicamente si mostrava come un
artista. Inoltre Nerone mandato a morte molti aristocratici e umiliati molti di loro costringendoli a partecipare a questi
giochi come atleti, attori e cantanti. In più qualcuno entrava nella congiura per motivi più personali, Lucano, parente
molto stretto di Seneca (figlio di uno dei fratelli di Seneca). Era più giovane di Nerone, vissuti insieme, gusti letterari vicini
però scatta tra loro un senso di rivalità. Nerone provava invidia per la bravura di Lucano nel comporre versi. Sembra
inoltre che Lucano fosse a favore di restaurare la repubblica. Pisone era un aristocratico che era molto simile a Nerone
sotto certi aspetti, un uomo abituato a vivere nel lusso, anche lui non nascondeva desideri di essere artista, però si
presenta come un capo di questo complotto. Cap 48 Tacito comincia con descrizione Calpurnio Pisone. Non uomo
virtuoso (non seguiva la tradizione) ma ostentava maggior rispetto di altri, come Nerone. Aveva un bell’aspetto, sapeva
farsi ben volere. Ricorda i nomi di altri congiurati. Epicari liberta non sappiamo perché aderisce alla congiura. Donna non
molto virtuosa, si concedeva ad altri, viene raccontato come lei cerchi di coinvolgere altri, in particolar modo Vollusio
Proculo che era stato uno di coloro che Nerone aveva mandato ad uccidere Agrippina. Non aveva ricavato molti vantaggi
dalla morte di Agrippina e quindi sembrava per questo voler far parte della congiura. Epicari parla di questo complotto
ma non fa nomi. Vollusio non accetta e anzi rivela tutto a Nerone, viene arrestata Epicari, c’è un confronto tra Epicari e
questo Vollusio per vedere chi dice la verità. Non si hanno prove forti nei confronti di Epicari che non viene eliminata ma
rimane in prigione. 10/04
Le vite di 12 Cesari - Svetonio - Cap 16 vita di Nerone
Si ricordano le norme che Nerone ha voluto per costruire nuovi edifici a Roma dopo l’incendio. Si accenna anche alla
condanna dei cristiani. Parla di una superstizione nuova e pericolosa (cristiani).
cap 20 esibizione di Nerone a Napoli
cap 27 banchetti di Nerone - orge
cap 31 importante perché dedicato tutto alla Domus Aurea
cap 32 tasse nuove per pagare spese e requisizione di statue per pagare Domus Aurea
cap 38 incendio di Roma - Svetonio non ha dubbi: è Nerone che vuole l’incendio
Libro XV (III)
Epicari arrestata. Nei capitoli successivi l’argomento principale è come eliminare il tiranno. Dapprima l’idea è di uccidere
Nerone a Baia (dove Nerone aveva attirato sua madre per ucciderla). Lì Pisone aveva anche una villa. Pisone si oppone
perché uccidere un ospite in casa sua non gli piaceva. Probabilmente in realtà temeva che a Roma qualcun altro
decidesse di impadronirsi del potere direttamente mentre lui non c’era. L’idea che prevale è di uccidere Nerone a Roma
in occasione di una serie di spettacoli in onore della dea Cerere che si tenevano tutti gli anni ad aprile. Nerone
frequentava questi spettacoli e si decide una soluzione che ricorda la congiura contro Cesare: uno di questi congiurati si
sarebbe avvicinato a Nerone per chiedere denaro e abbracciandolo lo butta a terra e poi tutti si sarebbero scagliati
contro di lui (cfr Cesare). Si decide di organizzare tutto così, siamo in aprile del 65 d.C. Scevino arde dal desiderio di
colpire per primo Nerone, è un personaggio secondario. Esibisce volentieri un pugnale che aveva con sè e va già
dicendo che con questo pugnale vuole dare un bel colpo a Nerone. Si organizza tutto. Anche Fenio Rufo, uno dei prefetti
(l’altro era Tigellino) faceva parte della congiura. Egli, con altri, avrebbe accompagnato Pisone all’accampamento dei
pretoriani per farlo incoronare. Cominciano a circolare voci su questo complotto: tutto parte dall’iniziativa di Scevino. Da
un lato è molto scrupoloso, dall’altro è molto imprudente. Scrupoloso perché nei giorni che precedono eliminazione di
Nerone fa testamento, da’ la libertà ad alcuni schiavi e affida ad uno di questi schiavi appena liberati questo pugnale a
cui tiene molto perché lo faccia affilare bene. Inoltre fa preparare delle bende per eventuali ferite.
Tacito ricorda che non si sa se Milico (il liberto) sapeva o no della congiura però capisce qualcosa e decide di denunciare
il tutto. Viene spinto anche dalla moglie a questa iniziativa. Si reca nel palazzo di Nerone, viene ricevuto ed espone tutto
quello che sa. Viene convocato Scevino, arrestato e dapprima riesce a resistere, a replicare alle accuse e la situazione
quindi non è ancora compromessa. Viene chiamata anche la moglie di questo liberto a dare man forte al marito e a dire
che qui sta succedendo qualcosa di grave nei confronti di Nerone e che ci sono altri uomini coinvolti. Vengono arrestate
varie persone e si chiede cosa si stava preparando ed ecco che si cominciano a fare i primi nomi e le prime ammissioni.
Il primo nome che si fa è quello di Pisone e poi Seneca. Come se ci fossero stati incontri tra di loro. Tacito parla di
congiura di Pisone, quindi lui è il capo e colui che doveva diventare imperatore, però Dione Cassio, un altra fonte, non
parla di congiura di Pisone ma di Seneca e Fenio Rufo. Viene citato anche Lucano, figlio di uno dei due fratelli di
Seneca, denunciato anche lui e a propria volta cede facilmente sotto l’interrogatorio e denuncia addirittura la propria
madre. Viene richiamata Epicari e torturata duramente per ricavare notizie sulla congiura. Non denuncia però nessuno!
Mentre viene portata ad un’altra tortura il giorno dopo su una portantina, perché non poteva più muoversi da sola,
sapeva che non avrebbe resistito e quindi si toglie una fascia e si impicca alla portantina perché non voleva rivelare
niente a nessuno.
Anche Fenio Rufo è presente agli interrogatori dei congiurati ed infierisce, mostra un comportamento vile per recitare la
propria parte di uomo che serve l’imperatore. Quando uno dei congiurati dice che vuole uccidere Nerone a sorpresa e fa
un cenno a Fenio Rufo per farglielo capire lui dice di no (estremamente vile). Pisone è stato denunciato ma non è ancora
stato arrestato, è a casa sua e degli amici di Pisone, dei congiurati, non ancora scoperti, lo invitano a tentare qualcosa
perché non è detto che tutto sia perduto oppure quand’anche fosse sicura la morte gli dicono sarebbe meglio morire con
la spada in pugno piuttosto che farsi arrestare e morire torturati o scannati. Pisone però non ha il coraggio di prendere
l’iniziativa e aspetta in casa sua l’evolversi della situazione. Giunge una schiera di soldati per intimargli la fine, la morte.
La fine consiste nel tagliarsi le vene dei polsi. Fa anche testamento prima di morire ed è un testamento che non gli fa
onore perché è tutta un’adulazione nei confronti dell’imperatore (forse spinto anche dall’amore per la moglie per non farla
uccidere o arrestare). Così si chiude in modo vile la vita di Pisone che sembrava destinato ad occupare la carica
suprema nell’impero romano.
La fine di Seneca
Tacito dedica a Seneca 5 capitoli. La morte di Seneca era già stata tentata da Nerone in precedenza attraverso del
veleno che però non gli era stato dato dal liberto. Per Nerone lasciare in vita Seneca significava lasciare in vita una
specie di rimprovero vivente, perché Nerone era lontano dai precetti che Seneca gli aveva insegnato. Qualcuno dice che
c’erano stati dei contatti tra Seneca e Pisone e questo qualcuno avrebbe fatto da intermediario. Questi contatti erano
stati rifiutati da Seneca, egli non aveva voluto che Pisone si recasse da lui per parlargli adeguatamente. Aveva fatto dire
che preferiva pensare alla propria salvezza o qualcosa del genere. Seneca rientrava dalla Campania quando viene
scoperta la congiura (aprile 65) e si sistema in una sua tenuta qualche chilometro da Roma e lì stava scendendo la sera
e giunge un ufficiale da parte di Nerone, fa circondare la casa di Seneca e poi entra. Seneca stava cenando con due
amici e con la moglie Paolina (seconda moglie, la prima era morta quando doveva partire per l’esilio in Corsica). Ecco
arrivare questi soldati che vogliono interrogare Seneca. Seneca risponde a queste domande dicendo che era venuto da
lui qualcuno a nome di Pisone ma Seneca aveva preferito non concedergli nessun colloquio per motivi di salute e per
desiderio di stare tranquillo. L’ufficiale torna per riferire l’esito del colloquio e in quel momento con Nerone si trovavano
sia Poppea che Tigellino. La domanda che pone Nerone è: Seneca si sta preparando a morire? A suicidarsi? Il tribuno
dice che Seneca non dimostrava nessun segno di debolezza ma Nerone vuole lo stesso la morte di Seneca e ordina
all’ufficiale di tornare da Seneca per ordinargli di morire. Qui citata una fonte di Tacito: Fabio Rustico, da lui si apprende
che questo ufficiale non si era recato subito da Seneca ma da Fenio Rufo per sapere se doveva obbedire a Nerone
oppure no. Fenio Rufo dice di obbedire agli ordini dell’imperatore. L’ufficiale non osa presentarsi a Seneca e gli manda
un suo soldato per ordinargli di uccidersi. Tacito è molto particolareggiato, si capisce che desiderava illustrare nei dettagli
la fine di quest’uomo. In tutto questo racconto Seneca viene descritto come il perfetto filosofo stoico che rimane
impassibile di fronte ad un momento così terribile.
C’è il desiderio di mostrare Seneca come un eroe morale, un po’ forse esagerato. In questo momento viene presentato
come molto coerente con le sue idee filosofiche (cfr accuse di non essere coerente). Chiede di poter far testamento però
questo soldato glielo nega. A questo punto Seneca si rivolge ai suoi amici, allievi, persone legate a Seneca, che
credevano in questi principi dello stoicismo, che si erano radunati a casa sua e tiene un breve discorso. Da’ dei consigli,
li conforta a non lasciarsi prendere dallo sgomento per il fatto che sta per morire e li invita a tenere a mente i consigli, i
precetti che aveva dato loro in tante occasioni sia attraverso colloqui che attraverso le opere. Dice di lasciare come
eredità a questi amici l’esempio della sua vita. Tacito segue una visione idealizzata, no punta negativa in questa
affermazione. Aggiunge che la crudeltà di Nerone era conosciuta a tutti e non c'era da stupirsi che ricadesse su di lui
dopo essersi sbarazzato della madre, moglie, fratellastro. Seneca abbraccia la moglie Paolina e da’ dei suggerimenti
anche a lei, di essere forte in questi momenti però lo fa con più tenerezza. La moglie chiede di morire con il marito
perché è tutta triste e lui accetta. Ti ho indicato il conforto della vita tu preferisci l’onore della morte e io non te lo
negherò. Si aprono entrambi le vene. Si aprono a Seneca anche le vene delle gambe perché il sangue non scorreva.
Seneca morte lunga e lenta e per evitare che la moglie soffra anche lei le dice di allontanarsi. In quel momento Seneca
fa venire qualche segretario perché annoti dei pensieri che aveva, gli ultimi però Tacito non li riporta perché erano già
stati divulgati da altri in altre fonti. Paolina viene salvata da Nerone perché vuole evitare eccesso di crudeltà e quindi
impone ai soldati di fasciare le vene di Paolina e di bloccare l’afflusso del sangue e così Paolina ormai incosciente non
muore. Seneca ancora non muore quindi chiede di farsi dare un veleno ma è inutile perché le membra cominciano a
raffreddarsi. Alla fine viene, come Ottavia, condotto in un bagno a vapore e muore soffocato dai vapori poco per volta.
Tacito riporta una voce che correva secondo cui il gruppo dei militari che avevano aderito alla congiura avrebbero
desiderato una volta che la congiura fosse andata a buon fine eliminare Pisone e proclamare Seneca imperatore.
Il motivo di questo cambio di imperatore veniva spiegato con il fatto che Pisone tutto sommato aveva costumi e mentalità
simile a quelle di Nerone. Seneca tra il 62 e 65 scrive molto. A questo periodo appartiene la maggior parte delle lettere
giunte a noi di Seneca. Sono tutte lettere indirizzate ad una sola persona: Lucilio. Sono lettere molto diverse da quelle di
Cicerone, Seneca qui dona consigli morali. A volte sono tipo trattati di filosofia altre volte sono più brevi e forniscono
esempi di situazioni quotidiani. Si propone di fornire consigli a Lucilio ma è consapevole che queste lettere saranno
pubblicate. Sappiamo che Seneca scrisse “questioni naturali”, un’opera di carattere scientifico, affronta problemi di
scienze, ad esempio da cosa sono causati i terremoti, come si sviluppano ecc e fa considerazioni secondo le dottrine
scientifiche del tempo. Non lo fa da scienziato ma con fine morale nei confronti della natura. Poi abbiamo opere di
filosofia più brevi. Una di queste è (titolo latino) “De Otio”. Otio in latino vuol dire sia ozio, come per noi, ma ha anche
significato positivo: una vita dedicata allo studio, una vita ritirata, contemplativa, non nella politica. In questo testo si
domanda se il filosofo può o non può ritirarsi dalla vita politica: testo fortemente autobiografico perché aveva chiesto a
Nerone di ritirarsi e lui non glielo aveva permesso. Seneca giustifica il proprio ritiro dicendo che ci sono circostanze in cui
uno stoico può ritirarsi dalla vita attiva per rendersi utile attraverso la parola (vita di studio).
Intanto continua la ricerca dei congiurati, tra questi molti militari. Viene ricordato un miliare che muore con estrema
fermezza: questo militare dice a Nerone perché ha deciso di tradirlo. Dice che ha cominciato ad odiarlo quando ha
ucciso madre moglie e poi diventato auriga, attore e incendiario. Fenio Rufo muore in maniera diversa, muore da vile e
così altri. Morte del poeta Lucano: muore dopo lo zio, anche lui deve tagliarsi le vene e muore con fermezza. Mentre
fluiva il sangue si ricorda dei versi che aveva scritto a proposito della morte di un soldato e li recita morendo. Nato a
Cordoba come Seneca ma a Roma fin da bambino, due anni in meno di Nerone, educato secondo filosofia stoica.
Compagno di gioventù di Nerone, molto amici. Nerone però poi era geloso perché pensava che Lucano fosse più bravo
di lui a comporre e i loro rapporti quindi si sono raffreddati. Lucano scrisse varie opere ma è giunta solo una: poema
epico 9 libri più un pezzo del decimo arrivati il resto no scritto perché poi muore. Titolo: la guerra civile o anche la
Farsaglia. Parla di un argomento storico, non di tempi lontani, parla della guerra tra Cesare e Pompeo. L’opera si
conclude con i primi momenti di incontro tra Cesare e Cleopatra. Caratteristico dell’opera: Lucano vede come eroi i
repubblicani, Pompeo e Catone l’Uticense che levava rifiutato di arrendersi a Cesare e si era ucciso da stoico. Cesare è
visto come vero e proprio tiranno, una figura del tutto negativa. Lucano era entrato nella congiura di Pisone anche con
idee repubblicane (per questo motivo lo sappiamo). Opera importante anche dal punto di vista letterario perché Lucano
poeta bravo. Poema epico ma non si ispira a modelli dell’epica latina, al contrario, Lucano mette da parte la presenza
degli dei che intervengono nelle vicende umane come succede in Omero e lascia di più la parola agli uomini, Cesare
Pompeo e Catone l’Uticense e al posto degli dei figure tradizionali entrano in gioco dei concetti, come quello della
fortuna e della libertà. In questo poema c’è il gusto dell’orrido, del macabro, di famiglia perché anche presente nelle
commedie di Seneca. Scorre molto sangue. Presente aspetto magia. Opera ben nota a Dante che talvolta la riecheggia
per qualche episodio nella divina commedia. Medioevo molto famosa. Età di Nerone ricca molti personaggi letterari.
Congiura ormai arrivata alla sua fine. Ci sono altri personaggi che chiudono la loro vita e poi c’è la premiazione di chi ha
denunciato questa congiura: Milico ottiene la sua ricompensa, ci sono le adulazioni dei senatori nei confronti di Nerone
scampato a questa congiura. Ringraziamenti agli dei, cerimonie nei templi e così via.
Cap 18-22, cap 32, 46
Si prendono decisioni contro le adozioni simulate. Era abitudine nell’ambiente romano di adottare qualcuno, esempio
famoso Giulio Cesare aveva adottato Ottaviano. Prassi che si era diffusa in ambienti più modesti e si procedeva quindi a
queste adozioni. Talvolta non perchè si voleva adottare qualcuno ma perché lo stato concedeva vantaggi adottando dei
figli per quel che poteva essere carriera politica o incarichi di uffici poi una volta ottenuti questi vantaggi queste adozioni
venivano abbandonate ecco perché adozioni simulate. La pratica era così diffusa che si decise di porre un freno.
Altra notizia: Pompei in quegli anni devastata dal terremoto, poi dopo qualche anno eruzione Vesuvio.
Trasea si schiera contro una procedura abbastanza diffusa, quando un governatore rientrava dalla provincia dopo essere
governatore i provinciali si recavano a Roma per ringraziare il governatore che usciva di carica di quello che aveva fatto
per loro (forma di adulazione). Trasea suggerisce al senato che d’ora in poi non devono più esserci questi ringraziamenti
dei provinciali ai governatori e questa iniziativa di Trasea ebbe successo e si decise di eliminare questa formalità.
Cap da 1 a 17 e da 24 a 31
Resto libro 15 riguarda problemi di politica estera: Armenia. Sia romani che parti volevano l’Armenia. Romani avevano
messo Tigrane re comandato dai romani. I parti volevano qualcuno di loro sul trono dell’Armenia.
Re dei parti è Vologese che voleva che sul trono ci fosse suo fratello Tiridate. I romani generale Corbulone che ha capito
come muoversi in questo mondo mediorientale: procedere per trattative. Altri ufficiali romani cercano scontro con i parti e
va male. Soluzione che viene suggerita alla fine: proviamo a sentire cosa decide Nerone. Situazione incerta. Alla fine c’è
un incontro tra Corbulone e Tiridate, fratello di Vologese re dei parti e si giunge a un accordo: Tiridate diventa re di
Armenia però sarà incoronato re di Armenia da Nerone. Tiridate si impegna a venire a Roma per essere incoronato da
Nerone. Si lascia la figlia di Tiridate in ostaggio ai romani di Corbulone. Venuta di Tiridate a Roma ci sarà ma Tacito non
ci dice nulla perché quella parte degli annali è perduta. 11/04/15
Libro XVI
Ci è pervenuta solo la metà del libro. Mancano gli ultimi due anni, la parte pervenuta riguarda ancora l’anno 65 e i primi
avvenimenti dell’anno 66. Fino al giugno 68 (Nerone finisce regno) non è giunto. Seguiremo l’ordine dei capitoli (manca
politica estera). Il libro si apre con i tre capitoli dedicati all’episodio curioso che ha anche un aspetto fortemente comico:
può stupire che uno scrittore così serio come Tacito dedichi 3 capitoli ad un fatto del genere, ma lo fa probabilmente solo
per mettere in luce la follia di Nerone negli ultimi anni di regno. Nero fa così solo per avere sempre più soldi, le spese a
cui si stava abituando erano sempre più gravanti. Un certo Cesellio dice di avere avuto un sogno che gli faceva vedere
che in un suo terreno a Cartagine, sottoterra, gli erano apparse delle enormi ricchezze (che secondo una lunga
tradizione erano appartenuti a Didone, la fondatrice di Cartagine che si era follemente innamorata di Enea, ma quando
Enea si allontana per fondare Roma, lei lo maledice e si uccide). Cesellio si fa ricevere a corte e Nerone presta ascolto a
quanto gli viene raccontato e decide di mandare una squadra a Cartagine sotto supervisione di Cesellio. Questa
situazione gira e la notizia divaga. Durante gli scavi non si trova ovviamente nulla. Cesellio si dice sia stato catturato ma
poi lasciato libero. Poi suicida perché aveva beffato prima l’imperatore. Anche Nerone si fa una figura di merda.
Cartagine, fino alla fine dell’impero romano, tornò comunque ad essere una delle più importanti città del nord africa e
dell’impero.
Cap 4-5 Nerone artista
Siamo nel 65 e si svolge seconda edizione giochi neroniani. Nerone vuole presentarsi, recitare e cantare ma non l’aveva
mai fatto a Roma, si era esibito ma a Napoli. E’ una cosa sconveniente e quasi grave per un imperatore. Il senato gli
vuole assegnare tutti i premi “a tavolino”, senza gareggiare ma lui rifiuta. Ricordata gara del canto con
accompagnamento della cetra. Tacito dice che Nerone segue con molto scrupolo tutte le regole di questa gara, attento a
non sbagliare nulla (non scontato perché lui era l’imperatore e sappiamo tutti che avrebbe vinto lo stesso). Regole molto
severe. Nerone aspetta con ansia il giudizio. Tacito dice che Nerone finge, può darsi ma non è detto che fosse ansia
finta. Pubblico (popolino) assisteva con grande piacere. Inoltre abbiamo il gruppo di neroniani, di “fans” di Nerone
(pagati) che lo sostenevano. C’è anche chi vede in malo modo queste esibizioni e questi giochi. Non solo il senato ma
anche coloro che arrivavano da cittadine di provincia di altre parti d’Italia in cui la mentalità era più rigorosa e
conservatrice.
Tacito ricorda che assistere da spettatore era un obbligo a Roma, non si poteva uscire da questi giochi mentre erano in
corso. Ci dice anche che mentre Vespasiano (futuro imperatore) assisteva ai giochi di Nerone si addormenta e un liberto
lo sveglia perché rischiava. Muore Poppea dopo la fine dei giochi. Era incinta, viene colpita nel ventre da Nerone con un
calcio e muore. Secondo certi scrittori sarebbe morta di veleno (ma Tacito non ci crede tanto). Svetonio però ci racconta
anche perché Nerone le da’ un calcio: litigio tra questi due, Nerone era rientrato tardi dopo una corsa con i cavalli e
Poppea lo rimprovera. Nerone non paga la sua colpa, rimpiange pubblicamente la morte della sposa e le fa un funerale
solenne. Poppea non fu cremata, com’era da consuetudine, ma fu imbalsamata. Nerone si risposa, Statillia Messalina è
la nuova moglie (niente a che vedere con la Messalina di Claudio). Si dice che per sposarla fece uccidere il marito.
Tacito si sofferma su condanne a morte legate alla congiura di Pisone (ormai giunta alla conclusione ma Nerone usa
come scusa, pretestuosa). E’ anche un modo comodo per procurarsi ricchezze: condanna a morte persone benestanti e
sequestra beni.
Due personaggi minori: Cassio e Silano (diversi rispetto ai precedenti). Cassio era un discendente di uno dei capi della
congiura contro Giulio Cesare, Cassio. Gli si rimprovera questo legame con il congiurato che aveva complottato contro
Cesare e per sottolineare questo aspetto gli viene rinfacciato che in casa teneva un busto del suo antenato.
Cap 17 fratello di Seneca: Anneo Mela, padre di Lucano. Ci viene presentato brevemente. Anche lui muore. Si dice che
non aveva voluto fare una carriera politica. Aveva preferito svolgere in carichi di tipo amministrativo (sempre per conto
dell’imperatore). Muore tagliandosi vene. Fa testamento e lascia le sue ricchezze a Tigellino e al suo genero. In genere
si fa così perché si spera che non tutti i beni vengano sequestrati. Viene inoltre ucciso Crispino, primo marito di Poppea.
Cap 18: Petronio. Con molta probabilità è l’autore del Satiricon. Siamo nel 66, Tacito si sofferma a lungo su questo
personaggio che ha ruolo importante alla corte di Nerone. Tacito ci dice che di giorno dormiva e di notte era “vivo” e
attivo, sia per lavorare che fare altro. Gli piaceva divertirsi e godersi la vita (come Nerone). Era un dissoluto con spirito e
intelligenza, era raffinato. Aveva avuto responsabilità di governo, era stato console e governatore di una provincia, la
Bitinia. Era diventato uno dei personaggi indispensabili della corte di Nerone, che lo voleva accanto a sè. Diventato
uomo molto ascoltato da Nerone, famosa definizione di Tacito che circolava su Petronio: elegantiae arbiter, arbitro di
eleganza, qualcuno che sapeva dare consigli su comportamento e mode. Petronio ebbe in suo nemico Tigellino, che
ambiva ad essere l’uomo indispensabile di Nerone e allora a Tigellino dava fastidio che Petronio risultasse
indispensabile a Nerone. Tigellino quindi lo denuncia, rinfaccia a Petronio di essere stato amico di uno dei congiurati
(Scevino). Petronio personaggio pieno di contraddizioni, paradosso. Studioso italiano, Antonio La Penna, scrive un
trattato “il ritratto paradossale”, citando Petronio (perché personaggio dissoluto ma anche impegnato) e l’altro è Catilina.
Cap 19 riguarda fine di Petronio: significativo per modo in cui egli decide di morire! Si svolge in maniera opposta a quella
di Seneca, è Petronio a decidere così. Siamo in Campania e Petronio si trovava nei pressi di Cuma. Non aspetta i soldati
ma si taglia le vene. Poi però se le fa ricucire. Con i suoi amici parla non di argomenti seri come Seneca ma di argomenti
leggeri, di poesia leggera. Alcuni servi li punisce e altri li libera. Poi va a banchettare, fa un sonnellino e poi prima di farsi
tagliare di nuovo le vene scrive una specie di testamento. Non dice di lasciare i beni a Tigellino o all’imperatore: diciamo
che riassume le nefandezze compiute da Nerone e Tigellino e cita i nomi delle persone e degli amanti e delle amanti di
Nerone. Poi fa sigillare questo documento e lo manda a Nerone. Prima di morire spezza l’anello che serviva da sigillo
perché non potesse essere usato da altri. Con molta probabilità questo autore è colui che ha scritto il Satiricon, ma non
lo sappiamo di per certo. Il Satiricon è un opera che potremmo definire un romanzo, simile al nostro romanzo. Dal punto i
vista dei latini era una sorta di satira (cfr titolo). Legame con l’apokolokuntosis di Seneca. Entrambi sono prosimetri.
DESCRIZIONE APPUNTO
Appunti di Letteratura del mondo classico basati su appunti personali del publisher presi alle lezioni del prof. Seita dell’università degli Studi di Torino - Unito, Facoltà di Lingue e letterature straniere, Corso di laurea in lingue e letterature moderne. Gli appunti sono così composti:
- excursus storico su Roma (Monarchia, Repubblica, Guerre puniche, guerre civili e sociali, ecc.)
- Cicerone
- Plauto e Terenzio
- Epicureismo, Stoicismo
- Tito Livio
- Pompeo
- Giulio Cesare
- Ovido
- Letteratura latina
- Tibullo e properzio
- Seneca Padre
- Tiberio, Caligola, Claudio
- Erodoto, Tucidide, Polibio
- Storici Latini (Nevio, Ennio, Catone il Censore, Attico, Cornelio Nepote, Cesare, Sallustio, Tito Livio, Seneca Padre, Velleio Patercolo, Valerio Massimo, Curzio Rufo, Plutarco)
- Imperatori dopo Nerone
- Tacito, Svetonio Tranquillio, Dione Cassio
- NERONE: Analisi vita e Annales Tacito + Svetonio - Vita 12 Cesari (corso incentrato su Nerone)
- Analisi tragedia Ottavia
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I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher danixcata di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura del mondo classico e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Torino - Unito o del prof Seita Mario.
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